Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7005 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7005 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18150/2023 rg proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Siena INDIRIZZO iscritta nel Registro delle Imprese di Siena al n. P_IVA, banca iscritta all’albo delle banche e Capogruppo del Gruppo Bancario Monte dei Paschi di Siena, iscritto all’Albo dei Gruppi Bancari, codice banca 1030.6, codice Gruppo 1030.6, cod. banca 1030.6, in persona del Dott. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in qualità di Deliberante con funzione “Credito Problematico’, livello di procura E5, della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. e come tale rappresentante della medesima, giusta procura del 17/04/2023 a rogito del Dott. NOME COGNOME Notaio in Siena (rep. n. 42423 – racc. n. 21712), rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE per delega a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliata presso il di lui studio in Ancona, alla INDIRIZZO (indirizzo PEC:
Imposta di registro decreto ingiuntivo -Interessi moratori
EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore pro tempore , e Agenzia delle Entrate – Riscossione (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore pro tempore , rappresentate e difese ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587; fax: NUMERO_TELEFONO; PEC: EMAIL), presso i cui uffici sono domiciliate in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
-avverso la sentenza 598/2023 emessa dalla CTR Lombardia il 14/02/2023 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. impugnava davanti la Commissione Tributaria Provinciale di Milano l’avviso di liquidazione n. 2017/001/DI/000023818/0/001 emesso dall’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale I di Milano, relativo all’impos ta di registro del decreto ingiuntivo n. 23818/2016 emesso dal Tribunale di Milano, ritenendo illegittima l’applicazione del tributo, oltre che per l’enunciazione della fideiussione, anche sugli interessi, poiché reputati non moratori (alternatività Iva-registro).
L’adìta CTP accoglieva il ricorso.
Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello sugli interessi, statuendo che fossero moratori, in considerazione del fatto che non erano maturati in costanza di rapporto obbligatorio, ma in un momento successivo alla sua interruzione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria
illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., la violazione ed errata applicazione degli artt. 20 d.P.R. n. 131/1986 e 15 d.P.R. n. 633/1972, per aver la CTR qualificato gli interessi come moratori valo rizzando anche elementi estranei all’atto giudiziario.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., la violazione ed errata applicazione dell’art. 8, lett. b), della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986.
I due motivi, esattamente sovrapponibili, vanno trattati congiuntamente e si rivelano infondati.
Nel caso di specie, la CTR non ha valorizzato, ai fini della (ri)qualificazione degli interessi, elementi extratestuali (peraltro neppure indicati dalla ricorrente) o negozi collegati, in tal guisa incorrendo nella violazione del testo attuale dell’art. 20 D.P.R. 131/1986, come modificato dalla l. n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), avendo rilevato che, essendo stato richiesto il loro pagamento in sede di procedimento monitorio, come accessorio rispetto al versamento dovuto (e non avvenuto) delle rate di restituzione di un finanziamento, erano appunto connessi al pagamento ritardato di un debito (anziché, come quelli corrispettivi, essere dovuti in relazione al semplice utilizzo del capitale altrui), nonché la circostanza che non erano maturati in costanza di rapporto obbligatorio, ma in un momento successivo alla interruzione del rapporto contrattuale (avvenuta nel 2016 come da comunicazioni al debitore).
In tema di imposta di registro, la sentenza di condanna che un istituto di credito ottenga per il recupero delle somme dovutegli per un finanziamento, alla luce del principio di alternatività con l’IVA consacrato nell’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, va sottoposta a tassazione fissa, in base alla previsione della nota II dell’art. 8 della tariffa, parte I, allegata al detto decreto, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, quando
questi ultimi non abbiano natura moratoria – come tali esentati, ex art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972, dalla base imponibile IVA, con conseguente applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8 della detta tariffa -, ma siano gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorché esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’IVA (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 33535 del 15/11/2022).
Del resto, la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere il decreto ingiuntivo, in tal guisa precludendo a questo Collegio la possibilità di scrutinare, in particolare, se la circostanza che l’interruzione del rapporto contr attuale sia avvenuta nel 2016 (e, quindi, in epoca anteriore al dies a quo di decorrenza -27.1.2017 -degli interessi convenzionalmente pattuiti) fosse stata desunta da elementi estranei al provvedimento monitorio. A tacer del fatto che la contribuente non ha neppure dedotto da quale elemento esogeno la CTR avrebbe, invece, desunto il detto dato.
Congruo dal punto di vista logico e corretto sul piano giuridico, e, per l’effetto, non censurabile nella presente sede, si rivela il riconoscimento della natura moratoria degli interessi anche perché non maturati in costanza di rapporto obbligatorio, ma in un momento successivo alla interruzione del rapporto contrattuale.
Stante la natura moratoria dei detti interessi, gli stessi, essendo classificati dall’art. 15 del d.P.R. n. 633/1972 come prestazioni fuori campo IVA, non concorrono a formare la base imponibile, sì che per gli stessi non opera il regime di alternatività d i cui all’art. 40 del d.P.R. n. 131/1986. Invero, le somme dovute a titolo di interessi moratori, in forza del disposto di cui all’art. 15, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’IVA, con la conseguenza che esse – ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale – sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA (Cass., Sez. 5, Sentenza n.
21775 del 15/10/2014; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22228 del 30/10/2015).
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano coma da dispositivo. Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta di inammissibilità a firma del consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come previsto dal citato art.
380-bis c.p.c.
La novità normativa introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 149/2022 contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, c.p.c.). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale.
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equivalente alle spese liquidate in favore del controricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e al pagamento della di euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 600,00, oltre alle spese prenotate a debito; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento in favore della resistente dell’ulteriore somma di euro 600,00;
condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 11.2.2025.