Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15730 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15730 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5075/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA n. 913/2022 depositata il 18/07/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Dalla sentenza in epigrafe emerge, in fatto, quanto segue:
Il contenzioso muove dalla richiesta di rimborso a RAGIONE_SOCIALE di € 6.841.530,00 derivante dalla dichiarazione IVA 2006, relativa all’anno di imposta 2005, nella quale era esposto un credito di € 9.052.238,00. Con nota n. 10/35550 dell’1.10.2010 l’erogazione del rimborso veniva sospesa per l’esistenza di numerosi contenziosi pendenti in attesa della definizione RAGIONE_SOCIALE pendenze in corso o della presentazione di idonea garanzia, senza limiti temporali, fino all’ammontare del rimborso massimo. La società non prestava la garanzia richiesta e il rimborso non veniva, quindi, erogato. Con istanza del 20/12/2017, la società faceva formale richiesta per il rimborso del suddetto credito IVA, oltre interessi quantificati in euro 1.648.996,17 al 31.12.2017, comunicando di essere disponibile a fornire la fideiussione bancaria relativa all’importo da rimborsare, ma l’Ufficio fiscale, con atto del 06/04/2018, quantificava il diritto al rimborso in euro 6.950.291,58 comprensivo degli interessi pari a euro 108.761,58 maturati dal 06/03/2007 al 03/10/2007 e cioè dal novantesimo giorno dalla richiesta del rimborso (06/12/2006) fino alla data in cui l’Ufficio aveva chiesto la polizza a copertura RAGIONE_SOCIALE pendenze, condizionando l’erogazione di tale somma al deposito presso l’Ufficio di idonea garanzia fideiussoria così come previsto dall’articolo 38 -bis del DPR n. 633/1972.
1.1. Completa il quadro il ricorso, laddove (p. 6) si legge:
La società, al solo fine di riscuotere il proprio credito, ha prestato la garanzia richiesta a copertura del capitale e degli interessi, in data 29 giugno 2018.
Nonostante la richiesta di rimborso dell’importo di € 1.682.172,90 a titolo di interessi calcolati fino al 31 maggio 2018 (doc. n. 3 allegato al ricorso di primo grado), l’Ufficio non ha provveduto.
Con sentenza n. 185/1/19, depositata in data 31/07/2019, la CTP di Livorno accoglieva il ricorso della contribuente.
Proponeva appello l’Ufficio; resisteva la contribuente, la quale, a termini della sentenza in epigrafe,
ribadisce che la garanzia non rientrerebbe, ai sensi dell’art. 38 bis del D.P.R. n. 633 del 1972, fra la documentazione necessaria all’accertamento del diritto al rimborso, determinando la mancata produzione della stessa solo la sospensione del rimborso, ma non quella della decorrenza degli interessi sulla somma capitale come affermato dalla Cassazione e dalla CGUE. La produzione della garanzia non dipenderebbe esclusivamente dal contribuente, ma anche dall’ente erogatore della stessa che valuta la solvibilità del richiedente prima di accedere al contratto fideiussorio. Richiama sul punto giurisprudenza della CGUE e della Corte di Cassazione.
L’appello dell’Ufficio veniva accolto dalla CTR della Toscana, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
Sul punto occorre muovere dal disposto dell’art. 69, comma 4, del R.D. 18.11.1923, n. 2440 che, al comma 4, ha consentito all’Amministrazione finanziaria di sospendere il rimborso alla società appellata in ragione di crediti tributari vantati oggetto di diversi contenziosi. Il disposto di tale norma è di impedimento di per sé all’erogazione RAGIONE_SOCIALE somme chieste a rimborso anche nell’ipotesi che sia incontestato il diritto della stessa società di ottenerle, essendo comunque prevalente (la sospensione deve essere eseguita) l’interesse di una pubblica amministrazione a recuperare i crediti vantati verso i soggetti a loro volta creditori della stessa o di altra pubblica amministrazione. Per i crediti tributari riguardanti l’IVA, l’art. 38 bis, comma 4, del D.P.R. n. 633
del 1972, nel quadro dell’armonizzazione della disciplina normativa di un’imposta soggetta all’ordinamento europeo, consente il superamento del fermo amministrativo dell’art. 69, comma 4, e quindi il pagamento del rimborso esclusivamente previa presentazione di una garanzia secondo le modalità indicate nel comma 5, nel caso dell’esistenza di avvisi di accertamento oggetto di contenzioso non ancora definito, come nel caso di specie che presenta alla data della richiesta di rimborso diversi contenziosi fiscali non ancora coperti da giudicato. Dal quadro normativo di cui sopra emerge che il ‘discrimen’ -fra presentazione della documentazione e prestazione della garanzia -su cui parte contribuente insiste per individuare il momento temporale dal quale fare decorrere gli interessi dovuti sulla somma da rimborsare sia inconferente in quanto esso non trova riscontro nella legge. Parte contribuente in tale ‘discrimen’ evoca il disposto del comma 1 dell’art. 38 bis, ma esso non è applicabile nell’ipotesi del combinato disposto dell’art. 69 e del comma 4 dell’art. 38 bis citati in cui il credito dell’amministrazione finanziaria, anche se soggetto a contenzioso giurisdizionale, concorre con quello del contribuente. Da quanto sopra considerato il Collegio ritiene che la sentenza appellata sia basata su una ricostruzione non pertinente ed errata della normativa applicabile in quanto la presentazione della garanzia fideiussoria costituisce, in presenza di un credito vantato dall’amministrazione finanziaria a carico del contribuente, l’unico imprescindibile adempimento al quale è condizionato il rimborso e non ha quindi una funzione o natura cautelare; per cui, in assenza della prestazione di idonea garanzia, il credito non è esigibile e l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è vincolata a negarne il rimborso. La data di presentazione della garanzia costituisce, quindi, nella fattispecie data il ‘dies a quo’ dal quale decorrono gli interessi di legge. Del resto si tratta di un adempimento che è nella disponibilità del contribuente compiere per cui, anche valutando i principi affermati
dalla giurisprudenza della C.G.U.E. nelle sentenze richiamate, non può non ascriversi al comportamento dello stesso contribuente il ritardo nell’erogazione del rimborso. Né vale sostenere che la garanzia abbia origine da un contratto con una banca o un’assicurazione e sia, quindi, soggetta alla volontà di un soggetto terzo. Infatti, a parte la condizione imposta dal combinato dell’art. 69 del R.D. e dell’art. 38 bis del D.P.R. prima citati, dalla pag. 4, punto 7, del ricorso è dato evincere che la società, in riscontro alla nota prot. 10/35550 dell’1.10.2010 non si è trovata nell’impossibilità oggettiva di prestare una garanzia, bensì ha scelto liberamente di non prestarla stante la rilevanza dell’importo e il fatto che la garanzia non avrebbe dovuto avere limite di durata, il che la rendeva difficoltosa e costosa. Non risulta dagli atti di causa che la società appellata abbia impugnato tale atto dell’RAGIONE_SOCIALE, come era sua facoltà e onere, e ciò rende ancor più evidente il comportamento omissivo e comunque non collaborativo del contribuente che giustifica, anche in base all’ordinamento europeo, la riduzione degli interessi in caso di circostanze imputabili al contribuente. La decisione del Collegio trova conforto nella sentenza n. 8540 del 29.4.2016 della sez. trib. della Corte di Cassazione che, seppure con argomento a contrario all’interno del quale il giudice di legittimità ha affermato la natura moratoria e non compensativa degli interessi in questione, ha avallato il principio che il provvedimento di un fermo amministrativo incide sull’esigibilità del credito e degli interessi; donde, persistendo il provvedimento di fermo (non impugnato in sede giurisdizionale né ritirato dall’Amministrazione finanziaria) gli interessi non decorrono in assenza di garanzia fideiussoria. La stessa sentenza n. 16097 del 19.5.2022 della sez V^ della Corte, richiamata nella memoria depositata dalla società appellata conferma, sul punto, l’effetto condizionante sul rimborso della prestazione della garanzia affermando i giudici di legittimità che l’obbligo della costituzione
della cauzione o della prestazione della garanzia ‘produce, in realtà, unicamente l’effetto di sostituire l’onere finanziario relativo all’immobilizzazione dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’iva per la durata del procedimento di verifica con quello corrispondente all’immobilizzazione dell’importo della cauzione o al costo della garanzia (Corte giust. in causa C107/10, cit., punto 60)’, con ciò affermando implicitamente il principio che la costituzione della garanzia è una condizione per l’ottenimento del rimborso e, pertanto, in assenza del suo verificarsi non decorrono gli interessi sull’importo da rimborsare. Occorre precisare, per completezza, che nella fattispecie esaminata dalla Corte era stato escluso dal computo degli interessi il periodo tra la notificazione della richiesta di fideiussione e la data in cui questa era stata presentata.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con un motivo; resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. La contribuente deposita memoria in data 29 marzo 2024.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 bis D.P.R. n. 633/1972, dell’art. 183 Dir. 2006/112/CE e dell’art. 69 R.D. n. 2440/1923. Denuncia ai sensi dell’art. 62, primo comma D.Lgs n. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
1.1. Per mera comodità di esposizione, il motivo si presta ad essere suddiviso in tre parti.
Prima parte.
‘Premesso che l’oggetto del contendere non verte sulle condizioni per ottenere il diritto al rimborso del credito IVA (sulla cui spettanza non vi è mai stata contestazione), bensì sulla illegittimità del rifiuto a pagare gli interessi maturati nel periodo di sospensione del rimborso, l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE norme resa dal giudice di appello non trova riscontro nel dettato normativo. Quanto al presupposto ‘imprescindibile’ per ottenere il rimborso
del credito di imposta, si osserva che esso è, innanzitutto, l’esistenza stessa del credito, ossia di una somma di denaro certa e liquida e, in quanto tale, produttiva ‘ex se’ di interessi. Si tratta, se mai, di verificare, in quale situazione l’Ufficio possa sospendere il rimborso, per verificare, poi, se le norme che prevedono la sospensione degli interessi oltre che del credito, ne impediscano definitivamente la maturazione a fare data dalla richiesta della polizza’. L’art. 69 r.d. n. 2440 del 1923 tace sugli interessi. ‘Ne consegue che l’Amministrazione debitrice, preso atto della eliminazione di tale causa, deve restituire le somme con i relativi ‘frutti’ maturati dal dovuto al saldo, alla stregua di qualunque altro debitore. L’art. 38 bis DPR n. 633/1972, invece, in tema di ‘esecuzione dei rimborsi’ detta la regola generale, in forza della quale sui rimborsi IVA sono dovuti gli interessi (sempre e comunque), salvo poi precisare che la decorrenza di essi è sospesa, nel caso in cui il contribuente non fornisca entro 15 giorni i documenti richiesti dall’Amministrazione per verificare l’esistenza del credito, ossia i fatti costitutivi del credito. In questa ipotesi, la norma prevede la proroga dei termini per l’accertamento. Al quarto comma, l’articolo subordina invece il rimborso di ammontare superiore a euro 30.000,00 alla prestazione della garanzia, quando esso è richiesto, tra gli altri, da soggetti ‘. ‘Analogamente alla prima, nulla statuisce in ordine alla decorrenza degli interessi che devono essere pagati successivamente alla eliminazione della causa di sospensione del rimborso. In particolare, nessuna RAGIONE_SOCIALE due norme stabilisce che il giorno della presentazione della garanzia rappresenta il ‘dies a quo’ dal quale decorrono gli interessi, né a tale conclusione si può pervenire in forza della combinata lettura di esse (e meno che mai alla luce dell’art. 183 della direttiva IVA)’. ‘Deve trovare applicazione la regola generale, nonché quella speciale, per cui tutte le somme di
denaro, comprese quelle dovute dall’RAGIONE_SOCIALE a titolo di rimborso IVA, producono interessi da quando è sorto il credito fino al pagamento. D’altra parte, a queste regole soggiace lo stesso contribuente, ai sensi dell’art. 68 D.lgs. n. 546/1992 in tema di riscossione frazionata nel corso del giudizio ‘. ‘Come dedotto fin dal primo grado di giudizio, diversamente ragionando, la misura cautelare del fermo amministrativo o la richiesta della fideiussione, pur comprensibili per tutelare le ragioni erariali (in presenza di un credito dell’amministrazione finanziaria verso colui che invoca il rimborso), assumerebbe contorni sanzionatori palesemente illegittimi, in quanto contrari ai principi della certezza del diritto e della proporzionalità’. ‘In realtà, il giudice è giunto a stabilire che ‘la garanzia non sarebbe una misura cautelare’ ma una ‘condizione del rimborso’ (laddove, per definizione la polizza fideiussoria ha funzione di ‘garanzia’ e quindi di ‘cautela’ per il soggetto a cui è prestata), richiamando tacitamente la prassi amministrativa e, specificamente, la circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014′. ‘Pur ammettendo che la garanzia costituisca ‘condizione’ per il rimborso, non si comprende in base a quale disposizione la CTR abbia tratto la conclusione che gli interessi maturano solo dal suo verificarsi e non dalla data in cui è sorto il credito’.
b) Seconda parte.
La CTR, inoltre, ‘ha omesso completamente di verificare se l’esistenza in capo all’RAGIONE_SOCIALE di un credito da tutelare fosse presente nella fattispecie. Il dovere di verificare tale ‘condizione’ è stato stabilito da codesta Corte nella sentenza n. 16099 del 19 maggio 2022′. Seguono, nel motivo, ampi riferimenti a Sez. 5, n. n. 16099 del 19/05/2022. Indi il motivo riprende: ‘Codesto Giudice, quindi, ha spostato il punto centrale della questione. Il problema non è stabilire il ‘dies a quo’ della decorrenza gli interessi in caso di fermo o di garanzia tardivamente prestata (che nessuna norma prevede, né la direttiva IVA, né le
norme nazionali a conferma che essi sono dovuti ‘ab origine’), ma verificare se la misura cautelare della sospensione del rimborso e dei relativi interessi adottata per la presenza di un asserito controcredito abbia perso efficacia. Se le ragioni della tutela erariale non sussistono (per compensazione o per qualsiasi altra causa, compresa la definizione RAGIONE_SOCIALE liti pendenti o perché è stata prestata la garanzia), vengono necessariamente meno anche le ragioni della sospensione del rimborso, cosicché la misura cautelare perde efficacia ‘ex tunc’ e gli interessi devono essere restituiti ‘con effetto retroattivo’. Di fatti, è come se il fermo non fosse mai stato disposto’.
c) Terza parte.
‘Nella vicenda in esame, l’RAGIONE_SOCIALE, nel 2010, ha disposto il fermo amministrativo del rimborso IVA per la pendenza di numerosi contenziosi in essere con la società. In alternativa al fermo, ha chiesto la garanzia pari all’ammontare complessivo dei crediti contestati in giudizio garanzia che la società ha successivamente offerto nel 2017. Nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (RG. N. 267/2018), la ricorrente ha precisato che la garanzia era stata prestata e che i contenziosi pendenti erano per lo più favorevoli per la società (fatti non contestati). La ricorrente ha, altresì, evidenziato che erano in corso trattative con l’Ufficio per la definizione completa dei contenziosi (pag. 5 del ricorso di primo grado). Costituendosi nel giudizio di appello (atto di controdeduzioni del 29 luglio 2020) la società ha dedotto e dimostrato di avere prestato la garanzia e ha eccepito di avere aderito alla pace fiscale, ponendo così fine a tutte le controversie pendenti (e, specificamente, quelle elencate nella nota del 6 aprile 2018, con cui l’Ufficio ha disposto il rimborso parziale, doc. n. 1 allegato al ricorso di primo grado) fatto non contestato. Al contrario della ricorrente, l’Ufficio, quando si è costituito in giudizio davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, ha
taciuto completamente sulla garanzia a sue mani e sull’esito dei giudizi pendenti. Nell’instaurare il giudizio di appello con atto notificato il 26 aprile 2020, l’Ufficio ha continuato a sostenere la legittimità della sospensione del rimborso e degli interessi a causa RAGIONE_SOCIALE numerose controversie pendenti (pag. 11 dell’atto di appello), ancorché già nel maggio 2019 tutti i giudizi definibili erano venuti meno per effetto dell’adesione della società alla c.d. pace fiscale disciplinata dal D.L. 119/2018. Nonostante ciò, la Commissione Regionale della Toscana, senza verificare l’esistenza della condizione cui (a suo dire) era subordinato il rimborso, basandosi sull’originaria e generica affermazione contenuta nel prot. n. 10/3550 del 2010, ha tratto da essa ogni conseguenza negativa in ordine alla sospensione del rimborso del credito IVA e alla maturazione degli interessi’.
1.2. In esito all’illustrazione del motivo, il ricorso, concluso in principalità per l’annullamento della sentenza impugnata, chiede, altresì,
in via subordinata, che il presente giudizio sia sospeso e che gli atti siano rimessi alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, ai sensi dell’art. 267 TUFE, affinché sia sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia il seguente quesito: ‘Se l’articolo 183 della Direttiva UE 2006/112 (Direttiva IVA) in combinato disposto con il principio di neutralità fiscale debba essere interpretato, nel senso di ritenere illegittima una prassi amministrativa, secondo cui il rimborso del credito IVA sia privato degli interessi, normalmente dovuti in base al diritto nazionale, per la mancata prestazione di una garanzia senza limiti di tempo a copertura di tutti i contenziosi pendenti, anche non relativi all’IVA e non relativi al credito stesso, poi definiti, laddove il credito sia esistente e non contestato’ .
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato, sicché, nel complesso, merita di essere disatteso.
Esso -come correttamente eccepito dall’RAGIONE_SOCIALE in controricorso – è inammissibile a misura che addebita alla CTR di aver pretermesso ‘di verificare se l’esistenza in capo all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di un credito da tutelare fosse presente nella fattispecie’, così come ritenuto a dire della contribuente -‘da codesta Corte nella sentenza n. 16099 del 19 maggio 2022’, con la conseguenza che, in caso di inesistenza, ‘la misura cautelare perde efficacia ‘ex tunc’ e gli interessi devono essere restituiti ‘con effetto retroattivo”.
Il ‘thema’ dell’inesistenza di alcun credito in capo all’Amministrazione da tutelare con il cd. provvedimento di fermo amministrativo non consta essere stato introdotto dalla contribuente né in primo né in secondo grado.
4.1. Quanto al primo grado, non varrebbe alla medesima -la quale di per sé significativamente in memoria afferma che ‘ la domanda formulata fin dal primo grado di giudizio (e mai mutata) ha ad oggetto diritto al rimborso degli interessi maturati sul credito di imposta esistente e mai contestato, senza che possa operare alcuna sospensione’ opporre di aver pur sempre sostenuto, nel relativo ricorso, che il superiore provvedimento ha natura cautelare. In realtà siffatta affermazione non era volta a sostenere, in concreto, l’illegittimità dell’adozione del fermo da parte dell’RAGIONE_SOCIALE in funzione dell’inesistenza di crediti pubblici, mai allegata e men che meno documentata, ma unicamente ad argomentare, in astratto, nel senso di non potersi far derivare da un provvedimento di tale natura la sospensione degli interessi. È la stessa contribuente a rendere conto RAGIONE_SOCIALE ragioni di doglianza fatte valere con il ricorso introduttivo del giudizio nei seguenti testuali termini (pp. 6 e 7 del ricorso per cassazione):
In estrema sintesi, la ricorrente ha eccepito che gli interessi decorrono anche in caso di sospensione/fermo amministrativo del rimborso. Il fermo, infatti, ha natura cautelare e ad esso non può
seguire la misura afflittiva della sospensione degli interessi, in assenza di una norma espressa che commini tale specifica sanzione. La società ha eccepito che la sospensione del decorso degli interessi è prevista nell’ipotesi disciplinata dal primo comma dell’art. 38 bis citato, ossia nel caso in cui il contribuente non fornisca i documenti richiesti dall’Amministrazione per verificare l’esistenza del credito chiesto a rimborso, con conseguente proroga del termine per l’accertamento, ma non dal quarto comma, che richiede (solo) la prestazione della garanzia nel diverso caso, ricorrente nella specie, in cui non vi sono mai stati dubbi né sull”an’, né sul ‘quantum’ dell’IVA da restituire.
4.2. Quanto al secondo grado, l’affermazione che leggesi nel ricorso per cassazione (pp. 19 e 20), secondo cui,
costituendosi nel giudizio di appello (atto di controdeduzioni del 29 luglio 2020) la società ha dedotto e dimostrato di avere prestato la garanzia e ha eccepito di avere aderito alla pace fiscale, ponendo così fine a tutte le controversie pendenti (e, specificamente, quelle elencate nella nota del 6 aprile 2018, con cui l’Ufficio ha disposto il rimborso parziale, doc. n. 1 allegato al ricorso di primo grado) fatto non contestato.
Al contrario della ricorrente, l’Ufficio, quando si è costituito in giudizio davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, ha taciuto completamente sulla garanzia a sue mani e sull’esito dei giudizi pendenti , viola entrambi i principi di precisione ed autosufficienza del ricorso, in quanto, per un verso, né identifica le controversie definite in via agevolata né individua esattamente le date di definizione e, per altro verso, né riproduce, almeno per sommi capi, il contenuto RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni in appello né indica, in riferimento al fascicolo RAGIONE_SOCIALE produzioni devolute alla RAGIONE_SOCIALE, donde risultino le definizioni.
Ulteriormente, e sulla medesima linea, valga rilevare come -in difetto ‘a monte’ dell’identificazione dei crediti cautelati con il provvedimento di fermo -anche l’intera narrativa circa le controversie asseritamente riguardanti detti crediti di cui al par. 3 del ricorso per cassazione (pp. da 3 a 5) è priva sia di alcun richiamo a documenti di sorta sia dell’allegazione di essere stata già sottoposta alla CTR.
Pertanto, a fronte della cristallizzazione nei termini di cui al ricorso introduttivo del ‘thema decidendum’ somministrato ai giudici di primo e di secondo grado, non pertinente si rivela il richiamo dell’insegnamento di cui a Sez. 5, n. 16099 del 2022.
Questa ha bensì affermato (par. 10, p. 11) che
la soluzione che esclude la stabilità degli effetti del fermo, poi caducato dall’accertamento dell’insussistenza dei crediti da esso cautelati, comporta inevitabilmente l’esclusione che il corso degli interessi possa essere sospeso nel periodo di vigenza della misura: si consentirebbe altrimenti una stabilità dell’efficacia del fermo che, invece, è travolta.
7.1. Il corrispondente principio di diritto trovasi massimato, in relazione alla sentenza gemella (Sez. 5, n. 16097 del 19/05/2022, Rv. 664725-01), nel senso che
in tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA, qualora l’amministrazione si sia valsa del fermo amministrativo ex art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, l’accertata insussistenza dei controcrediti a cautela dei quali il fermo era stato disposto comporta che il credito richiesto a rimborso produce interessi anche nel periodo di vigenza del fermo, con decorrenza dal momento in cui essi sono diventati esigibili, e ciò anche se il fermo non sia stato impugnato .
7.2. Ma un tanto Sez. 5, n. 16099 del 2022 (in uno a Sez. 5, n. 16097 del 2022) ha affermato -sul presupposto della ‘caducazione’ del fermo giusta ‘accertamento dell’insussistenza dei
crediti da esso cautelati’ in un contesto fattuale tuttavia del tutto diverso da quello per cui si procede.
7.3. Coerentemente con detto presupposto, invero, essa scrive (par. 9, p. 10) che
n el caso in esame il giudice d’appello mostra di non dubitare del fatto che, come riportato nella narrativa della sentenza, «i carichi pendenti in ragione dei quali era stata avanzata richiesta di definizione erano stati riconosciuti illegittimi dalla medesima DRE».
L’insussistenza dei diritti cautelati dal fermo si è riverberata sulla cautela, caducandola, poiché è stata elisa perfino la mera probabilità di esistenza del diritto di credito a presidio del quale essa era posta, di modo che si è reso necessario l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto (Cass., sez. un., n. 758/17, relativa agli effetti dell’annullamento dell’avviso di accertamento, anche non definitivo, sull’iscrizione nei ruoli straordinari): adeguamento che, nella sostanza, corrisponde al ripristino della situazione antecedente previsto dall’art. 669 -novies, comma 2, c.p.c., che è incompatibile con la stabilità degli effetti nel periodo in cui il fermo è stato vigente.
Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, la CTR non si è mai pronunciata, né è stata mai richiesta di farlo (a dispetto del rimprovero che ora, perciò infondatamente, la contribuente le rivolge), sui controcrediti opposti dall’Amministrazione nel provvedimento di fermo, la questione della cui legittimità non le è mai stata devoluta.
D’altronde, l’esistenza di controcrediti dell’Amministrazione al momento dell’adozione del provvedimento di fermo non è contestata, ma, al contrario, confermata, dalla contribuente: ciò è sufficiente a render ragione della legittimità del provvedimento di fermo -con conseguente doverosa sospensione dell’erogazione di capitale ed interessi -sulla base del principio per cui esso
‘costituisce una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della P.A., volto a sospendere, in presenza di una ‘ragione di credito’ della P.A. stessa, un eventuale pagamento dovuto, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che l’amministrazione abbia (ovvero pretenda di avere) nei confronti del suo creditore, la cui adozione richiede solo il ‘fumus boni iuris’ della ragione di credito vantata dall’Amministrazione, restando estranea alla natura ed alla funzione del provvedimento qualsiasi considerazione di un eventuale ‘periculum in mora’, senza che detta disciplina ponga dubbi di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Ne consegue che deve ritenersi legittimo il diniego di rimborso di IVA, in dipendenza dell’adozione di provvedimento di fermo amministrativo RAGIONE_SOCIALE somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità d’imposta’ (così, da ult. Sez. 5, n. 25893 del 31/10/2017, Rv. 646172 -02).
10. Né, in disparte la mancata devoluzione sia al primo che al secondo giudice di alcuna contestazione dei controcrediti dell’Amministrazione e quindi, quantomeno al secondo, della legittimità del fermo, la contribuente, ancora nel ricorso per cassazione, deduce e dimostra un’illegittimità per così dire sopravvenuta di quest’ultimo, giacché di converso allega che le parallele controversie sono state definite in via agevolata.
11. Ne esce pertanto confermata ‘ex post’ la legittimità del provvedimento, rendendo inapplicabile l’insegnamento di Sez. 5, nn. 16097 e 16099 del 2022, ammissivo bensì della possibilità di prescindere dall’impugnazione del fermo, a condizione tuttavia che sia comunque ‘accertata insussistenza dei controcrediti a cautela dei quali il fermo era stato disposto’: ciò che è da escludersi nella specie, giacché (in disparte che la contribuente
neppure allega di aver assolto ai debiti scaturenti dalle definizioni) l’esistenza in sé dei controcrediti dell’Amministrazione risulta ‘funditus’ comprovata, giust’appunto, proprio dalle definizioni, le quali, come ritenuto dal Massimo Consesso di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 1518 del 27/01/2016, Rv. 638457 -01, in motiv., par. 4, p. 7), citando giurisprudenza costituzionale (in particolare, Corte cost. n. 321 del 1995), ‘costituisc una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi RAGIONE_SOCIALE varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso e non in quella dell’accertamento dell’imponibile’, ragion per cui ‘incide sul rapporto sostanziale e processuale tra il contribuente e il fisco’ (Sez. 5, n. 31049 del 30/11/2018, Rv. 651648 -02, in motiv., par. 2, p. 4 s.) e, nella declinazione sostanziale, incide sul ‘quantum’, nel contempo però cristallizzando l”an debeatur’. In altre parole, come recentissimamente osservato (Sez. 5, n. 501 del 08/01/2024, Rv. 670176 -01, in motiv., par. 1.4, p. 4), in sede di definizione agevolata, ‘la pretesa erariale -sia pure nei limiti della quantificazione legale prevista – è confermata nella sua sostanza e la prospettiva, comune all’Ufficio e al contribuente, è quella di averla soddisfatta’.
12. Deve sinteticamente enunciarsi il seguente principio di diritto:
In tema di rimborso di un credito afferente all’IVA esposto in dichiarazione, il principio secondo cui, qualora l’amministrazione si sia valsa del fermo amministrativo ex art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, l’accertata insussistenza dei controcrediti a cautela dei quali il fermo era stato disposto comporta che il credito richiesto a rimborso produce interessi anche nel periodo di vigenza del fermo, nonostante che questo non sia stato impugnato, non trova
applicazione laddove le controversie relative ai controcrediti risultino definite in via agevolata, atteso che siffatta definizione atipica del rapporto tributario produce effetti, non solo processuali, ma anche sostanziali, cristallizzando l”an debeatur’, seppur mitigando il ‘quantum’, con conseguente conferma ‘ex post’ della legittimità del fermo.
Quanto precede rende conto dell’inammissibilità, come anticipato, RAGIONE_SOCIALE censure mosse dalla contribuente nella seconda e nella terza parte del motivo, inammissibilità che travolge anche la richiesta di sospensione del giudizio per rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, essendo in ogni caso il fermo (e per esso alternativamente la richiesta di presentazione di garanzia) una misura cautelare idonea e proporzionata a tutelare anticipatamente le ragioni di credito erariale in funzione della necessità di evitare di esporre le casse pubbliche all’eventualità di non rimediabili impoverimenti.
Resta da dire RAGIONE_SOCIALE censure mosse nella prima parte.
Esse sono infondate.
La stessa contribuente si afferma avvertita dell’insegnamento di Sez. 6 -5, n. 25164 del 23/08/2022, Rv. 665505 -01, a termini del cui principio di diritto, ‘in caso di richiesta di rimborso dell’IVA versata in eccedenza, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, secondo la disciplina prevista dall’art. 38 bis dello stesso decreto, la maturazione degli interessi a credito del contribuente rimane sospesa durante il tempo in cui quest’ultimo non fornisce la documentazione richiestagli, inclusa quella relativa alla prestazione di garanzia fideiussoria’.
16.1. L’ordinanza in esame – condivisa l’affermazione del giudice di secondo grado, attagliantesi perfettamente anche al caso di specie, secondo cui, ‘se il rimborso del credito IVA da parte dell’Ufficio viene legittimamente sospeso, risulta necessariamente sospesa anche la decorrenza/maturazione dei correlati interessi
corrispettivi, che, dunque, non sono dovuti con riferimento al periodo di sospensione” – così, alla stregua di assunti da cui il Collegio non ravvisa ragioni di discostarsi, si esprime (par. 2.1 s., p. 4 s.):
2.1. La norma di cui all’art. 38 bis del Dpr n. 633 del 1972, nella formula applicabile ‘ratione temporis’, prevede che i rimborsi RAGIONE_SOCIALE eccedenze di Iva versate, di cui all’art. 30, “sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione prestando, contestualmente all’esecuzione del rimborso e per una durata pari a tre anni dallo stesso, ovvero, se inferiore, al periodo mancante al termine di decadenza dell’accertamento, cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore di borsa, ovvero fideiussione rilasciata da un’azienda o istituto di credito … Sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 2 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni…” (evidenza aggiunta). La mancata produzione della documentazione attestante la conseguita fideiussione impedisce la liquidazione del rimborso al contribuente, per fatto esclusivamente a lui attribuibile, ed importa la sospensione della decorrenza degli interessi.
2.2. Questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire che “la riportata interpretazione della norma in esame è l’unica compatibile con il sistema tributario vigente, non potendosi ipotizzare una stasi dell’attività amministrativa a discrezione del contribuente e non potendosi addossare all’A.F. l’onere di corrispondere gli interessi su somme che non può liquidare per fatto addebitabile al richiedente. La sospensione del decorso degli interessi agisce quindi come stimolo alla produzione dei documenti
effettivamente necessari per la definizione della pratica dì rimborso” Cass. sez. V, 6.9.2013, n. 20510.
16.2. L’avviso espresso da Sez. 6 -5, n. 25164 del 2022, è condiviso da ampia giurisprudenza, sia antecedente che successiva.
In particolare, con riguardo a quest’ultima, Sez. 5, n. 24031 del 05/04/2023, in motiv., par. 9, p. 7 (per considerazioni analoghe cfr. però anche Sez. 5, n. 24295 del 08/06/2023, in motiv., par. 7.1, p. 11), osserva che la maturazione degli interessi a credito del contribuente rimane, altresì, sospesa durante il tempo in cui quest’ultimo non fornisce la documentazione relativa alla prestazione di garanzia fideiussoria prevista dal comma 4 del citato art. 38 -bis per i rimborsi di ammontare superiore a 30.000 euro (in termini, Cass. n. 25164 del 23/08/2022; conf. a Cass. n. 14930 del 2011; Cass. n. 11418 del 2019). In tali casi la sospensione del rimborso e dei correlati interessi risponde all’esigenza (già ravvisata da Cass. n. 28257 del 2013 con riferimento al primo dei casi sopra enunciati) di non far gravare sull’Amministrazione le conseguenze di un ritardo nell’esecuzione del rimborso ascrivibile alla mancata collaborazione del creditore (cfr. Cass. n. 14930 del 2011), al quale, peraltro, la prestazione della garanzia prevista dal comma 5 del citato art. 38 -bis è imposta come obbligatoria nelle ipotesi espressamente declinate nel predetto comma 4, alle lettere da a) a d).
Pertanto, alla luce di detti precedenti specifici, da espressamente ribadirsi in questa sede, ad ostare alla liquidazione del rimborso e, di conseguenza, alla produzione degli interessi è ‘la mancata produzione’, in sé e per sé, ‘della documentazione attestante la conseguita fideiussione’, alla luce di un unico contesto esegetico, che avvince il primo ed il quarto comma dell’art. 38 -bis d.P.R. n. 633 del 1972.
Né -valga osservare per completezza -una tale interpretazione si pone in contrasto con i principi di diritto interno od unionale.
18.1. Non con quelli di diritto interno, perché la scelta di prestare o meno cauzione è rimessa alla discrezionalità del creditore, ragion per cui la mancata produzione della relativa documentazione configura una causa di ‘mora credendi’ ex art. 1206 cod. civ.
18.2. Non di quelli di diritto unionale, perché, vero essendo che l’obbligo di costituzione di una cauzione al fine di potersi avvalere dei termini normalmente applicabili produce l’effetto di sostituire l’onere finanziario relativo all’immobilizzazione dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’IVA per la durata del procedimento di verifica con quello attinente all’immobilizzazione dell’importo della cauzione (CGUE, 10 luglio 2008, in causa C -25/07, COGNOME, punto 32; CGUE, 12 maggio 2011, in causa C -107/10, RAGIONE_SOCIALE, punto 60), è nondimeno altresì vero che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, il costo della fideiussione, nel caso in cui essa si sia rivelata superflua per non necessità della relativa escussione, è interamente rimborsabile (cfr., ‘mutatis mutandis’, Sez. 5, n. 20024 del 13/07/2023, Rv. 668257 -01, secondo cui, ‘in tema di fideiussione prestata ex artt. 30 e 38 bis, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, in caso di richiesta di rimborso del credito IVA non detraibile da parte di società priva di stabile organizzazione in Italia ed operante tramite un rappresentante fiscale, in applicazione del principio di neutralità, come interpretato dalla Corte di Giustizia, e dell’art. 8, comma 4, della l. n. 212 del 2000, il rimborso del costo degli oneri fideiussori spetta al contribuente anche quando sia mancata un’attività di accertamento in ordine alla debenza dell’imposta e la garanzia sia rilasciata per la restituzione del credito di imposta oggetto di rimborso da parte dall’Amministrazione finanziaria’).
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, liquidate in euro 14.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 12 aprile 2024.