Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14655 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14655 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 7462/2017 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale alle liti a margine del controricorso, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO. PEC: EMAIL
– controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Varese, INDIRIZZO angolo INDIRIZZO nella persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 4634/2016, depositata in data 14 settembre 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 8 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
L a Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso avente ad oggetto la cartella di pagamento relativa ad Iva per gli anni d’imposta 2006 -2011.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che
-) doveva essere respinta la censura relativa al mancato esame dell’eccezione di tardività di presentazione del ricorso di primo grado in quanto il vizio era stato eccepito da Equitalia solo in primo grado e non dall’Ufficio, il quale non aveva neanche ade rito a tale eccezione;
-) era infondata l’eccezione relativa alla definitività delle sanzioni irrogate in quanto, anche se non impugnate, si doveva tenere conto della sussistenza, rilevabile dalla motivazione degli atti contestati, di un nesso di presupposizione logico-giuridica tra i provvedimenti sanzionatori rimasti inoppugnati e gli accertamenti sospesi;
-) inoltre, l’impugnazione degli atti presupposti, da parte del contribuente, consentiva di soprassedere all’impugnazione dell’atto consequenziale, in quanto un eventuale annullamento dei provvedimenti impositivi avrebbe comunque fatto venire meno anche i
provvedimenti sanzionatori connessi e consequenziali, pur se non impugnati;
-) non poteva essere dichiarata legittima la cartella di pagamento in quanto sussisteva un’ordinanza di sospensione degli accertamenti ad essa presupposti e già impugnati;
-) l’intervenuta conferma, con le successive sentenze di merito, della soccombenza della società non inficiava il giudizio sulla cartella in quanto si trattava di una situazione giuridica sopravvenuta, mentre la legittimità della cartella andava valutata nel momento in cui era stata adottata.
L’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi, cui resiste la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con controricorso.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma primo, e 22, comma secondo, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. La CTR avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio l’inammissibilità del ricorso di primo grado perché tardivo (la cartella di pagamento era stata notificata via pec in data 21 marzo 2014 e il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato consegnato per la spedizione postale soltanto il 22 maggio 2014, giovedì) ed aveva errato nel ritenere che l’eccezione di tardività era stata proposta in primo grado soltanto da Equitalia, che poi non l’aveva riproposta in appello (ove non si era neppure costituita) e che l’Ufficio non avendovi aderito in primo grado non avrebbe potuto giovarsene in appello.
Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 18 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., in quanto la affermata pregiudizialità tra avviso di accertamento impugnato e atto di contestazione delle sanzioni autonomamente notificato non era prevista da alcuna disposizione di legge, piuttosto l’atto di irrogazione sanzioni era un atto autonomamente impugnabile e poiché la società contribuente non aveva esercitato alcuna delle tre opzioni previste dall’art. 16, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 472 del 1997 (definizione agevolata, controdeduzioni, ricorso giurisdizionale), l’atto era divenuto definitivo e l’Ufficio aveva l’onere di iscrivere a ruolo le sanzioni ivi indicate e di notificare la cartella entro il termine di decadenza di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973.
3. Il terzo motivo deduce l a violazione e falsa applicazione dell’art. 47, comma 7, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. La CTR aveva errato nell’affermare che l’Ufficio non poteva iscrivere a ruolo le sanzioni perché gli avvisi di accertamento collegati erano stati sospesi in primo grado dai giudici e non rilevava la sentenza n. 4020/2015 della CTR prodotta in giudizio perché era circostanza sopravvenuta. Peraltro, l’Ufficio aveva fin dall’appello prodotto in gi udizio la sentenza n. 386/5/14 del 3 luglio 2014 con cui la CTP aveva respinto i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento e, dunque, a partire dal 3 luglio 2014 erano cessati gli effetti della sospensione cautelare.
4. Il quarto motivo deduce l a violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma secondo, del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. L’Ufficio aveva correttamente applicato la sanzio ne relativa alle imposte sui redditi, in quanto il contenzioso definito con le sentenze citate riguardava pacificamente l’indebita detrazione dell’Iva relativa a fatture oggettivamente inesistenti, con conseguente difetto del nesso di pregiudizialità ravvisato dalla CTR, nesso comunque, per
quanto esposto nei precedenti motivi, del tutto irrilevante ove fosse esistito.
Osserva il Collegio, in via preliminare e d’ufficio, di dover disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (così denominata nella sentenza impugnata), che è stata parte costituita nel giudizio di primo grado e parte evocata e non costituita nel giudizio di appello e nei cui confronti risulta pure emessa la decisione in questa sede impugnata.
5.1 In proposito, questa Corte ha affermato che l’art. 331 cod. proc. civ., disciplinante il litisconsorzio nelle fasi di gravame, si applica non solo alle fattispecie in cui la necessità del litisconsorzio derivi da ragioni di ordine sostanziale, ma anche a quelle di cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio, con la conseguenza che la mancata integrazione del contraddittorio determina la nullità dell’intero procedimento e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass., 29 marzo 2019, n. 8790; Cass., 8 novembre 2017, n. 26433; Cass., 26 gennaio 2010, n. 1535).
5.2 In tema, le sezioni Unite, di recente, hanno statuito il seguente principio di diritto: « In tema di processo tributario con pluralità di parti, il disposto dell’art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, laddove prevede la proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, scindibili e dipendenti, delineata dalle regole processualcivilistiche, cosicché, in base agli artt. 331 e 332 c.p.c., applicabili al processo tributario, nelle cause scindibili non vi è obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti di quelle parti del
giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione all’appello sia venuto meno » (Cass., 30 aprile 2024, n. 11676).
5.3 E’, dunque, necessario procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE concedendo, per tale incombente, il termine di giorni novanta, decorrente dalla comunicazione della presente ordinanza.
P.Q.M.
La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo, disponendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE fissando il termine di giorni novanta, decorrente dalla comunicazione della presente ordinanza.
Così deciso in Roma, in data 8 aprile 2025.