Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25427 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25427 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6949/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
WITTING WOLFGANG, RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
-intimati- avverso SENTENZA di COMM. TRIBUTARIA II GRADO BOLZANO n. 121/2018 depositata il 06/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la CT di secondo grado di Bolzano ha respinto l’appello erariale contro la sentenza della CT di primo grado che, in accoglimento del ricorso proposto da NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, aveva annullato l’avviso di accertamento per il 2009 recante recupero di IRES, IRAP e IVA in relazione ad una
intermediazione abusiva di manodopera rinvenuta dietro lo schermo di un contratto di subappalto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE.
Secondo la CT di secondo grado, l’Ufficio aveva fornito solo « indizi generici » in ordine all’asserita illecita intermediazione di manodopera; in particolare, i giudici hanno evidenziato che in ordine alla fattura n. 32 del 2008 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE e recante per il mese di maggio complessive ore 810,00 di lavoro per un costo orario di euro 23,50, prodotta dall’Ufficio, i testi escussi nel corso del giudizio penale avevano precisato che il documento si riferiva a lavori di rinforzo per una scarpata non previsti in contratto ed effettuati in economia.
Il ricorso si fonda su un motivo.
Restano intimati la società e il COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 c pc, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1655 c.c., art. 29 d.lgs. n. 207/2003, art. 5 del d.lgs. n. 446/1997, art. 19 d.P.R. n. 633/1972, art. 64 d.P.R. n. 600/1973, in quanto la CT aveva trascurato il complessivo quadro indiziario offerto dall’Ufficio in ordine alla concreta natura dell’attività contrattuale e desunto, in particolare, dal PVC della Guardia di finanza: da questi accertamenti e dalla documentazione extracontabile rinvenuta era risultato non solo che per i lavori del maggio 2008 la prestazione era stata conteggiata sulla base RAGIONE_SOCIALE ore lavorate dai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, ma che anche nel 2009 le prestazioni erano state quantificate in relazione alle ore lavorate dai dipendenti. Inoltre, era emerso che il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (COGNOME NOME) non impartiva direttive ma fungeva da ‘caporale’ e provvedeva soltanto ad emettere le fatture per operazioni inesistenti e percepiva un compenso a titolo di intermediario sulla tariffa oraria corrisposta ai propri operai.
2. Il motivo è fondato.
Va, preliminarmente, rammentato che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 18808 del 2017; Cass. n. 28953 del 2018), ha da tempo chiarito che, pur dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto di servizi, incorre in nullità, che conforma anche la sorte del contratto tra lavoratore e somministratore. Ne deriva che la fatturazione RAGIONE_SOCIALE prestazioni rese da parte del somministratore non legittima la detrazione dell’IVA ad esse relativa e l’accertamento rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi ex art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 (Cass. n. 7440 del 2022; Cass. n. 34876 del 2021; Cass. n. 12807 del 2020).
Il d.lgs. 276 del 2003, art. 29, nel testo applicabile ratione temporis risultante dal decreto legislativo del 21/11/2014 n. 175, articolo 28, prevede, invero, che « ai fini della applicazione RAGIONE_SOCIALE norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato ai sensi dell’art. 1655 cod. civ., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenza dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa ». Secondo un indirizzo di questa Corte ormai consolidato ed anche di recente confermato in termini generali, in tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive ), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del
lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, l ‘intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (così Cass. n. 12551 del 2020; Cass. n. 15557 del 2019; v. anche Cass. n. 12807 del 2020). Ciò che conta è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa (Cass. n. 12551 del 2020). Al contrario, si deve invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente.
5. In riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, questa Corte ha altresì osservato che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione RAGIONE_SOCIALE ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 6343 del 2013). Ha, inoltre, affermato che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore alla organizzazione e direzione dei
prestatori di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, è del tutto ultronea qualsiasi questione riguardante il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo, né rileva che l’impresa appaltatrice sia effettivamente operante sul mercato, atteso che, se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò solo si deve escludere l’organizzazione del servizio ad opera dell’appaltante (in questi termini Cass. n. 11720 del 2009; Cass. n. 17444 del 2009; Cass. n. 9624 del 2008).
6. Tali accertamenti vanno svolti in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco del contratto (cfr. Cass. n. 18455 del 2023); pertanto, il nomen iuris o le formali pattuizioni non escludono la necessità di verificare la riconducibilità, in concreto, della prestazione allo schema legale tipico.
7. Trattandosi di un accertamento di tipo presuntivo si applica il principio secondo cui « La prova presuntiva (o indiziaria) esige che il giudice prenda in esame tutti i fatti noti emersi nel corso dell’istruzione, valutandoli tutti insieme e gli uni per mezzo degli altri » (Cass. n. 3703 del 2012). In particolare, il giudice « è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi » (Cass. n. 9059 del 2018; si vedano altresì Cass. n. 18822 del 12018; Cass. n. 27410 del 2019).
Nel caso di specie la Commissione non ha fatto buon governo di questi principi, non avendo svolto l’accertamento richiesto secondo la giurisprudenza innanzi riportata né valutato il complesso degli elementi indiziari evidenziati dal PVC: secondo quanto riportato in ricorso, risultava che la remunerazione dell’appaltatore era quantificata sulla base RAGIONE_SOCIALE ore di lavoro prestate dai lavoratori, che il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, non impartiva direttive ai propri operai, che erano sottoposti invece alle decisioni RAGIONE_SOCIALE, che il COGNOME provvedeva solo ad emettere fatture trattenendo per sé un compenso a titolo di intermediazione sulla tariffa oraria corrisposta ai lavoratori. La CT ha dato rilievo decisivo alle dichiarazioni rese dai testi NOME COGNOME e NOME COGNOME della RAGIONE_SOCIALE, al fine di inficiare il valore indiziante di una singola fattura, trascurando il più vasto quadro indiziario, ritenuto apoditticamente insufficiente.
Pertanto, accolto il ricorso e cassata di conseguenza la sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata al giudice del merito che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Bolzano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 30/05/2024.