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Interpello Disapplicativo: Sì all’impugnazione del diniego

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15191/2025, ha stabilito che il rigetto di un’istanza di interpello disapplicativo, emesso ai sensi della normativa previgente (art. 37-bis, d.P.R. 600/1973), è un atto autonomamente impugnabile. La Corte ha chiarito che tale diniego, pur non essendo immediatamente esecutivo, comunica al contribuente una pretesa tributaria definita, legittimando così il ricorso al giudice tributario. La sentenza ha inoltre confermato la legittimazione processuale concorrente di tutti gli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interpello Disapplicativo: La Cassazione Conferma l’Impugnabilità del Diniego

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per i diritti del contribuente: la possibilità di contestare in giudizio il diniego ricevuto a seguito di un interpello disapplicativo. Questa decisione chiarisce un principio fondamentale: quando un atto dell’Amministrazione Finanziaria, pur non essendo un avviso di accertamento, comunica una pretesa tributaria ben definita, esso può essere immediatamente impugnato. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Una società aveva presentato un’istanza di interpello disapplicativo all’Agenzia delle Entrate, chiedendo di non applicare una specifica norma antielusiva per l’anno d’imposta 2013. L’Ufficio, con un provvedimento del 2014, rigettava l’istanza, ritenendo che la norma fosse invece applicabile.

Contro questo diniego, la società proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (C.T.P.). L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio, sostenendo la legittimità del proprio operato e l’inammissibilità del ricorso, in quanto il provvedimento di rigetto non rientrava nell’elenco degli atti impugnabili previsto dall’art. 19 del D.Lgs. 546/1992.

Il Percorso Giudiziario nei Gradi di Merito

In primo grado, la C.T.P. accoglieva la tesi dell’Agenzia, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici ritenevano che il diniego dell’interpello fosse un atto non autonomamente impugnabile.

La società, non soddisfatta, proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.), la quale ribaltava la decisione. La C.T.R. affermava, in via preliminare, l’ammissibilità dell’impugnazione avverso il provvedimento di diniego. Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate presentava ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’impugnabilità del diniego di interpello disapplicativo

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione della C.T.R. e fornendo chiarimenti su due aspetti fondamentali: la legittimazione processuale degli uffici territoriali e, soprattutto, l’impugnabilità del diniego di interpello disapplicativo.

Le motivazioni

La Corte ha innanzitutto respinto il motivo relativo al presunto difetto di legittimazione passiva di uno degli uffici territoriali convenuti in giudizio. Ha ribadito il principio consolidato secondo cui tutti gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, in quanto articolazioni interne di un unico soggetto giuridico, hanno la capacità concorrente di stare in giudizio. Gli effetti di una sentenza si producono direttamente nella sfera giuridica dell’Agenzia nel suo complesso, rendendo irrilevanti le questioni di ripartizione interna delle competenze.

Sul punto centrale della controversia, la Corte ha affermato che l’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, sebbene tassativo, deve essere interpretato in modo estensivo. È possibile impugnare anche atti non espressamente menzionati, a condizione che portino a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria chiara e definita. Il diniego di disapplicazione di una norma antielusiva, basato sulla vecchia disciplina dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/1973, rientra pienamente in questa categoria. Con tale atto, infatti, l’Amministrazione esprime il proprio convincimento definitivo su un determinato rapporto tributario, creando un interesse concreto e attuale del contribuente a una verifica giudiziale. I giudici hanno inoltre precisato che le successive modifiche legislative (come il D.Lgs. 156/2015), che hanno escluso l’impugnabilità per altre forme di interpello, non hanno efficacia retroattiva e non si applicano a casi precedenti alla loro entrata in vigore.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, stabilendo che il diniego di interpello disapplicativo emesso prima della riforma del 2015 è un atto che definisce una pretesa tributaria e, come tale, è immediatamente impugnabile davanti al giudice tributario. Questa pronuncia rafforza il diritto di difesa del contribuente, consentendogli di ottenere una pronuncia giudiziale sulla legittimità della pretesa fiscale senza dover attendere la notifica di un successivo atto impositivo.

È possibile impugnare il rigetto di un’istanza di interpello disapplicativo presentata prima della riforma del 2015?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il diniego di disapplicazione di norme antielusive (ex art. 37-bis d.P.R. 600/1973) è un atto autonomamente impugnabile, in quanto con esso l’amministrazione porta a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria.

Un ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate diverso da quello che ha emesso l’atto può essere correttamente citato in giudizio?
Sì. La Corte ha ribadito che tutti gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate hanno la capacità di stare in giudizio in via concorrente. Essendo articolazioni di un unico soggetto giuridico, la citazione di un ufficio territoriale diverso da quello che ha emesso l’atto non produce conseguenze processuali negative.

Le norme introdotte nel 2015, che escludono l’impugnabilità delle risposte agli interpelli, sono retroattive?
No. La Corte ha chiarito che la normativa del 2015 (art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156/2015) non ha valenza interpretativa né portata retroattiva, ma disciplina solo per il futuro. Pertanto, non si applica ai dinieghi emessi in data anteriore, come quello del caso di specie, risalente al 2014.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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