Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18425 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18425 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE sedente in Roma, in persona del l.r., con avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 5994/18 resa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio e depositata in data 17 settembre 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con apposito avviso l’Agenzia accertava maggior imposta relativamente all’anno 2008, in particolare sulla base del rilievo di un’operazione elusiva costituita dalla deduzione degli interessi passivi (per l’anno in questione € 2.128.785,69), al saggio deliberato dalla RAGIONE_SOCIALE (poi appunto fusa per incorporazione nell’odierna controricorrente), pari a cinque punti in più di quello legale, da corrispondersi ai propri soci finanziatori per
CONDOTTA ABUSIVA INTERESSI PASSIVI
l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE, possedute dai medesimi soci, società poi fusa nella stessa Romana RAGIONE_SOCIALE. Veniva dedotto che non solo l’operazione (giustificata al fine di ridurre i costi di gestione e consentire l’emersione dei valori dei beni) ben avrebbe potuto essere realizzata attraverso una semplice fusione senza passaggio di cessione delle quote, ma altresì che – a detta dello stesso socio NOME COGNOME – gli interessi dedotti neppure venivano corrisposti ai soci.
Ancora, se la società RAGIONE_SOCIALE, dopo l’inizio delle operazioni di verifica, procedeva ad aumentare l’entità dei redditi dichiarati, mediante dichiarazione integrativa relativa all’anno in oggetto, ma appunto formulata e depositata nel 2011, la stessa compensava l’aumento suddetto con la deduzione di maggiori ammortamenti sugli immobili, comprensiva del disavanzo di fusione. L’ufficio , però, disconosceva tale diminuzione del reddito, in quanto la contribuente non aveva dimostrato che il maggior valore di partecipazione che avrebbe generato il suddetto disavanzo di fusione fosse stato a suo tempo tassato in capo ai cedenti delle quote.
La CTP respingeva il ricorso riconoscendo la natura abusiva dell’operazione, mentre la CTR accoglieva – con la sentenza di cui in epigrafe – il gravame della contribuente.
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, mentre la contribuente ha resistito a mezzo di controricorso.
Da ultimo la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
1.Col primo motivo si denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 36 d. lgs. n. 546/1992, per apparenza della motivazione della sentenza impugnata (in relazione al capo 1 a, con cui è stato annullato il primo rilievo).
1.1. Il motivo è fondato.
Si sostiene che l a CTR, a fronte di un’effettiva proposizione della questione relativa all’insussistenza di un interesse extrafiscale dell’operazione, dalla stessa CTR richiamata poco sopra, si è limitata ad osservare che il mancato rilievo della tassazione in capo ai soci sarebbe giustificato dal principio di cassa, mentre l’esposizione degli interessi quali componenti di costo dipendeva dall’applicazione di quello di competenza.
Si assume, inoltre, che la stessa Corte di secondo grado, a fronte di una dichiarazione di uno dei soci circa il mancato percepimento effettivo degli interessi, ulteriormente rafforzata dalla specificazione per cui non gli interessava neppure percepirli in quanto ‘altrimenti dovrei pagarci le tasse’, si è limitata a ritenere la natura ‘emotiva’ di siffatto ‘indizio’.
Orbene, il collegio osserva che nel rendere la motivazione il giudice del merito deve esplicare anche in modo sintetico, ma comprensibile, l’ iter logico che consente di giungere ad una determinata decisione.
Nella specie lo stesso giudice del merito premetteva che era in contestazione la sussistenza di un interesse economico extrafiscale, ma anziché individuarlo, eventualmente sulla base delle deduzioni della parte privata, ha svolto un’osservazione del tutto incongrua.
L’Agenzia, in ciò seguita dal giudice di primo grado, aveva infatti dedotto, come si ricava dalla parte in fatto, che l’abusività dell’operazione consisteva nella deduzione di interessi in effetti mai corrisposti e senza che l’operazione fosse accompagnata da un interesse extrafiscale, vista la coincidenza della compagine sociale di entrambe le società e , per l’ appunto, la mera apparenza dell’onere dedotto, oltre che del fatto che i risparmi gestionali avrebbero potuto essere realizzati anche senza la cessione di quote, semplicemente a mezzo della fusione.
A fronte di tutto ciò, trascurando integralmente qualsiasi riferimento alla sussistenza di un interesse extra-fiscale (le c.d. ‘valide ragioni economiche’), la CTR si è limitata a tentare di giustificare il superamento della questione con l’osservazione per cui la società mentre poteva dedursi gli interessi col criterio di competenza, gli stessi venivano tassati col criterio di cassa, eventualmente non coincidente (dipendendo dal momento della relativa corresponsione).
L’osservazione, se appunto è del tutto incongrua e inutile rispetto all’individuazione di una valida ragione economica, pur necessaria, dall’altro non vale neppure a giustificare il rilievo della non effettività della corresponsione degli interessi, non risultando affatto una simile giustificazione ed anzi emergendo un dato certamente rilevante, consistente in un’univoca dichiarazione resa da uno dei soci – potenziale percettore degli interessi – secondo cui gli stessi non venivano percepiti e ciò proprio per ‘non pagarci le tasse’, che di per sé esclude rilievo effettivo al costo per interessi, che neppure astrattamente, e tantomeno in futuro, ci si prefiggeva (da parte del socio creditore) di riscuotere.
Il superamento dell’effetto di tale elemento con l’osservazione della natura ‘emotiva’ dell’indizio sfugge completamente a qualsiasi razionale inquadramento, per risolversi in un’apodittica affermazione priva di riscontro e ancor prima di contenuto logico.
Va, peraltro, osservato che sul punto la sentenza si fonda altresì su un’altra ed autonoma ratio decidendi, oggetto però del secondo motivo cui si rimanda.
Quanto all’ulteriore rilievo (inerente alla variazione in diminuzione reddito contestuale a quella in aumento per gli interessi), esso sarebbe stato precluso dalla ‘prescrizione’ dell’accertamento relativo all’anno 2002, cui l’operazione si riferiva, oltre all’irrilevanza dell’adesione da parte della società relativamente all’anno d’imposta 2007, attesa l’autonomia delle singole annualità.
Su tale aspetto la censura nulla osserva e dunque sul punto la stessa non si appunta.
Col secondo motivo si deduce -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600/1973, 7 e 96 TUIR (avuto riguardo al capo 1 b), con cui era stato annullato il primo rilievo) , in quanto secondo l’Agenzia nessuna preclusione al potere accertativo poteva trarsi dalla circostanza per cui il contratto di mutuo si riferiva all’anno 2002.
2.1. Si tratta della seconda ratio decidendi che sostiene l’annullamento dell’avviso di accertamento con riguardo al profilo riferito al rilievo n. 1, sull’ indeducibilità degli interessi passivi.
In proposito la CTR osserva che il mutuo venne stipulato nel 2002, e che per quell’annualità l’accertamento del 2011 sarebbe tardivo, peraltro riferito all’anno d’imposta 2008.
Anche questo motivo è fondato, venendo così meno anche l’altra, autonoma, ratio che fonda l’annullamento relativamente al primo rilievo.
Invero l’art. 43 d. P.R. n. 600/1973, nel testo ratione temporis applicabile, stabilisce che gli avvisi di accertamento devono essere notificati entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Nella specie ci si riferisce alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2008 oggetto di un accertamento pacificamente avvenuto nel 2011, e pertanto in astratto del tutto tempestivo.
Il fatto poi che il contratto, da cui gli interessi scaturivano, e la delibera assembleare che stabiliva il saggio d’interesse, risalissero al 2002, va verificato alla luce del principio in base al quale ogni periodo d’imposta gode della propria autonomia, con tendenziale indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si sono verificati al di fuori dello stesso: così Cass. S.U. n. 13916/2006 e Cass. n. 24007/2013.
In particolare, con quest’ ultima pronuncia è stato condivisibilmente affermato che ‘ La determinazione e la tassazione del reddito non possono che essere suddivise in periodi di imposta dalla durata determinata (l’anno solare, ai fini IRPEF per le persone fisiche e le società di persone, l’anno sociale per i soggetti passivi dell’IRES), atteso che, per esigenze finanziarie dello Stato, il reddito non potrebbe essere misurato alla fine della vita del contribuente. E, d’altra parte, lo stesso principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. non vale di certo a radicare un diritto del contribuente alla valutazione globale della capacità contributiva riferita all’intero arco della sua esistenza, ma solo a determinare la necessità di un collegamento tra i diversi periodi di imposta, per tutte quelle situazioni che hanno rilievo in periodi differenti oltre a quello in cui emergono. Tra di esse rientrano, ad esempio, le perdite per il reddito di impresa (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma 3 e art. 102 nel testo applicabile ratione temporis) e la compensazione dell’eccedenza determinata da credito di imposta (art. 11, comma 3 dello stesso decreto e art. 94 nel testo previgente), che per la loro attitudine a produrre effetti per più periodi di imposta, sono considerate dal legislatore come eccezioni al principio dell’autonomia dei periodi di imposta (art. 7, comma 1 e art. 90 decreto cit., nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta). Stando così le cose, è evidente che il principio di autonomia dei periodi di imposta, enunciato dalla norma succitata in materia di imposte sui redditi, si traduce esclusivamente nella tendenziale indifferenza, con salvezza delle eccezioni suindicate, della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso (Cass. S.U. 13916/06, Cass. 9512/09) ‘.
Del resto anche di recente è stato sostenuto c he ‘In tema di imposte sul reddito d’impresa, in presenza di contestazione dell’Amministrazione finanziaria relativa all’insussistenza di una
posta passiva iscritta a bilancio, è onere del contribuente dimostrare l’esistenza e l’ammontare della stessa, oltre che l’inerenza all’attività di impresa esercitata ai fini della deduzione, senza che rilevi l’eventuale inerzia dell’Ufficio relativamente alla dichiarazione resa per i periodi di imposta precedenti, contenente la medesima posta, stante l’autonomia di ciascun periodo ai fini dell’esercizio del potere impositivo, tale per cui il termine decadenziale va valutato con riferimento al periodo di imposta cui si riferisce la dichiarazione rettificata’ (Cass. n. 14999/2020).
Così è stato ulteriormente statuito che ‘In caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale non per l’errato computo del singolo rateo dedotto, ma a causa del fatto generatore e del presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, ex art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, e non già del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio ‘ (Cass. SU n. 8500/2021).
Infine, si è chiarito che ‘In tema di imposte sul reddito d’impresa, l’amministrazione finanziaria, laddove ritenga, sulla base di una serie di circostanze indiziarie, che i finanziamenti dei soci costituiscano una posta fittizia dello stato patrimoniale, riportata di anno in anno nei bilanci, e che la relativa restituzione mascheri la distribuzione di utili derivanti da ricavi extracontabili, non è tenuta a rettificare anche la dichiarazione relativa al momento genetico in cui è stata contabilizzata la posta passiva relativa all’accensione del finanziamento, acquisendo la restituzione del fittizio finanziamento rilevanza reddituale al momento della distribuzione ai soci’ (Cass. n. 18372/2021).
Da quanto precede deriva l’affermazione del principio di diritto secondo cui il costo annuale discendente da interessi passivi ben può essere contestato nell’esercizio in cui viene imputato tra le poste passive, senza che la potestà di accertamento dell’amministrazione debba essere ragguagliata, ai fini della relativa permanenza rispetto ai termini indicati dall’art. 43 d. P.R. n. 600/1973, all’esercizio in cui geneticamente sorge il credito che tali interessi abbiano di anno in anno generato.
Col quarto motivo, da esaminarsi in base al principio dell’esame prioritario delle questioni risolvibili sulla base della ragione più liquida, si deduce violazione delle stesse norme di cui al secondo motivo, ma questa volta con riferimento al rilievo n. 2 (come detto, inerente alla variazione in diminuzione di maggiori ammortamenti sugli immobili, comprensiva del disavanzo di fusione).
In proposito la CTR ha ritenuto che anche tale rilievo sarebbe illegittimo in quanto i fatti contestati sarebbero anch’essi relativi all’anno 2002, con analogo effetto.
3.1. Pure questo motivo è fondato.
A parte il fatto che sul punto la sentenza probabilmente si basa su una confusione di fondo tra il primo ed il secondo rilievo operato (tanto che al proposito essa si rivolge al contratto di finanziamento), in ogni caso esso si riferisce ad un fatto incontestabilmente nuovo, risalente alla dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente appunto nel 2011, con cui andava ad incidere sull’ammortamento di beni e sulla deduzione del disavanzo di fusione.
Si trattò insomma, come del resto si ricava dal controricorso, di una riconsiderazione circa l’esatta definizione del singolo rateo delle deduzioni dei costi suddetti, ed allora il recupero si fonda proprio su tale sopravvenuto elemento, per cui a voler pure considerare quelli in esame costi pluriennali, si giustifica il rinnovato potere di
accertamento con riferimento all’anno in cui tale modifica avviene (in questo caso nel 2011 con riferimento all’anno 2008).
Dalla ritenuta fondatezza del primo, secondo e quarto motivo discende l’assorbimento del terzo e quinto motivo.
In definitiva vanno accolti i motivi primo, secondo e quarto, con assorbimento del terzo e del quinto. Da tanto consegue la cassazione della sentenza impugnata, con il rinvio della causa alla CTR del Lazio, in diversa composizione, che -oltre ad uniformarsi ai principi di diritto in precedenza evidenziati – provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo, dichiara assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio che, in diversa composizione, provvederà altresì a regolare le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2025.