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Interessi passivi: deducibilità tra inerenza e antieconomicità

Una holding ha contestato il diniego dell’Amministrazione Finanziaria alla deduzione degli interessi passivi su finanziamenti infragruppo, giudicati anti-economici. La Corte di Cassazione, evidenziando un contrasto giurisprudenziale sulla necessità del requisito di inerenza e sulla rilevanza dell’antieconomicità, ha rimesso la causa in pubblica udienza per una decisione di principio.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Interessi Passivi e Antieconomicità: la Cassazione Fa il Punto

La deducibilità degli interessi passivi è da sempre un tema caldo nel diritto tributario, specialmente nell’ambito dei gruppi societari. Una recente ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione riaccende il dibattito, sollevando questioni fondamentali sul rapporto tra inerenza del costo, scelte imprenditoriali e poteri di accertamento del Fisco. Data la complessità e i contrasti giurisprudenziali, la Suprema Corte ha ritenuto necessario rimettere la causa a una pubblica udienza per giungere a una decisione di principio.

Il Caso: Finanziamenti Infragruppo sotto la Lente del Fisco

La vicenda riguarda una holding italiana che si è vista contestare dall’Amministrazione Finanziaria la deducibilità degli interessi passivi corrisposti per due ingenti finanziamenti, per un totale di 50 milioni di euro, ricevuti da un’altra società del gruppo con sede in Irlanda. L’Ufficio non ha contestato la violazione formale delle norme fiscali (come l’art. 96 del TUIR), ma ha ritenuto l’intera operazione “antieconomica” e, di conseguenza, gli interessi non inerenti.

Secondo l’Amministrazione Finanziaria, i finanziamenti non erano finalizzati a sostenere l’attività della holding, bensì a favorire le consociate estere. L’antieconomicità dell’operazione è stata desunta da tre elementi principali:

1. La scelta della società di estinguere prima altri finanziamenti infruttiferi anziché quelli che generavano costi.
2. La contemporanea presenza di finanziamenti attivi a basso tasso d’interesse (1%) erogati dalla stessa società ad altre entità del gruppo.
3. La distribuzione di utili al socio invece di utilizzare tali risorse per ridurre l’indebitamento oneroso.

In sostanza, l’Ufficio ha ritenuto che la società fosse stata volutamente “caricata” di costi per sfruttare, attraverso il consolidato fiscale, il suo Reddito Operativo Lordo (ROL) e rendere deducibili interessi che altrimenti non lo sarebbero stati.

Interessi Passivi: Il Dibattito sull’Inerenza

Il cuore della questione giuridica, che ha spinto la Corte al rinvio, risiede nell’interpretazione dell’art. 109, comma 5, del TUIR e nel suo rapporto con la deducibilità degli interessi passivi. Sul punto, esistono due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

L’Orientamento Tradizionale

Un primo filone, più risalente, sostiene che gli interessi passivi siano sempre deducibili (nei limiti quantitativi imposti dall’art. 96 TUIR), senza che sia necessario un giudizio di inerenza. Questo perché la funzione finanziaria è connaturata all’impresa nel suo complesso e non può essere specificamente collegata a singoli ricavi o costi.

L’Orientamento più Recente

Un secondo orientamento, più recente, ha temperato questa assolutezza. Pur escludendo la necessità di un collegamento diretto con specifici componenti di reddito, ha affermato che deve comunque sussistere un vincolo con “l’attività dell’impresa nel suo complesso”. In altre parole, la presunzione di inerenza non è assoluta e può essere messa in discussione.

La Decisione Interlocutoria della Corte

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione non ha deciso il merito della controversia. Ha invece preso atto della rilevanza delle questioni e dei contrasti interpretativi, optando per una remissione della causa alla pubblica udienza. Questa scelta procedurale è riservata ai casi di particolare importanza, in cui è necessario stabilire un principio di diritto che possa orientare la giurisprudenza futura.

Le Motivazioni della Remissione a Udienza Pubblica

La Corte ha identificato tre nodi cruciali da sciogliere. Il primo riguarda l’interpretazione dell’art. 109 del TUIR e la reale portata del principio di inerenza per gli interessi passivi. Il secondo è il rapporto tra il giudizio di inerenza e la valutazione di anti-economicità delle scelte gestionali dell’imprenditore, specialmente nelle operazioni infragruppo. Infine, il terzo punto tocca la delicata linea di confine tra una condotta anti-economica, la mancanza di inerenza e una possibile fattispecie di abuso del diritto.

La necessità di un chiarimento è impellente. L’incertezza attuale crea notevoli difficoltà operative per le imprese, che faticano a prevedere l’esito di un eventuale controllo fiscale su operazioni di finanziamento complesse. La Corte dovrà stabilire fino a che punto il Fisco possa sindacare le scelte imprenditoriali sulla base di un criterio di convenienza economica, senza invadere l’autonomia gestionale garantita all’imprenditore.

Conclusioni: Cosa Aspettarsi dalla Decisione Futura

La futura sentenza che scaturirà dalla pubblica udienza avrà un impatto significativo sul diritto tributario societario. Sarà chiamata a definire con chiarezza i limiti del potere di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria di fronte a operazioni di finanziamento infragruppo. Una decisione favorevole al contribuente potrebbe ribadire un principio di insindacabilità delle scelte imprenditoriali, purché formalmente lecite. Al contrario, una decisione a favore del Fisco rafforzerebbe il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, consentendo una valutazione più penetrante della razionalità economica delle operazioni ai fini della deducibilità dei costi. In ogni caso, si attende un principio di diritto che possa finalmente portare chiarezza su un tema tanto dibattuto.

Gli interessi passivi su un finanziamento sono sempre deducibili dal reddito d’impresa?
Secondo l’ordinanza, la questione è controversa. Un orientamento giurisprudenziale ritiene che siano sempre deducibili (nei limiti quantitativi di legge) senza un’ulteriore prova di inerenza. Un orientamento più recente, invece, ammette che possa essere richiesto un collegamento con l’attività d’impresa nel suo complesso, aprendo a possibili contestazioni.

L’Amministrazione Finanziaria può giudicare una scelta aziendale come “anti-economica” e per questo negare la deduzione dei costi?
Questo è uno dei punti centrali che la Corte dovrà chiarire. L’ordinanza mostra che l’Amministrazione Finanziaria ha basato il suo accertamento proprio su una valutazione di anti-economicità. La futura sentenza dovrà stabilire se e a quali condizioni tale giudizio sia sufficiente per disconoscere l’inerenza di un costo e, di conseguenza, la sua deducibilità.

Perché la Corte di Cassazione ha emesso un’ordinanza interlocutoria senza decidere il caso?
La Corte ha scelto questa via perché le questioni di diritto sollevate sono di “particolare rilevanza” e perché esistono orientamenti giurisprudenziali contrastanti. La remissione della causa a una pubblica udienza permette una discussione più approfondita e mira all’emanazione di una sentenza che stabilisca un principio di diritto chiaro e consolidato, valido per futuri casi simili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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