Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6277 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6277 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
Corte disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo per consentire l’eventuale riunione o la trattazione congiunta della stessa con quella iscritta al n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO di ruolo generale, proposta, in relazione al medesimo avviso di accertamento, da RAGIONE_SOCIALE, società cedente il predetto ramo d’azienda.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 51, comma 4, e 43 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, assumendo che, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione regionale, non «sussistevano passività che RAGIONE_SOCIALE si fosse impugnata ad estinguere, bensì debiti connessi all’operatività del Servizio Idrico, maturati in tale ambito e non scindibili da esso, dunque debiti indubbiamente inerenti al ramo di azienda, inerenti nel senso dell’art. 2560 cod. civ.» (v. pagine nn. 10 e 11 del ricorso), affermando, quindi, che «tali debiti si sono estinti per effetto dell’atto per confusione ai sensi dell’art. 1253 c.c., stante l’accidentale evenienza che è lo status di creditore debitore andava a riunirsi nello stesso soggetto » (v. pagina n. 11 del ricorso).
1.1. Sotto altro profilo, la società ha posto in rilievo che « il punto decisivo riguarda natura e caratteri della passività da dedurre dall’imponibile » , evidenziando che il principio di inerenza contabile e tributaria non va confuso con quello previsto dall’art. 2560 cod. civ., risultando, di contro, «positivizzato solo in anni più recenti nell’art. 109 del TUIR e riguardante solo la finalizzazione dei costi aziendali rispetto ai ricavi (così convalidandone la deducibilità) » (v. pagina n. 11 del ricorso).
1.2. La ricorrente ha assunto che l’inerenza del debito in oggetto era certificata dallo stesso meccanismo di legge imposto per tutte le gestioni del servizio idrico dal Testo unico dell’Ambiente (art. 156 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), secondo cui la tariffa è incassata dal gestore del servizio integrato e, qualora esso sia gestito separatamente, la relativa tariffa è riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati, ponendo quindi in evidenza che di detta inerenza nessuna dubitava e che, in ogni caso, la prova della non inerenza spettava all’Amministrazione.
Con la seconda censura, la contribuente ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli art. 52, comma 2bis , d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, ritenendo che la Commissione Tributaria Regionale avesse erroneamente respinto la censura dell’appellante circa l’illegittima integrazione RAGIONE_SOCIALE ragioni poste alla base dell’originario atto impositivo, avendo l’RAGIONE_SOCIALE solo dopo l’impugnazione dello stesso e quindi in corso di giudizio contestato la non inerenza dei debiti.
Va preliminarmente osservato che la diversità (almeno formale) della sentenza impugnata rispetto a quella oggetto del ricorso per cassazione recante il n. 30011/2020 di ruolo generale (come detto proposta dalla cedente il ramo di azienda) esonera dall’obbligatoria riunione prevista dall’art. 335 cod. proc. civ., mentre la trattazione parallela dei due ricorsi consente di esaminare congiuntamente le questioni poste dai motivi di ricorso, solo in parte analoghi.
Il ricorso va respinto per le motivazioni che seguono, subito avvertendo che, per ragioni logicogiuridiche, si antepone l’esame del secondo motivo di impugnazione, concernente la dedotta illegittima integrazione nel corso del giudizio della contestazione tramite l’introduzione del tema della non inerenza de debito, che, si assume, non esser stato rappresentato nell’avviso impugnato.
Tale secondo motivo di ricorso non può essere accolto.
5.1. Sul piano dei principi, va ricordato che più volte questa Corte ha enunciato, in relazione a distinte fattispecie di accertamento tributario, il principio generale secondo cui la motivazione dell’avviso (di accertamento o di rettifica), presidiata dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, ha la funzione di delimitare l’ambito RAGIONE_SOCIALE contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ an e il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa (cfr. Cass., Sez. T. 8 agosto 2022, n. 24449 e, con riferimento ad altre imposte, ma in forza di un principio generale, applicabile anche nella specie, Cass., Sez., T, 2 maggio 2023, n. 11449 e 11443 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 27 luglio 2023, n. 22702, che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571 ed ancora, tra le tante, Cass., Sez. V., 29 ottobre 2021, n. 30887).
5.2. Per tale via, l’obbligo della motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e RAGIONE_SOCIALE relative risultanze, mentre le questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria (cfr., nel caso di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi in base ai parametri di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181, e dal successivo d.P.C.m. 29 gennaio 1996, v. Cass., Sez. T., 4 novembre 2008, n.26458; e cfr. pure, in senso sostanzialmente conforme all’affermazione generale, Cass. , Sez. T., 1° dicembre 2006, n. 25624; Cass. , Sez. T., 12 maggio 2003, n. 7231-; e cfr. anche Cass., Sez. T., 20 settembre 2013, n. 21532).
5.3. Tutto ciò, non esclude, peraltro, il potere del giudice (ed anche dell’amministrazione) di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, ma sempre che
non ne resti alterata la sostanza dell’accertamento in ordine agli elementi da cui esso risulti esser stato informato (cfr. tra le tante Cass., Sez. T., 9 dicembre 2009, n. 25726¸ Cass., Sez. T., 21 ottobre 2005, n. 20398; Cass., Sez. T., 14 novembre 2005, n. 22932).
5.4. Non è, poi, dubitabile che al divieto di domande nuove sia soggetto (anche) l’ufficio finanziario, al quale non è consentito, dinanzi al giudice di primo grado e d’appello, avanzare pretese diverse, sul piano del fondamento giustificativo e, dunque, sul versante della causa petendi , da quelle recepite nell’atto impositivo, non essendogli consentito porre a base della pretesa norme non invocate nella fase dell’imposizione, da cui derivi la necessità di svolgere distinti apprezzamenti in punto di fatto, giacché altrimenti ne verrebbe vulnerata la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa tramite i motivi di ricorso, i quali necessariamente vanno rapportati a ciò che nell’atto risulta esternato.
5.5. Ciò posto, va osservato che la difesa della contribuente, nel riassumere il contenuto dell’avviso, ha riferito che con essa l’Ufficio aveva rappresentato di non condividere « l’operato RAGIONE_SOCIALE parti e ritiene che nel caso di specie sia applicabile l’art. 43 comma 2 del DPR 131/1986 il quale afferma che ‘I debiti e gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile’» (v. pagina n. 4 del ricorso), aggiungendo che nell’avviso si sosteneva che « nel caso di specie deve essere assoggettata a tassazione l’obbligazione estinta per effetto dell’atto in quanto la stessa non è ricompresa nella base imponibile e pertanto non è stata assoggetta a tassazione» (v. pagina n. 5 del ricorso).
Nel ricorso si assume, altresì, che «l’atto affermava (i) l’applicazione diretta dell’articolo 43, (ii) delimitava e deformava l’articolo 51 e dava una specifica qualificazione, per il caso di specie, di determinate obbligazioni estinte così ritenendole
indeducibili ai sensi dell’art. 43 e 51 del D.P.R. 131/1986» (cfr. pagina n. 6 del ricorso).
5.6. Alla luce di quanto precede, deve, allora, riconoscersi che le stesse deduzioni di parte ricorrente danno conto che l’avviso impugnato aveva, quantomeno implicitamente, contestato la non inerenza del debito, mentre in sede contenziosa l’RAGIONE_SOCIALE ha solo chiarito le ragioni della pretesa, senza modificarla, restando immutata quindi l’applicazione dell’art 43, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e, con esso, articolando una contestazione che presupponeva implicitamente il rilievo secondo cui le passività non potessero concorrere alla determinazione della base imponibile dell’atto di cessione perché estranee al ramo di azienda ceduto .
5.7. Deriva, dunque, da quanto precede che non ricorreva alcuna situazione giuridica non prospettata prima e, in particolare, non è emerso in giudizio un fatto costitutivo radicalmente differente, con introduzione di un nuovo tema d’indagine e modifica dei termini della pretesa tributaria, essendo stata articolata una mera emendatio, che ha modificato soltanto l’interpretazione o la qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto.
Per tali ragioni, il tema della non inerenza del predetto debito, per come infine affrontato, non può considerarsi nuovo, essendo già stata ricompresa nella pretesa dell’amministrazione, siccome complessivamente risultante dall’atto impugnato, già delimitato quanto a petitum ed a causa petendi .
La prima ragione di contestazione risulta in parte inammissibile e, per altro verso, infondata.
6.1. Va premesso che il quarto comma dell’art. 51 cit. prevede che l’Ufficio, nel caso di atti che abbiano per oggetto aziende o diritti reali su di essi, effettua il controllo del valore dichiarato con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, «al netto RAGIONE_SOCIALE passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile
tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere » senza, pertanto, far riferimento esplicito al requisito di inerenza.
Nondimeno, deve ritenersi che il suddetto controllo non possa prescindere dal riscontro di quest’ultimo requisito al fine dell’adeguamento dell’imposizione al valore effettivo del complesso aziendale trasferito.
Il suindicato richiamo testuale alle passività aziendali vuol significare, infatti, che, in tanto di esse dovrà tenersi conto, in quanto risultino dalle scritture contabili obbligatorie (o da altri atti con data certa), non anche che le passività effettivamente risultanti in contabilità comportino per ciò solo, in sede di controllo, la diminuzione della base imponibile dell’imposta di registro indipendentemente dalla loro comprovata inerenza all’azienda ceduta.
6.2. In sede di interpretazione dell’articolo 50 TUR, in tema di conferimento di aziende -nella formulazione antecedente alla modificazione apportata dalla L. n. 488/1999, la quale ha comunque mantenuto il criterio secondo cui «la base imponibile è costituita dal valore dei beni o diritti conferiti al netto RAGIONE_SOCIALE passività e degli oneri » – questa Corte ha affermato, in più occasioni, che la deduzione RAGIONE_SOCIALE passività e degli oneri dai beni conferiti è in ogni caso condizionata alla loro inerenza, «all’oggetto del trasferimento stesso con esclusione, quindi, di passività od oneri che, anche se gravanti sul conferente ed assunti dalla società cessionaria, non possono dirsi collegati all’oggetto del trasferimento» (così Cass., Sez. VI-T, 14 febbraio 2014, n. 3444), ulteriormente rilevando come tale principio, conformativo dell’ordinamento nazionale alla Dir. CEE n.335/69 in materia di imposte indirette sulla raccolta di capitali, sia «di ostacolo ad una deduzione indiscriminata RAGIONE_SOCIALE passività ed oneri gravanti sui beni conferiti, ed imponga una verifica circa la sussistenza del “collegamento” tra la passività e l’acquisizione del
bene da parte del cedente o del cessionario » (così Cass., Sez. VI-T, 14 febbraio 2014, n. 3444 cit.).
In tale direzione, questa Corte ha poi chiarito che:
-il quadro disciplinare dell’imposta di registro è « caratterizzato, in linea generale, da un principio di tassazione dei beni e diritti oggetto di atti/contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali sulla base del loro valore “al lordo”», tenuto conto della disposizione dell’art. 43, comma 2, d.P.R. 16 aprile 1986, n. 131 (secondo cui «I debiti e gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile»);
-« le passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie, o da atti aventi data certa a norma del codice civile, debbono essere dedotte dalla base imponibile dell’imposta di registro solo se inerenti all’azienda, non essendo sufficiente la loro registrazione nelle scritture contabili»,
-« laddove si riscontri il trasferimento al cessionario dell’azienda di un debito privo di collegamento funzionale con l’azienda stessa, estraneo quindi alla definizione della consistenza di quest’ultima nella vicenda circolatoria, esso potrà rilevare, nel caso, quale modalità di pagamento del prezzo della cessione, ai sensi dell’art. 43, 2° comma, citato ( Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055; Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30057; Cass., sez. V, 25 maggio 2009, n. 12042; Cass n., n. 22099/2016; nn 2048, 2019 e 21767 del 2017 » (così Cass., Sez. T., 16 gennaio 2019, n. 888).
6.3. L’applicazione di questo principio di ordine generale nell’ambito della cessione aziendale ai sensi dell’art. 51 d.P.R. cit., comporta che la presunzione di corrispondenza del valore reale a quello dichiarato dalle parti nell’atto (1° comma) possa essere superata dall’amministrazione finanziaria allorquando quest’ultima accerti (4° comma) che il valore dichiarato ha tenuto conto di
passività le quali, per quanto iscritte nei libri contabili obbligatori, non presentino alcun collegamento o inerenza con l’azienda trasferita.
Sul piano generale, va ancora osservato che sebbene in quest’ultima ipotesi sussista, per il solo fatto che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente dell’azienda ex articolo 2560, secondo comma, cod. civ., allorquando emerga che tali debiti siano in realtà estranei all’azienda, l’assunzione di tale responsabilità da parte dell’acquirente non può che configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito del cedente (indipendentemente dall’inerenza soltanto contabile, e non operativa, della posta passiva);
Detto accollo non rappresenta altro che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al nett o , ma al lordo della passività non inerente (cfr. Cass., Sez. T. 15 maggio 2008, n. 12215), il che trova del resto riscontro nel secondo comma dell’articolo 43, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale -come detto – stabilisce che «I debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile».
6.4. Tanto riepilogato sul piano dei principi, va osservato che, nel caso di specie, l’Ufficio non ha disconosciuto l’effettività del debito ceduto, assumendone però la non inerenza all’azienda ceduta;
La contestazione dell’amministrazione finanziaria, in altri termini, non ha riguardato l’esistenza in sé del debito, ma unicamente la prova della sua pertinenza alle esigenze e finalità aziendali e ciò ha fatto sostenendo una tesi, in linea di principio, corretta, perché volta, in sede di controllo del valore dichiarato dalle
parti nell’atto, ad ammettere la deduzione dalla base imponibile RAGIONE_SOCIALE sole passività inerenti.
Quanto poi al merito della valutazione circa l’inerenza o meno del debito, si tratta come chiarito da questa Corte di una « una tipica quaestio facti » (cfr. Cass., Sez. Trib., 18 maggio 2016, n. 10218), sicchè sotto tale profilo il motivo si rivela inammissibile, disvelando un uso improprio del canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., con riferimento alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 2 e 51, comma 4, TUR, che -come sopra illustrato -non sussiste.
6.5. La Commissione regionale ha sviluppato la decisione, considerando sia l’art. 2560 cod. civ., che l’art. 51 d.P.R. TUR, negando che la contribuente avesse offerto prova dell’inerenza del debito, assumendo -giova ripeterlo – che «Non è sufficiente che la spesa sia stata riconosciuta e contabilizzata dall’imprenditore, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto -nel caso di specie non prodotta -dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo la ragione della stessa (in tal senso Cassazione civile sez. 6^, n. 11241/9.05.2017» (così nella sentenza impugnata priva di numerazione).
Tutto ciò, ritenendo, quindi, implicitamente quanto chiaramente, non decisiva, ai fini che occupano, la circostanza della riscossione della tariffa dell’attività di depurazione affidata alla ricorrente ai sensi dell’art. 156 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 1952, considerando imprescindibile la citata documentazione di supporto, prova questa reputata non fornita dalla contribuente sulla base di un apprezzamento di merito, non riesaminabile, sotto il profilo fattuale, nella sede che occupa.
Detta valutazione risulta, invece, corretta sul piano giuridico, avendo questa Corte chiarito che l’onere di provare l’inerenza del debito « non può ritenersi assolto mediante esclusivo e formale richiamo all’annotazione contabile, richiedendosi l’allegazione di
documentazione di supporto attestante l’effettiva pertinenza, strumentalità e finalizzazione della passività al bene trasferito (da Cass. 12330/01, fino a Cass. nn. 5860/16, 2048/17, 5079/17, 9888/17, 11241/17; n. 29151/2018 ed altre)» (cfr. Cass., Sez. T., 16 gennaio 2019, n. 888 cit.).
6.6. Quanto all’onere della prova dei fatti integrativi della deduzione, va richiamato l’indirizzo consolidato di legittimità secondo cui «- in presenza di contestazione di inerenza da parte dell’amministrazione finanziaria – il relativo onere probatorio è posto a carico del contribuente che deduca la passività. E tale onere, come detto, non può ritenersi assolto mediante esclusivo e formale richiamo all’annotazione contabile, richiedendosi l’allegazione di documentazione di supporto attestante l’effettiva pertinenza, strumentalità e finalizzazione della passività al bene trasferito (da Cass. 12330/01, fino a Cass. nn. 5860/16, 2048/17, 5079/17, 9888/17, 11241/17; n. 29151/2018 ed altre)» (cfr. Cass., Sez. T. 16 gennaio 2019, n. 888 cit.).
Nel caso di specie la Commissione tributaria regionale si è attenuta a tale orientamento, ritenendo, da un lato, che le passività potessero incidere a decurtazione del valore del ramo aziendale ceduto solo se inerenti e, dall’altro, che tale requisito dovesse essere dimostrato dalla società contribuente sulla base di elementi diversi ed ulteriori dalla citata contabilità (ancorché non contestata dalla amministrazione finanziaria) nella quale le passività medesime risultavano effettivamente iscritte.
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va quindi respinto, con valore assorbente rispetto ad ogni altra argomentazione svolta dalle parti.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Va, infine, dato atto ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti per
il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore della controricorrente che liquida in 8.000,00 € per compensi, oltre accessori e le spese che risulteranno dai registri di cancelleria prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente per la proposizione del ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 ottobre 2023.