Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28190 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 28190 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24312/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1484/2022 depositata il 04/02/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La vicenda trae origine dal decreto ingiuntivo n. 893/2013, con il quale il Tribunale di Roma ingiungeva all’RAGIONE_SOCIALE il pagamento di Euro 56.936,00, oltre interessi, in favore di NOME COGNOME, a titolo di rimborso IRPEF per l’anno 2007.
1.1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 91/2018, rigettava l’opposizione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE, la quale deduceva l’intervenuto pagamento della detta somma e chiedeva che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere, con compensazione RAGIONE_SOCIALE spese. Per l’effetto, condannava l’opponente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore del COGNOME.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE, cui resisteva il COGNOME.
L’appellante, per quel che qui rileva, contestava, in particolare, l’applicazione, al credito di imposta, degli interessi di mora di cui al d.lgs. n. 231/2002.
2.1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1484/2022, in parziale riforma della sentenza impugnata, escludeva l’applicabilità degli interessi moratori ex d.lgs. n. 231/2002, rideterminando il credito residuo, con compensazione parziale RAGIONE_SOCIALE spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza, NOME COGNOME ha proposto ricorso, affidato a due motivi e illustrato da memorie.
3.1. L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
3.2. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va premesso che parte ricorrente ha depositato due memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.: una prima in data 25/08/2025 ed
altra in data 02/09/2025; entrambe in relazione alla pubblica udienza del 12/09/2025. Di queste, la seconda è inammissibile, secondo il principio espresso già da Cass. 17/05/2024, n. 13873, al quale il Collegio intende assicurare continuità.
4.1. Con il primo motivo si prospetta la «violazione art. 360, n.3 c.p.c. -error in judicandum ; omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso, decisivo e centrale per il giudizio, cioè le norme che regolano gli interessi relativi alle obbligazioni pecuniarie».
Il ricorrente censura la statuizione della Corte d’appello che ha escluso l’applicabilità degli interessi moratori previsti dal d.lgs. n. 231/2002, pur in presenza di un credito da rimborso d’imposta definitivamente accertato con decreto ingiuntivo divenuto irrevocabile.
4.2. Con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.
Ritiene il ricorrente che la statuizione del Tribunale di Roma sul riconoscimento del diritto agli interessi moratori ex d.lgs. n. 231/2002 non poteva essere rimesso in discussione nel giudizio d’appello, proprio in ragione del giudicato interno formatosi su tale capo della decisione.
In premessa, osserva il Collegio che il primo motivo di ricorso sarà esaminato a prescindere dalla erronea prospettazione, in rubrica, di un error in judicando , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., là dove, con esso, si deduce una ‘omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso, decisivo e centrale per il giudizio, cioè le norme che regolano gli interessi relativi alle obbligazioni pecuniarie’.
Una simile prospettazione è il frutto di una commistione di profili diversi, volta che il ricorrente si duole di un vizio motivazionale relativo a un ‘fatto controverso, decisivo e centrale per il giudizio’, riprendendo la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
(che si deve all’art. 54 d.l. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla L. 134/2012), che tuttavia allude al fatto in guisa di ‘fatto storico’ (cfr., ex multis , Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014; Sez. U, Sentenza n. 5745 del 23/03/2015) e non a parametri di diritto.
5.1. Cionondimeno, il primo motivo risulta infondato.
Nel dettaglio, il tema introdotto da parte ricorrente attiene alla individuazione del saggio di interessi dovuti dall’erario al contribuente per il ritardato rimborso di imposte non dovute, in relazione al periodo precedente alla eventuale proposizione di una domanda giudiziale e, quindi, a prescindere da essa.
Nella specie, la questione centrale che viene sollevata nel ricorso è se al menzionato credito restitutorio si applichi il saggio di interessi legali previsto in via generale dall’art. 1284, comma 1, c.c., ovvero uno diverso e, se del caso, maggiorato.
In proposito, ritiene parte ricorrente che «in tema di obbligazioni pecuniarie, costituiscono ‘interessi legali’ non soltanto quelli stabiliti dall’art. 1284 c.c., ma anche qualsiasi interesse che, ancorché in misura diversa, sia previsto dalla legge». Di poi, riprendendo la previsione contenuta soltanto nel comma 4 dell’art. 1284 c.c. – della cui violazione non si duole, però, il ricorrente – si soggiunge che «n mancanza di una determinazione RAGIONE_SOCIALE parti, si applica il saggio di interessi previsto per i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, e cioè quello di cui al D. Lgs. n. 231/02» (v. la non numerata pag. 3 del ricorso).
Ma tale assunto non può essere condiviso.
Ed invero, la Corte territoriale, a fronte di una sintetica quanto puntuale motivazione, ha dato seguito alla tesi sostenuta dall’RAGIONE_SOCIALE, allora appellante, riformando, per l’effetto, la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Roma, «nel senso che agli interessi ex d.lgs. 231/2002 vanno sostituiti gli
interessi ex art. 44 e 44 bis D.P.R. 602/1973» (a pag. 3 della sentenza impugnata).
Lo ha fatto, in particolare, sulla base di plurimi e condivisibili argomenti: in primo luogo, l’obbligazione derivante dall’obbligo di rimborso di una imposta esula del tutto dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, poiché «il rimborso di un’imposta non è, evidentemente, un contratto» (a pag. 2 della sentenza impugnata); in secondo luogo, «il meccanismo degli interessi relativi sia ai debiti che ai crediti di imposta – stabilito dalla disciplina tributaria compone un sistema speciale che, come tale, prevale su ogni altra disposizione di carattere generale (come quella degli interessi codicistici o quella RAGIONE_SOCIALE transazioni commerciali)» (a pag. 3 della sentenza impugnata).
In tal senso, la Corte di merito ha fatto, invero, piena e corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, che costituiscono patrimonio acquisito nel formante giurisprudenziale.
Varrà, infatti, osservare che, alla luce dei precedenti di legittimità, in tema di obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta, non sono applicabili gli artt. 1224, comma 1, e 1284 c.c., stante la speciale disciplina dell’art. 44 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, relativa a tutti gli interessi dovuti dall’amministrazione finanziaria in dipendenza di un rapporto giuridico tributario. Questa è, infatti, norma speciale applicabile a tutte le ipotesi in cui siano dovuti dall’erario interessi in dipendenza di un rapporto giuridico tributario, e si giustifica per la speciale natura del credito cui gli interessi si riferiscono e per la particolarità dei soggetti e dei presupposti del rapporto (cfr. Corte cost., ord. n. 288/1988). Del resto, tali interessi (comunque maggiorati rispetto a quelli di cui all’art. 1284, comma 1, c.c.) non presuppongono la mora dell’amministrazione e mirano a reintegrare proprio la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente per non aver goduto della somma di denaro già versata al fisco oggetto di restituzione (in tal
senso, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 11189 del 27/04/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 29237 del 20/10/2021; Sez. 5, Sentenza n. 25684 del 14/12/2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7803 del 20/04/2016; Sez. 5, Sentenza n. 26403 del 30/12/2010; Sez. 5, Sentenza n. 2105 del 02/02/2005).
Di tal che, quanto all’assunto del ricorrente secondo cui costituiscono ‘interessi legali’ non soltanto quelli stabiliti dall’art. 1284 c.c., ma anche qualsiasi interesse che sia previsto dalla legge, è appena il caso di osservare che questa Corte, con la Sentenza n. 19015 del 11/07/2024, ha precisato che, in tema di esecuzione forzata fondata su titolo esecutivo giudiziale, il diritto del creditore di procedere per l’importo di interessi a un tasso superiore a quello previsto dall’art. 1284, comma 1, c.c., nel caso in cui il titolo contenga semplicemente il riferimento alla debenza degli ‘interessi legali’, resta escluso non solo nel caso in cui in sede di cognizione è stata (esplicitamente o implicitamente) negata l’applicabilità della norma di cui all’art. 1284, comma 4, c.c. (o di altra norma di legge che preveda interessi ad un tasso maggiore di quello previsto dall’art. 1284, comma 1, c.c.), ma anche nel caso in cui sia stato semplicemente omesso ogni accertamento sul punto per mancanza di domanda e/o anche in conseguenza di una eventuale omessa pronuncia del giudice della cognizione.
Nondimeno, nel caso che ci occupa, tale ultima questione non assume una particolare pregnanza, volta che la stessa Corte di merito ha correttamente riconosciuto gli interessi nella misura stabilita dagli artt. 44 e 44 bis del d.P.R. n. 602 del 1973, che trova qui applicazione, in luogo della previsione generale di cui all’art. 1284, comma 1, c.c., in forza del principio lex specialis posterior derogat priori generali .
Per le esposte ragioni, al credito de quo si applicano gli interessi stabiliti dalla normativa speciale di settore, secondo una misura maggiorata rispetto a quelli previsti dal codice civile, dovendosi
escludere, al contempo, la operatività del regime di cui al d.lgs. n. 231/2002, stante la totale estraneità (anzitutto concettuale) tra imposta e transazione commerciale.
Ed invero, per ‘transazione commerciale’ si intendono soltanto, ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 231/2002, «i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo», come pure ha correttamente rilevato la Corte territoriale a pag. 2 della sentenza impugnata.
5.2. Non attiene alla materia del contendere alcuna altra questione relativa alla applicabilità, in tema di rimborso di imposte non dovute, dell’art. 1284, comma 4, c.c., a mente del quale, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale (e solo da quel momento), il saggio degli interessi legali è pari (senza che ciò importi una coincidenza concettuale) a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Parte ricorrente ha infatti prospettato la sola violazione della normativa di riferimento finale (i.e., d.lgs. n. 231/2002), senza mai evocare, per vero, il comma 4 dell’art. 1284 c.c., che, in relazione alla sola fase successiva alla instaurazione di un giudizio, ne fa implicito richiamo.
Per le esposte ragioni, in mancanza di una esplicita investitura sul punto, non è consentito al Collegio di approfondire ulteriormente la questione, del resto risultando sufficienti gli argomenti fin qui sviluppati per giungere alla conclusione dell’infondatezza della doglianza dell’odierno ricorrente.
Il secondo motivo, con cui si prospetta la asserita violazione di un giudicato interno sulla determinazione degli interessi dovuti dall’erario, risulta per vero inammissibile.
In proposito, parte ricorrente non ha specificato, con chiarezza, in quale atto processuale dei gradi di merito sia stata sollevata la specifica questione negli esatti termini qui riproposti.
In tal senso, il motivo risulta totalmente inosservante gli oneri di specificità e di autosufficienza prescritti dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., e ciò sia in ordine al contenuto del ricorso per il monitorio opposto e del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma (n. 893/2013), sia in ordine al contenuto specifico della successiva opposizione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE, elementi alla cui sola stregua questa Corte, quale Giudice di legittimità, avrebbe potuto ricostruire qual era, in effetti, la misura richiesta e riconosciuta degli interessi controversi.
Giova, infatti, ribadire che il ricorso deve «contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi» (v. Sez. 3, Ordinanza n. 23089 del 11/08/2025; Sez. 3, Ordinanza n. 24179 del 08/08/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 20139 del 13/07/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 19524 del 10/07/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 17983 del 22/06/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 14595 del 25/05/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 4571 del 14/02/2023; Sez. 5, Sentenza n. 22680 del 20/07/2022; Sez. 1, Sentenza n. 12481 del 19/04/2022; Sez. 5, Ordinanza n. 342 del 13/01/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 28184 del 10/12/2020; Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
E ciò perché la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo – in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito – non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutarne anche la fondatezza. Di tal che, esclusivamente
nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (in tal senso, v. Sez. 3, Ordinanza n. 6014 del 13/03/2018; cfr. anche: Sez. 5, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017; Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016; Sez. 5, Sentenza n. 19410 del 30/09/2015).
Del resto, ancorché la stessa sentenza della Corte EDU del 28/10/2021 (RAGIONE_SOCIALE e altri c/ Italia) abbia investito questa Corte del compito di non fare una interpretazione troppo formale del principio di autosufficienza, che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione; principio ripreso anche da Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022 – Rv. 664409-01), risulta, per vero, totalmente disatteso, nel caso di specie, l’orientamento che, ai fini del principio di autosufficienza, richiede, almeno, che la parte riproduca il contenuto del documento o degli atti processuali su cui proprio si fonda il ricorso, indicando, specificamente, la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così, ancora Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022).
Ne consegue che il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un giudicato interno sul punto, al cui riguardo intende questo Collegio dare continuità al principio enunciato, di recente, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la Sentenza n. 24172 del 29/08/2025, ai sensi del quale «ualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente su un vizio processuale rilevabile d’ufficio (in base alla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività), la parte che abbia interesse a far valere detto vizio è onerata di proporre, nel grado successivo, impugnazione sul punto, la cui omissione determina la formazione del giudicato interno sulla questione
processuale in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma primo, c.p.c., rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di Cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio ex officio. A tale regola si sottraggono, così da consentire al giudice dei gradi successivi di esercitare il potere di rilievo officioso, i vizi processuali rilevabili, in base ad espressa previsione legale, ‘in ogni stato e grado’ e i vizi relativi a questioni ‘fondanti’, la cui omessa rilevazione si risolverebbe in una sentenza inutiliter data , ovvero le ipotesi in cui il giudice abbia esternato la propria decisione come fondata su una ragione più liquida, che impedisce di ravvisare una decisione implicita sulla questione processuale implicata». Ed è evidente che il vizio in esame non rientra fra quelli definibili come ‘fondanti’.
Aggiungasi, quale ulteriore profilo di inammissibilità del mezzo, che il ricorso non si confronta, in parte qua, con l’ulteriore ratio decidendi , sufficiente a sostenere la statuizione della Corte d’appello, della indisponibilità dell’obbligazione tributaria, quale implicita ragione di indeducibilità illimitata dell’entità degli interessi (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
Per le esposte ragioni, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 12 settembre 2025.
Il Consigliere Est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME