Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15191 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15191 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2025
Provvedimento a seguito di interpello -2013
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38205/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege ,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. PUGLIA 1360/2019, depositata in data 3 maggio 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate direzione regionale della Puglia emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE. provvedimento n. 917-213/2014 prot. n. 37877 del 25 settembre 2014, in risposta all’istanza di interpello disapplicativo presentato ai sensi dell’art. 37 bis , d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600, con cui l’Ufficio rigettava l’istanza, ritenendo applicabile alla società, per l’anno di imposta 2013, la specifica norma antielusiva di cui all’art. 30, legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso la società dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE di Bari sia; si costituivano sia la Direzione provinciale che la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate ribadendo la legittimità del proprio operato; la prima richiedeva l’estromissione dal giudizio.
La C.t.p. di Bari, con sentenza 707/2016 dichiarava inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della istanza di disapplicazione ritenendo il diniego un provvedimento non rientrante tra quelli elencati dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992.
Contro tale sentenza proponeva appello la società contribuente dinanzi alla C.t.r. della Puglia, si costituivano sia la Direzione provinciale che la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate ribadendo la legittimità del proprio operato; la prima reiterava l’eccezione di difetto di legittimazione passiva.
Con sentenza n. 1360/2019, depositata in data 3 maggio 2016, la C.t.r. adita accoglieva l’appello, statuendo, in via preliminare, l’ammissibilità dell’impugnazione avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di disapplicazione della normativa antielusiva.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Puglia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e la società contribuente ha depositato controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «violazione dell’art. 10 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», l’Agenzia delle Entrate lamenta l’error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha accolto l’appello proposto dalla società contribuente emettendo la pronuncia nei confronti della Direzione Regionale della Puglia nonché nei confronti della Direzione Provinciale di Bari nonostante questa ultima avesse eccepito il difetto di legittimazione passiva.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», l’Agenzia delle Entrate lamenta l’error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r. ha statuito ponendosi in contrasto con la lettera e la ratio dell’art. 19 del d.lgs. 546/1992.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», l’Agenzia delle Entrate lamenta l’error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r. con la statuizione dell’ammissibilità del ricorso avverso il provvedimento con il quale è stata rigettata l’istanza di interpello, ha integrato la violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. il quale condiziona la proponibilità di una domanda giudiziale alla sussistenza di un concreto interesse ad agire.
Il primo motivo di ricorso proposto è infondato.
2.1. Questa Corte ha più volte affermato che «le articolazioni dell’Agenzia delle entrate all’interno delle varie aree urbane sono espressione di una distribuzione delle competenze a essa intrinseca, disposta con atti interni denominati decreti direttoriali la cui violazione, essendo essi privi d’efficacia in pregiudizio degli utenti, non comporta alcun vizio (Cass., sez. 5, 15/07/2009, n.
16436, e Cass., sez. 5, 25/09/2013, n. 22000). Il formante giurisprudenziale, del resto, è nel senso che, per ogni Agenzia fiscale, la legittimazione a stare in giudizio nei gradi di merito dei processi tributari è riconosciuta in via concorrente anche agli uffici periferici, senza che ciò muti la titolarità e la riferibilità finale degli effetti del potere impositivo che rimane sempre in capo all’Agenzia fiscale quale unitario soggetto di diritto. Infatti, siccome gli uffici periferici non hanno autonoma soggettività rispetto all’Agenzia fiscale nella cui struttura sono organicamente inseriti, le sentenze emesse nelle controversie tributarie producono i loro effetti direttamente nella sfera giuridica della Agenzia fiscale e non dell’Ufficio periferico presente in giudizio. Dunque, tutto ciò che riguarda l’articolazione organizzativa interna dell’Agenzia fiscale (es. strutture e competenze; successione, soppressione, accorpamento o scissione, redistribuzione territoriale) deve ritenersi processualmente irrilevante, essendo sempre e comunque riferibile l’attività difensiva all’Agenzia fiscale, quale persona giuridica di diritto pubblico, giammai al singolo ufficio periferico, le cui vicende organizzative restano del tutto indifferenti» (Cass. n. 22000/2013, cit.; Cass. nn. 1230, 5634, 5635, 5636 e 5637 del 2015).
2.2. Peraltro, sia pure in materia doganale, si è altresì avuto modo di affermare il principio, estensibile anche al caso in esame, secondo cui «in relazione agli atti emessi dalla Direzione regionale dell’Agenzia delle dogane sussiste la legittimazione processuale della Direzione provinciale in quanto ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso, svolgendo esso – ai sensi del Regolamento di amministrazione approvato con delibera n. 1 del 2000 -le funzioni operative dell’Agenzia delle dogane ed assicurando la gestione del contenzioso per i diritti doganali, verificandosi, altrimenti, un’abnorme distorsione del sistema, poiché la Direzione regionale sarebbe la sola legittimata nel
processo in relazione a tutti i provvedimenti dalla medesima emessi, determinandosi l’accentramento delle controversie presso la Commissione Provinciale di primo grado della Regione nella quale ha sede la Direzione regionale» (Cass. n. 19795/2019).
2.3. Ancora, i n tema di contenzioso tributario, tutti gli uffici periferici dell’Agenzia delle entrate hanno la capacità di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa al direttore, e si configurano quali suoi organi, che ne hanno la rappresentanza, sicché, in caso di evocazione e costituzione in giudizio di un ufficio territoriale diverso da quello che ha emesso l’atto impugnato, non è necessario disporre la rinnovazione della notifica, poiché tutto ciò che riguarda l’articolazione organizzativa interna dell’Agenzia fiscale è processualmente irrilevante, dovendo l’attività difensiva essere riferita all’Agenzia fiscale quale persona giuridica di diritto pubblico e non al singolo ufficio periferico. in caso di vocazione in giudizio di un ufficio territoriale diverso da quello che ha emesso l’atto impugnato, non è necessario disporre la rinnovazione della notifica, poiché tutto ciò che riguarda l’articolazione organizzativa interna dell’Agenzia fiscale è processualmente irrilevante, dovendo l’attività difensiva essere riferita all’Agenzia fiscale (Cass. Sez. 6 -5, n. 19828 del 04/10/2016).
Nella specie, il provvedimento impugnato è stato emesso dal direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate di Bari, mentre il giudizio è stato, nei gradi di merito, incardinato anche nei confronti della direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Lecce, e ciò, trattandosi di mera articolazione territoriale dell’Agenzia delle Entrate, non produce alcuna conseguenza processuale, atteso che gli effetti delle sentenze emesse si riverberano direttamente nella sfera dell’Agenzia fiscale e non dell’ufficio periferico.
2.4. Pertanto, premesso che nel caso di specie non si controverte né della legittimità dell’atto impugnato, in quanto in ipotesi emesso da ufficio incompetente, né dell’ipotetica incompetenza del giudice
tributario di merito adito, sia la Direzione provinciale di Bari che la Direzione regionale della Puglia della medesima Agenzia delle Entrate erano legittimate a partecipare al giudizio.
3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente in considerazione delle ragioni di connessione esistenti e stante l’affinità delle questioni proposte, sono infondati; con essi, in particolare, parte ricorrente sostiene l’erroneità della sentenza di secondo grado per non aver ritenuto inammissibile il ricorso introduttivo, data la non impugnabilità del provvedimento che dichiara l’improcedibilità dell’istanza di interpello disapplicativo. 3.1. Nella giurisprudenza di legittimità è ormai prevalso l’indirizzo che ammette l’autonoma impugnabilità del rigetto dell’interpello ex art. 37 bis , ottavo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis (cfr. tra le tante: Cass. 03/12/2024, n. 30907). In materia, infatti, è principio consolidato quello secondo cui l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, di talché quest’ultimo ha la facoltà di impugnare il diniego di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis , ottavo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto esso, seppur atto non rientrante in quelli indicati dall’art. 19, è il provvedimento con il quale l’amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per quest’ultimo, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass. n. 8412/2024 e Cass. n. 2634/2023).
3.2. Non smentisce l’assunto la recente decisione delle Sezioni Unite del 22 gennaio 2024, n. 2147, che -in sede di regolamento di giurisdizione -ha affermato il principio secondo cui le risposte dell’amministrazione finanziaria agli interpelli non costituiscono atti impugnabili ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, poiché non
portano a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche) e non sono immediatamente lesive dei diritti del contribuente; la Suprema Corte, infatti, ha fatto salve proprio le risposte rese a seguito di richiesta di disapplicazione di norme antielusive, che possono essere impugnate in quanto contenenti una compiuta pretesa tributaria.
3.3. Questa Corte, poi, ha svolto le suesposte considerazioni con riferimento a provvedimenti di diniego dell’interpello disapplicativo anteriori all’entrata in vigore sia dell’art. 6, comma 1, del d.lgs. 7 ottobre 2015, n. 156 (secondo cui non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della L. n. 212 del 2000), sia dell’art. 11, comma 7, dello Statuto del contribuente, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera n), del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, che ha ribadito tale non impugnabilità prevista dal citato art. 6, comma 1 (contestualmente abrogato). A tal proposito, peraltro, si è chiarito che l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015 non ha né valenza interpretativa né portata di innovazione retroattiva, sicché non dispone che per l’avvenire (Cass. n. 23469/2017).
3.4. Infine, va segnalato, a proposito del profilo intertemporale, che «Per altro -ma concorrente- profilo, occorre sottolineare che l’interpello disapplicativo è stato rigettato nel 2014, fuori dell’ambito della novella del 2015. Infatti, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015, secondo cui non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello, non ha valenza interpretativa né portata di innovazione retroattiva, disciplinando per il futuro la materia, e, quindi, non dispone che per l’avvenire (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23469 del 06/10/2017, Rv. 646406 – 02)» (Cass. 4 ottobre 2023, n. 27922), il che vale anche nel nostro caso, perché la novella ha effetto dall’1/1/2016. (da ultimo Cass. Ordinanza 4 ottobre 2023, n. 27922, , che in motivazione cita Cass. sez. V,
15.4.2011, n. 8663 (conf. Cass. sez. VI-V, 15.2.2018, n. 3775), Cass. sez. V, 27.1.2023, n. 2634» (Cfr. Cass., V, n. 18861/2023).
3.5. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., correttamente e con una motivazione esente da vizi di legge, ha ritenuto che il diniego da parte del Direttore Generale delle Entrate di disapplicazione di una legge antielusiva effettuato ai sensi dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 fosse un atto definitivo in sede amministrativa e ricettizio con immediata rilevanza esterna da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione, come tale impugnabile innanzi alle commissioni tributarie ai sensi dell’art. 19, comma uno, lett. h, del d.lgs. n. 546 del 1992.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.500,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2025.