Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 876 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 876 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29310/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1297/12/2019, della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sezione 12, depositata il 1.3.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
Con l’avviso di liquidazione n. 2010/002/DI/000003775/0/001, l’Agenzia delle Entrate richiedeva alla Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. il pagamento della somma di euro 26.694,00 a titolo di imposta principale di registro, dovuta in seguito alla registrazione del decreto ingiuntivo n. 3775/2010, emesso dal Tribunale di Palermo su istanza della stessa BNL (creditrice) nei confronti della FACIS S.p.A. (debitore) e della HIB S.p.A. (società garante che aveva rilasciato una fidejussione).
La BNL S.p.A. proponeva ricorso eccependo, preliminarmente, l’illegittimità dell’atto per difetto di motivazione e, nel merito, deduceva che l’imposta principale doveva essere liquidata in misura fissa, in considerazione della natura del rapporto sottostante l’azione giudiziale, rilevante ai fini Iva.
La CTP di Palermo, con sentenza n. 5789/02/2015, accoglieva il ricorso ritenendo che l’avviso di liquidazione fosse del tutto privo di motivazione e che alla fattispecie dovesse trovare applicazione il disposto di cui all’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, con la tassazione in misura fissa dell’intero provvedimento.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello e confermava integralmente le motivazioni della sentenza di primo grado.
L’ufficio proponeva ricorso in Cassazione, affidato a quattro motivi.
La BNL S.p.A. ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo, rubricato ‘Violazione e/o falsa applicazione di legge: ‘art. 54 d.P.R. 131/1986, art. 7 L. 212/2000; art. 3 L. 241/1990 (art. 360 n. 3 c.p.c.)’, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto illegittimo, per carenza di motivazione, l’avviso di liquidazione. In particolare, ha dedotto che, nel predetto atto, integralmente trascritto in ricorso in ossequio al canone di autosufficienza erano
stati indicati gli estremi del decreto ingiuntivo n. 3775/2010 del Tribunale di Palermo, atto noto alla banca, creditore ingiungente, con la conseguenza che non poteva esservi dubbio che la stessa fosse ben a conoscenza della base imponibile sulla quale applicare le aliquote previste dalla legge.
1.1. L’eccezione di inammissibilità del motivo, spiegata dalla difesa della controricorrente, deve essere disattesa.
Questa Corte, infatti, ha da tempo chiarito che il vizio di violazione di legge ‘consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ ( ex multis , Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549 -02).
Nel caso di specie, l’Agenzia si duole dell’erronea applicazione dei principi elaborati dalla Suprema Corte in tema di obbligo di motivazione e lesione del diritto di difesa alla fattispecie concreta e non della cattiva applicazione degli stessi rispetto ai fatti allegati nel giudizio di merito.
La censura, pertanto, deve ritenersi ammissibile.
1.2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
La S.C., in fattispecie del tutto analoga, con principi pienamente condivisi dal Collegio, ha affermato che in tema di imposta di registro su atti giudiziari, l’obbligo di motivazione dell’avviso di liquidazione, gravante sull’Amministrazione, è assolto con l’indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, senza necessità di allegazione dell’atto, purché i
riferimenti forniti lo rendano agevolmente individuabile, e conseguentemente conoscibile senza la necessità di un’attività di ricerca complessa, realizzandosi in tal caso un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (Sez. 5, Ordinanza n. del 07/04/2022, Rv. 664341 – 01).
In particolare, l’Amministrazione finanziaria è esonerata dall’obbligo di allegare all’avviso di liquidazione la sentenza su cui esso si fonda, in quanto trattasi di atto di cui il contribuente, parte del relativo giudizio, è a conoscenza; diversamente tale incombente si risolverebbe in un adempimento superfluo ed ultroneo che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria, ponendosi così in contrasto con i canoni generali della collaborazione e della buona fede (Sez. 5, Ordinanza n. del 08/10/2020, Rv. 660076 01).
Nel caso di specie, deve ritenersi che la CTR non abbia fatto buon governo dei predetti principi non considerando adeguata la motivazione dell’atto impugnato, pur dando atto essa stessa nella narrativa della sentenza che erano indicati ‘gli estremi del decreto ingiuntivo’, come d’altronde emerge dal testo dell’avviso trascritto in ricorso, che ne riporta la data (“16/12/2010”) ed il numero (“000003775/2010”) il nominativo della parte ingiunta (“Facis RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE“) e del creditore della parte ingiungente (“BNL S.p.RAGIONE_SOCIALE“), l’indicazione del tipo d’imposta richiesta (“imposta di registro”) e del codice tributo (“109T”), il riferimento normativo (“art. 37 e segg. D.P.R. 131/86”), e l’ammontare (euro 26.699,00).
Con il secondo motivo, rubricato ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.), l’Ufficio ha
censurato la sentenza impugnata per non avere il giudice d’appello esaminato il motivo di impugnazione relativo all’avvenuta tassazione degli interessi moratori contenuti nel decreto ingiuntivo con l’aliquota proporzionale del 3% e non con l’aliquota fissa (applicata, invece, dall’Ufficio alla sorta capitale).
2.1. Il motivo è infondato.
Invero, ricorre la violazione dell’articolo 112 c.p.c. quando manchi del tutto la pronuncia del giudice del merito (cd. omessa pronuncia) sulla domanda (o su un capo di essa) o su un’eccezione ritualmente proposte. Come più volte precisato dalla S.C., con il vizio di omessa pronuncia si lamenta la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c. (quindi, né con la denuncia di violazione di norme di diritto sostanziale né attraverso il vizio di motivazione (cfr., tra le più recenti, Sez. 5 , Ordinanza n. del 23/10/2024, Rv. 672731 – 01).
Nella specie, la CTR, dopo aver ribadito che la condanna è relativa ad un debito ‘scaturito da un rapporto di conto corrente e di finanziamento’, ha espressamente richiamato il principio di alternatività di cui all’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, con la conseguente applicazione dell’imposta in misura fissa all’intero importo di cui al decreto ingiuntivo, in tal modo implicitamente rigettando la censura dell’Ufficio relativa all’avvenuta applicazione dell’imposta proporzionale agli interessi moratori.
3. Con il terzo motivo, rubricato ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, lett. b) della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 (art. 360 n. 3 c.p.c.)’, l’Ufficio censura la decisione della corte distrettuale deducendo che le somme dovute a titolo di interessi moratori, se formano oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale, sono da assoggettare ad imposta
proporzionale, anche nel caso in cui riguardano somme la cui sorte capitale è relativa ad operazioni assoggettate ad Iva.
3.1. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Invero, è orientamento consolidato di questa Corte che le somme dovute a titolo di interessi moratori, in forza del disposto di cui all’art. 15, comma 1, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’IVA, con la conseguenza che esse -ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale – sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad Iva (in termini: Cass, Sez. 5^, 1 giugno 2007, n. 12906; Cass., Sez. 5^, 15 ottobre 2014, n. 21775; Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2015, n. 22228; Cass., Sez. 5^, 19 giugno 2020, n. 12013; Cass., Sez. 5^, 12 maggio 2021, nn. 12463, 12464 e 12465; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 17869; Cass., Sez. 6^-5, 2 febbraio 2022, n. 3143; Cass., Sez. 5^, 7 aprile 2022, n. 11283; Cass., Sez. 5^, 4 luglio 2022, n. 21107). In coerenza con tale principio, questa Corte ha affermato che le sentenze di condanna che le banche ottengono per il recupero dei finanziamenti dalla clientela vanno sottoposte a tassazione fissa, in base alla previsione della nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima annessa al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, quando questi ultimi non abbiano natura moratoria, come tali esclusi, a norma dell’art. 15, comma 1, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dalla base imponibile Iva, ma siano gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale o annuale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorché esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’Iva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 luglio 2017, n. 17276; Cass., Sez. 5^, 12 febbraio 2020, n. 33798; Cass., Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, n.
17036; Cass., Sez. 5^, 8 ottobre 2020, n. 21702; Cass., Sez. 5^, 9 dicembre 2020, n. 28031; Cass., Sez. 5^, 1 giugno 2021, n. 15268: Cass. Sez. 6 – 5^, 15 novembre 2022, n. ).
La sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi laddove ha erroneamente ritenuto che ‘poiché la condanna risulta essere relativa ad un debito scaturito da un rapporto di conto corrente e di finanziamento, in applicazione del principio di alternatività di registro (art. 40 d.P.R. 131 del 1986), risulta esigibile la sola imposta in misura fissa’, senza valutare di essere al cospetto di un decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto per scoperti di conto corrente: gli interessi corrispettivi e quelli moratori si fondano difatti su presupposti diversi e antitetici, essendo i primi previsti per il caso di (e fino al) regolare adempimento del contratto e i secondi per il caso di (e in conseguenza dell’) inadempimento del contratto (tra varie, Cass. n. 14214/22).
In accoglimento del motivo, pertanto, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria della Sicilia, in diversa composizione, perché calcoli l’importo dovuto a titolo di imposta di registro in relazione al decreto ingiuntivo per cui è causa, da sottoporre a tassazione in misura proporzionale per la parte relativa agli interessi moratori.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 (principio di alternatività Iva/registro), dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 6, parte I della tariffa, d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.’, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la decisione impugnata insistendo nella correttezza della tassazione del rapporto fideiussorio ritenuto, ex art. 22 del citato d.P.R., atto distinto ed autonomo rispetto alla condanna disposta dal decreto ingiuntivo sottoposto a registrazione, da tassare con l’applicazione dell’aliquota proporzionale dello 0,50%.
4.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte, esaminando una fattispecie analoga, ha di recente affermato che: ‘Alla fattispecie controversa deve trovare, invece, applicazione altro principio acquisito, e mai smentito, secondo cui la registrazione del decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto dal creditore per il pagamento di somme assoggettate ad Iva gode dell’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, giusta il principio dell’alternatività previsto dall’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Il dato secondo cui l’ingiunzione di pagamento sia emessa contro il solo debitore principale, contro il solo fideiussore o contro entrambi, sempre che non si tratti di soggetti Iva, non assume alcun rilievo (Cass., Sez. 1^, 7 aprile 1998, n. 3572; Cass., Sez. 1^, 12 maggio 1998, nn. 4767 e 4771; Cass., Sez. 1^, 14 maggio 1998, n. 4862; Cass., Sez. 1^, 3 marzo 1999, n. 1776; Cass., Sez. 1^, 2 ottobre 1999, n. 10935; Cass., Sez. 5^, 22 dicembre 2000, n. 16098; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2001, n. 8127; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2007, n. 9390)…In continuità con tale orientamento, questa Corte ritiene che, in tali ipotesi, l’elemento dirimente ai fini impositivi sia il conseguimento da parte del creditore soggetto Iva di un unico titolo esecutivo per il soddisfacimento del proprio diritto, a prescindere dal fatto che tale diritto trovi la sua fonte sia nel rapporto principale con il debitore che nel rapporto accessorio con i fideiussori. La delineata natura del fatto tassabile comporta, come logico corollario, l’identità del prelievo fiscale, indipendentemente dalla circostanza che l’obbligazione di uno dei debitori discenda da un contratto fideiussorio ed abbia connotazioni di sussidiarietà. Decisiva è la posizione del creditore, dato che, come si è visto, la tassazione investe il titolo esecutivo dallo stesso ottenuto: se il creditore ha la qualità di soggetto Iva, e se l’adempimento reclamato è riconducibile nell’ambito di una fattispecie che implichi l’insorgenza del suo obbligo di pagare l’Iva, come appunto si verifica per chi conceda un prestito di denaro di cui ha diritto alla restituzione, il
provvedimento giudiziale assume la consistenza di condanna ad un pagamento sottoposto all’Iva medesima. Tanto basta per giustificare l’operatività del canone della prevalenza dell’Iva sull’imposta di registro in misura proporzionale, atteso che la relativa regola si ricollega al mero assoggettamento di quel pagamento all’Iva, senza che assuma rilevanza la circostanza che la condanna si rivolga contemporaneamente al debitore principale ed al coobbligato solidale, per il quale la fonte dell’obbligo nasce da un rapporto distinto, quale il negozio costitutivo della fideiussione; per il creditore la condanna ha sempre ad oggetto un pagamento sottoposto ad Iva, quale che sia il soggetto tenuto al pagamento (il beneficiario del finanziamento od il terzo che abbia offerto garanzia)’ ( Sez. 5, Sentenza n. 16229 del 2024; v. pure Cass., Sez. Un., n. 18520/19, punto 6, che distingue l’ipotesi in esame da quella del decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore, soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in cui il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato).
Come correttamente affermato dalla CTR nella sentenza impugnata, all’ingiunzione di pagamento che il creditore abbia ottenuto sia nei confronti del debitore inadempiente che nei confronti del fideiussore per il recupero di somme soggette ad Iva, non è applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale bensì in misura fissa, in base alla previsione della nota II all’art. 8 della tariffa annessa al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, senza che assuma rilievo se il provvedimento giudiziale sia stato emesso contro il solo debitore principale, il solo fideiussore o contro entrambi, sempre che non si tratti di soggetti Iva.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, può essere enunciato il seguente principio di diritto: ‘In tema di alternatività Iva Registro,
in presenza di un decreto ingiuntivo, unico titolo esecutivo ottenuto dal creditore soggetto ad Iva, sia nei confronti del debitore principale, sia nei confronti del fideiussore, l’elemento dirimente è il conseguimento da parte dello stesso creditore di un unico titolo; con la conseguenza che in tale ipotesi non è applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale, bensì in misura fissa, in base alla previsione della nota II all’art. 8 della tariffa annessa al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, senza che assuma rilievo che il provvedimento giudiziale sia stato emesso contro il solo debitore principale, il solo fideiussore o contro entrambi’.
In conclusione, il ricorso va parzialmente accolto, limitatamente al primo ed al terzo motivo, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria della Sicilia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per i profili corrispondenti alla Corte di Giustizia Tributaria della Sicilia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite.
Così deciso, in Roma, 29 novembre 2024