Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4714 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 22/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9943/2024 R.G. proposto da : BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A.RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE 1 DI ROMA UFFICIO TERRITORIALE DI ROMA 2 AURELIO, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di II° GRADO LAZIO n. 6135/2023 depositata il 31/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Banca ricorrente contesta la decisione di accoglimento parziale emessa sull’a ppello presentato contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 2750/2022, la quale
aveva rigettato il ricorso della Banca contro un avviso di liquidazione dell’imposta di registro, dovuta per la registrazione di un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma a favore della Banca. Il detto decreto ingiuntivo riguardava il recupero di un credito relativo a un conto corrente in sofferenza, assistito da garanzia fideiussoria.
La Banca, in particolare, aveva sollevato tre motivi in sede di appello: la carenza di motivazione dell’avviso di liquidazione, sostenendo che l’avviso non consentiva di comprendere l’ iter logico seguito dall’Agenzia delle Entrate per il calcolo dell’imposta, in quanto la somma delle singole voci indicate nell’avviso non corrispondeva all’importo complessivo richiesto; la errata qualificazione degli interessi, qualificati come moratori, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale, mentre in assenza di una esplicita indicazione nel decreto ingiuntivo gli interessi avrebbero dovuto essere considerati corrispettivi e quindi soggetti a tassazione in misura fissa; la violazione del principio di alternatività IVA/registro, atteso che la fideiussione, essendo legata a un credito soggetto a IVA, doveva essere tassata con l’imposta di registro in misura fissa, in base al principio di alternatività tra IVA e imposta di registro.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado ha accolto parzialmente l’appello della Banca, riformando la sentenza di primo grado nei seguenti termini: ha rigettato il primo motivo di appello ritenendo l’avviso di liquidazione sufficientemente motivato, in quanto conteneva tutti gli elementi essenziali per consentire alla Banca di individuare l’atto soggetto a imposta e il procedimento di calcolo (ha considerato l’omissione del termine “detratte” prima dell’importo relativo all’imposta già versata per la fideiussione come un mero errore materiale, non lesivo del diritto di difesa della Banca); ha rigettato anche il secondo motivo di appello, confermando la qualificazione degli interessi come moratori, sostenendo che tale qualificazione era desumibile dalla richiesta di decreto ingiuntivo presentata dalla Banca
stessa, la quale aveva evidenziato il protrarsi dell’inadempimento e la necessità di ottenere il ristoro del pregiudizio subito. Quanto al terzo motivo, relativo alla violazione del principio di alternatività IVA/registro, lo stesso è stato invece accolto. Il giudice del gravame ha riconosciuto che la fideiussione, essendo accessoria a un’operazione finanziaria soggetta a IVA, doveva essere tassata con l’imposta di registro in misura fissa, evidenziando in proposito che l’esenzione IVA non esclude l’applicazione del principio di alternatività.
La Banca, parzialmente vittoriosa, ha formulato ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Il ricorso è stato oggetto di PDA ai sensi dell’art. 380 bis cpc.
Parte ricorrente ha chiesto che la causa venisse decisa.
L’Agenzia risulta costituita con controricorso.
Sono state depositate memorie da parte della ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la banca contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma I, n. 3 c.p.c. il vizio della sentenza impugnata per violazione ed errata applicazione del D.P.R. 131/86, art. 40, del D.P.R. 131/86 art. 8, lett. b) nota II, Tariffa Allegata, D.P.R. 131/86 art. 20 e D.P.R. 633/73, art. 15.
1.1. In particolare, la Banca contesta la qualificazione degli interessi ingiunti nel decreto come “moratori” e, di conseguenza, l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale. La Banca sostiene che, in base all’art. 20 del D.P.R. 131/86 (Testo Unico Imposta di Registro), l’imposta di registro deve essere applicata in base alla natura intrinseca dell’atto, desumibile esclusivamente dal testo del decreto ingiuntivo, senza considerare elementi extratestuali, argomentando che il decreto ingiuntivo non specifica la natura degli interessi e che, in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, in assenza di tale specificazione, gli interessi non possono essere considerati moratori. Ritiene che l’interpretazione dell’atto giudiziario
debba essere limitata al suo contenuto testuale, senza considerare gli scopi perseguiti dalle parti.
1.2. Parte controricorrente ha sostenuto che la doglianza è inammissibile perché sollevata solo in appello, violando l’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992, ed infondata, in ragione del fatto che la natura moratoria degli interessi non si evince da elementi extratestuali, ma dalla stessa documentazione presentata dalla Banca nel ricorso per decreto ingiuntivo. Inoltre, afferma che la Banca aveva richiesto espressamente la corresponsione di interessi al tasso del 5% annuo, evidenziando il protrarsi dell’inadempimento da parte del debitore e dei fideiussori, e che la corresponsione di tali interessi era finalizzata a ristorare la Banca del pregiudizio subito a causa dell’inadempimento.
1.3. La censura non può essere accolta.
1.4. Non può, infatti, ritenersi sussistere la dedotta violazione dell’art. 20 cit., essendo mancato il riferimento a dati extratestuali. Il principio invocato dalla ricorrente, in astratto corretto, non è dunque pertinente alla fattispecie odierna, in quanto non viene in rilievo l’applicazione della norma invocata, atteso che la natura degli interessi moratori si desume da elementi endogeni alla fattispecie stessa (il decreto ingiuntivo ed il relativo ricorso monitorio con gli allegati (sul punto si veda il principio espressa da Cass. 22/07/2024, n. 20055), e non da elementi esogeni.
1.5. Come evidenziato da parte controricorrente, l’Ufficio tra l’altro aveva già eccepito, nel grado di appello, l’inammissibilità della doglianza ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992, poiché prospettata da controparte, sotto il profilo della violazione dell’art. 20 del T.U.R., per la prima volta in sede di gravame.
1.6. Condivisibile, come accennato (e come anche dedotto sempre dall’Ufficio , nelle controdeduzioni depositate nel grado di appello) è la argomentazione che non vi è stata alcuna violazione, da parte dell’ amministrazione , dell’art. 20 del T.U.R., in quanto,
contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente, la natura moratoria degli interessi in questione si evince non da ‘elementi esogeni’, ma dalla stessa documentazione depositata dalla contribuente, che ha espressamente richiesto la corresponsione degli interessi ‘al tasso del 5% annuo’, evidenziando che, ‘nonostante le obbligazioni siano da lungo tempo scadute e siano state indi inviate lettere di revoca delle linee di credito e di costituzione in mora … non è stato possibile ottenere il pagamento, neppure parziale’ (cfr. pagg. 1 e 3 del ricorso per decreto ingiuntivo, già allegato dall’Ufficio alle proprie controdeduzioni depositate in primo grado).
1.7. La loro corresponsione, per espressa indicazione della odierna ricorrente, era, dunque, finalizzata a ristorare la Banca del dedotto grave pregiudizio derivante dal protrarsi dell’inadempimento da parte della debitrice principale e dei fideiussori.
1.8. Per le ragioni sopra esposte, correttamente gli interessi de quibus sono stati considerati come ‘moratori’ e assoggettati a tassazione con l’applicazione dell’imposta in misura proporzionale’
1.9. In questo senso la proposta di PDA ha fatto riferimento alla sentenza n. 33535/2022 (si veda in particolare il chiaro principio in tal senso espresso dalla detta decisione, a pagina n. 5) e non certamente, come invece afferma il ricorrente, con riferimento alla natura moratoria degli interessi dovuti per le transazioni commerciali ex D. Lgs 231/2002 ivi considerate, esulanti dalla presente fattispecie.
1.10. Il motivo è dunque infondato.
Con il secondo motivo di ricorso si censura, con riferimento all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c., la sentenza impugnata per violazione ed errata applicazione degli artt. 7 Legge 212/2000 e 2697 c.c.
2.1. La Banca lamenta la nullità dell’avviso di liquidazione per carenza di motivazione, sostenendo che non è possibile desumere dall’avviso l’ iter logico seguito dall’Agenzia delle Entrate per il calcolo dell’imposta, e ritenendo che l’avviso di liquidazione debba contenere
una chiara esplicazione degli elementi necessari per il calcolo dell’imposta, inclusi i riferimenti normativi, la base imponibile e l’aliquota. In particolare, la somma delle singole voci indicate nell’avviso non corrisponderebbe all’importo complessivo richiesto, evidenziando un errore di calcolo da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’integrazione motivazionale fornita dall’Agenzia delle Entrate solo in sede di giudizio, invece, sarebbe tardiva ed in violazione dell’art. 7 della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), considerato che eventuali carenze motivazionali non possono essere sanate in sede giudiziale.
2.2. Parte controricorrente ha correttamente dedotto che la doglianza sarebbe infondata -da qui la correttezza della sentenza impugnata – perché l’avviso di liquidazione conteneva tutti gli elementi essenziali per consentire alla Banca di individuare l’atto giudiziario soggetto ad imposta e il procedimento di calcolo dell’imposta stessa, atteso che l’avviso indicava le parti del giudizio, l’oggetto del decreto ingiuntivo, gli importi degli interessi e della fideiussione, il numero e la data del decreto ingiuntivo e l’ufficio giudiziario che lo aveva emesso. Sussisteva solo un mero errore materiale -non integrante vizio motivazionale -nell’omissione del termine “detratte” prima dell’importo di € 468,00 relativo all’imposta già versata per la fideiussione, e nel dettaglio del calcolo dell’imposta dovuta (€ 2.453,00), fornito dalla Agenzia, risulta che l’importo richiesto era corretto. Deduce dunque che la mancata indicazione del termine “detratte” non ha leso il diritto di difesa della Banca, in quanto l’errore è stato chiarito in giudizio e non incideva sulla pretesa impositiva. La mancata esposizione del calcolo puntuale degli interessi nell’avviso di liquidazione sarebbe invece giustificata dal fatto che l’Ufficio ha applicato il tasso del 5% indicato dalla Banca nel ricorso per decreto ingiuntivo, agendo in funzione vincolata, attenendosi al decisum del Tribunale e ai criteri di determinazione indicati dalla Banca stessa:
l’ammontare degli interessi era perciò facilmente individuabile dalla Banca sulla base degli atti del giudizio.
2.3. La sentenza impugnata mostra piena rispondenza all’orientamento di legittimità in materia di requisiti motivazionali minimi dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro su provvedimenti giudiziari. In proposito, la giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. n. 11283/22) stabilisce che, in tema di imposta di registro su atti giudiziari, l’obbligo di motivazione gravante sull’Amministrazione si considera soddisfatto con l’indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, senza la necessità di allegare l’atto. È sufficiente che i riferimenti forniti consentano di individuare facilmente il provvedimento, rendendolo conoscibile senza richiedere attività di ricerca complessa. Tale impostazione, infatti, realizza un bilanc iamento adeguato tra l’esigenza di efficienza nell’azione amministrativa e il diritto di difesa del contribuente.
2.4. Questa Corte condivide, in sintesi, le argomentazioni espresse in sede di PDA.
2.5. Nel caso specifico, l’avviso in questione (allegato al ricorso per cassazione) riportava tutti gli estremi identificativi essenziali della pretesa fiscale, incluse le informazioni sui presupposti fattuali e le motivazioni giuridiche della quantificazione, distinguendo le basi imponibili e le aliquote applicate, ovvero lo 0,5% per la fidejussione e il 3% per gli interessi. Inoltre, sebbene l’avviso non specificasse che l’importo differenziale di 468,00 euro doveva essere detratto e non aggiunto, poiché già versato al momento della liquidazione, questa mancata specificazione non risultava ingannevole per la Banca, come implicitamente valutato dal giudice di merito. Il prospetto finale di liquidazione, del resto, indicava chiaramente l’importo totale di eu ro 2.453,00, fugando ogni dubbio interpretativo in merito.
2.6. Non può dunque ritenersi sussistente la dedotta violazione ed errata applicazione degli artt. 7 della legge 212/2000 e 2697 c.c. da parte della sentenza gravata.
2.7. Il motivo non può essere accolto.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. in combinato disposto con l’art. 96 c.p.c. deve disporsi la condanna per responsabilità aggravata in favore di parte vittoriosa e la condanna in favore della Cassa delle ammende nella misura specificate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere a parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Condanna la parte ricorrente a rifondere la parte controricorrente, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e 96 terzo comma cpc, un importo pari 1.500,00.
Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e 96 quarto comma cpc condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/01/2025.