Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24908 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24351/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME in qualità di titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende (EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL VENETO n. 1423/2019 depositata il 18/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale del Veneto ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1423/2019 depositata in data 18/12/2019, ha rigettato l’appello proposto dal sig. NOME COGNOME in qualità di titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME ( hinc: il contribuente) contro la sentenza n. 236/2017 con cui la Commissione tributaria provinciale di Venezia aveva, a sua volta, rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008.
1.1. Il contenzioso -secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza impugnata riguarda l’operazione di acquisto, in data 06/5/2008, di un immobile, che il contribuente aveva iscritto nel registro dei beni ammortizzabili e nello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni materiali.
Successivamente, il contribuente aveva presentato istanza di rimborso del credito IVA per Euro 15.000, eseguito in data 10/03/2009. Tuttavia, a seguito di ulteriori verifiche era stato appurato che l’immobile in questione era stato concesso in locazione, i n data 05/09/2008, sebbene l’impresa contribuente non esercitasse attività di locazione degli immobili, ma bensì attività di ristorazione con somministrazione, bar e caffetteria.
Ne era scaturita l’emissione dell’avviso di accertamento, al fine di recuperare, in relazione all’anno d’imposta 2008, l’IVA indebitamente detratta, così come l’indebita deduzione di una quota di ammortamento dell’immobile, con la conseguente rettificazion e della perdita di impresa e dell’IVA ammessa in detrazione. Era stata,
poi, liquidata una maggior IVA dovuta e irrogata la relativa sanzione pecuniaria.
La CTR ha ritenuto che i princìpi di detrazione, neutralità e inerenza invocati dal contribuente fossero sorretti da un riscontro meramente formale, senza alcuna prova sostanziale sia sull’uso dell’immobile quale sede legale e amministrativa, sia sull’e sercizio di un’attività immobiliare. Lo stesso contribuente, del resto, aveva riconosciuto di non aver comunicato agli enti competenti la variazione della sede legale e l’estensione dell’attività alla locazione immobiliare: ad avviso della CTR si tratta di adempimenti aventi valenza sostanziale per dimostrare la natura strumentale dell’immobile.
La CTR ha, quindi, rilevato che, secondo la stessa giurisprudenza unionale richiamata dal contribuente, spetta al giudice nazionale stabilire se il soggetto passivo abbia acquistato il bene d’investimento ai fini della sua attività economica e valutare, se del caso, l’esistenza di una pratica abusiva.
2.1. La CTR ha, poi, ritenuto infondato l’appello del contribuente anche in relazione alla presunta violazione del contraddittorio, rilevando, in primo luogo, che la questione relativa alla violazione dell’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000 è stata de dotta solo in sede di appello, integrando, così, una domanda nuova inammissibile ex art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992. Non sono, poi, condivisibili neppure le considerazioni relative al contraddittorio endoprocedimentale. Difatti, tanto per la giurisprudenza unionale che per quella interna, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale non comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
Nel caso di specie la difesa del contribuente non ha dimostrato quali ulteriori documenti o elementi decisivi avrebbe esposto in occasione della verifica. Relativamente alla fase di accertamento con adesione risulta, poi, l’instaurazione del contraddittorio tra l’Agenzia delle Entrate e il contribuente (che ha prodotto due memorie), con scambio di mail e redazione di un verbale di contraddittorio.
2.2. Infine, con riferimento alle sanzioni, la CTR ha rilevato che, nel caso di specie, si è di fronte a un comportamento elusivo e non a violazioni meramente formali. In relazione alla presunta sproporzione delle sanzioni ha rilevato che l’Agenzia delle E ntrate ha applicato quelle previste dalla legge, in misura minima.
Contro la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e agli artt. 1 e 168 ss. Direttiva IVA 2006/112/CEE.
1.1. Il ricorrente rileva che l’immobile, originariamente acquistato per essere adibito a sede legale dell’azienda, era stato destinato a locazione, in ragione di un’opportunità economicamente più vantaggiosa, incrementando, in tal modo, il volume d’affari ai fini IVA. Evidenzia di non essersi limitato a portare in detrazione l’IVA assolta sull’acquisto, ma anche di aver regolarmente versato l’IVA applicata sul canone di affitto. Evidenzia -citando a pag. 7 del ricorso in cassazione la giurisprudenza unionale – che il principio fondamentale della neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’imposta pagata a monte sia riconosciuta se sono soddisfatti i
requisiti sostanziali, quand’anche alcuni requisiti formali siano disattesi dal soggetto passivo.
Secondo la CGUE dall’art. 168, lett. a), Direttiva IVA risulta che i beni o servizi invocati alla base di tale diritto devono essere usati «a valle» dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che «a monte» tali beni e servizi siano forniti da un altro soggetto passivo. La direttiva IVA non subordina il diritto alla detrazione ad alcuna condizione collegata all’uso dei beni o dei servizi da parte della persona che li riceve dal soggetto passivo. Nel caso di specie l’amministra zione finanziaria non ha mai contestato la sussistenza dei presupposti sostanziali per la detrazione dell’imposta, limitandosi a negare il diritto alla detrazione dell’IVA sulla base di una mera interpretazione formalistica della norma.
Secondo il contribuente il principio di inerenza non va inteso quale rapporto di strumentalità diretta tra il bene acquistato e l’attività economica dichiarata, ma deve essere interpretato estensivamente: l’attività deve essere considerata indipendentement e dai suoi scopi, dai suoi risultati e dal fatto che sia stata dichiarata o meno. Quest’ultimo adempimento formale può rilevare, in particolare, a fini sanzionatori, senza far perdere il diritto alla detrazione.
Il ricorrente ha, infine, censurato i riferimenti alla giurisprudenza unionale in materia di pratica abusiva, non solo perché si tratta di un profilo affatto contestato dall’amministrazione finanziaria, ma anche perché, ratione temporis, la definizione di pratica abusiva presupponeva che il risparmio d’imposta fosse indebito e realizzato in mancanza di valide ragioni economiche. Nel caso di specie non si può, tuttavia, parlare di indebito risparmio di imposta, in quanto il comportamento del contribuente non era funzionale ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. Sussistono,
inoltre, anche le valide ragioni economiche, dal momento che l’acquisto dell’immobile e la sua concessione in locazione integrano un investimento più vantaggioso rispetto a quello di adibire l’immobile a sede legale o amministrativa dell’imprenditore contribuente.
1.2. Il motivo di ricorso è infondato. Nella specie la sentenza impugnata ha ritenuto che la parte ricorrente, invocando i principi di detrazione, neutralità e inerenza dell’IVA, si sia limitata a un riscontro meramente formale, ritenendo sufficiente il mero inserimento del bene nel patrimonio aziendale. Tale conclusione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di IVA, la detrazione dei costi richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, secondo una valutazione qualitativa e non quantitativa o utilitaristica, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Cass., 13/02/2025, n. 3747). Ai fini dell’applicazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 il requisito dell’inerenza non può assurgere a un dato meramente formalistico conseguente al l’iscrizione del bene nel bilancio della società, essendo, piuttosto, collegato a una dimensione qualitativa che ne esprime necessariamente la connessione all’esercizio dell’attività d’impresa, in una prospettiva dinamica, che non può ritenersi provata in ragione del (solo) dato valutativo inerente alle classificazioni contabili operate dal contribuente.
La stessa CGUE (21/11/2021, causa C-334/20, RAGIONE_SOCIALE , § 34) ha precisato che: « Spetta alle amministrazioni finanziarie e ai giudici nazionali prendere in considerazione tutte le circostanze in presenza delle quali si siano svolte le operazioni in questione e tener conto unicamente delle operazioni che siano oggettivamente connesse al l’attività imponibile del soggetto passivo. La sussistenza di un tale nesso deve dunque essere valutata alla luce del contenuto oggettivo dell’operazione considerata (v., in tal senso, sentenze del 14 settembre 2017, RAGIONE_SOCIALE, C132/16, EU:C:2017:683, punto 31, e del 16 settembre 2020, RAGIONE_SOCIALE, C-528/19, EU:C:2020:712, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). »
La valutazione del giudice di seconde cure -nel ritenere che il dato meramente contabile dell’iscrizione del bilancio non potesse essere sufficiente per ritenere provato il requisito di inerenza -è pertanto esente da censure in termini di violazione dell ‘art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 e dei parametri normativi unionali posti a fondamento del motivo di ricorso. Tanto più che, con riferimento all’onere della prova (che in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria grava sul contribuente), lo stesso ricorrente ha riconosciuto di non aver comunicato l’attività economica secondaria (locazione dei beni immobili, v. pag. 10 del ricorso in cassazione). La mancanza di prova in merito al requisito dell’inerenza assorbe le censure svolte dal ricorrente (pag. 12 del ricorso in cassazione) in relazione alla citazione, da parte della CTR, della giurisprudenza unionale in materia di pratica abusiva (per le quali v., infra, quanto precisato sub 5, in merito al secondo, al terzo e al quarto motivo di ricorso).
2. Con il secondo motivo è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
2.1. Con tale motivo di ricorso il contribuente evidenzia di aver richiamato, nell’atto di appello, un passaggio di una pronuncia della CGUE, dove si legge che: « spetta al Giudice nazionale stabilire se il soggetto passivo abbia acquistato il bene d’investimento ai fini della sua attività economica e valutare, se del caso, l’esistenza di una pratica abusiva.» Nella motivazione della sentenza impugnata la CTR ha, tuttavia, richiamato tale pronuncia per affermare l’esistenza di una pratica abusiva idonea a gi ustificare il recupero dell’IVA da parte dell’Agenzia delle Entrate. Si tratta, tuttavia, di una contestazione che non è mai stata fatta dalla parte pubblica nell’avviso di accertamento, con la conseguenza che la sentenza impugnata incorre nel vizio di extra o ultrapetizione. Peraltro, l’art. 10 bis, comma 9, legge n. 212 del 2000 -nella versione introdotta dall’art. 7 d.lgs. 24/09/2015, n. 156 -prevede che l’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi indicati nei commi 1 e 2 della norma appena richiamata e che il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3 della medesima disposizione.
Con il terzo motivo di ricorso è stata denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contrasto con gli artt. 6 CEDU e 6 TUE, per violazione del contraddittorio endoprocedimentale in punto di contestazione di una pratica abusiva.
3.1. Il ricorrente rileva che corollario di quanto esposto in relazione al secondo motivo di ricorso è la violazione del diritto di difesa in punto di contraddittorio endoprocedimentale. Osserva, tuttavia, come tale contestazione non sia mai stata sollevata né in sede procedimentale, né in sede di avviso di accertamento, con la
conseguenza che non si è svolto alcun contraddittorio e il contribuente non è stato in grado di articolare le proprie difese.
Con il quarto motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente in punto di esistenza di una pratica abusiva.
4.1. Il ricorrente, sul punto afferente all’esistenza di una pratica abusiva, ha censurato l’insufficienza, illogicità e contraddittorietà delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, ritenendo che la motivazione del provvedimento gravato poggi interamente sull’affermazione dell’esistenza di una pratica abusiva in atto.
Il secondo motivo -che in realtà sovrappone al vizio di extrapetizione quello inerente alla violazione dell’art. 10 bis legge n. 212 del 2000 -il terzo motivo e il quarto motivo possono essere esaminati insieme (involgendo la questione inerente alla contestata esistenza di una pratica abusiva) e sono inammissibili per carenza di interesse, in conseguenza dell’infondatezza del primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972. Nel caso di specie, infatti, il riferimento alla pratica elusiva contenuto nel punto 9 della sentenza impugnata integra una considerazione ulteriore rispetto al difetto di prova del contribuente in ordine al requisito di inerenza (v. primo motivo di ricorso).
L’incipit della motivazione della sentenza impugnata si incentra sulla considerazione che la difesa del contribuente sia focalizzata sui principi di detrazione, neutralità e inerenza, evidenziando che: « tale teoria è però sorretta da un solo riscontro meramente formale e cartolare, qual è l’inserimento nel patrimonio aziendale e nessun elemento di prova sostanziale sia sull’utilizzo dell’immobile quale sede legale/amministrativa della ditta individuale, s ia dell’esercizio di un’attività immobiliare. Assenza di prova peraltro ammessa anche
dalla difesa di parte contribuente, la quale ammette l’omessa comunicazione agli enti competenti sia della variazione della sede legale che dell’estensione dell’attività alla locazione immobiliare.» Ora è evidente che tale incedere argomentativo -idoneo a sorreggere la motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo del disconoscimento della detrazione dell’IVA – si incentri non sul carattere abusivo della condotta del contribuente, ma sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte di quest’ultimo. Trattandosi di ratio idonea a sorreggere il mancato riconoscimento della detrazione sotto il profilo interessato dal primo motivo di ricorso in cassazione e ritenuto infondato, il ricorrente è carente di interesse in ordine ai motivi di ricorso che aggrediscono l’ulteriore affermazione secondo cui nel caso di specie sussista una evidente pratica abusiva idonea a giustificare il recupero dell’Agenzia delle Entrate.
Va rammentata, in proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui « Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle ‘rationes decidendi’ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa» (Cass. n. 5102 del 2024; Cass. n. 11493 del 2018).
Con il quinto motivo di ricorso è stato denunciato l’omesso esame circa i fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
6.1. Con tale motivo viene rilevato che la principale motivazione del provvedimento gravato, dirimente l’intera vicenda processuale, risiede nell’affermazione dell’esistenza di una pratica elusiva/abusiva messa in atto dal ricorrente, idonea a giustificare il recupero dell’IVA da parte dell’Agenzia delle Entrate. Nel giungere a tale conclusione, tuttavia, il giudice d’appello non solo non si è soffermato nella disamina dei presupposti della fattispecie, richiesti dall’ordinamento vigente, ma non ha neppure considerato le specifiche allegazioni del contribuente, in merito al comportamento trasparente (che non si è limitato a portare in detrazione l’IVA assolta sull’acquisto dell’immobile, ma ha regolarmente liquidato e versato l’IVA per le fatture successivam ente emesse, incrementando il volume d’affari e i ricavi e la redditività della propria azienda), al carattere meramente formale della violazione relativa alla mancata comunicazione di variazione di attività, al fatto che l’IVA chiesta in detrazione sull’a cquisto fosse neutralizzata da quella applicata sui canoni di locazione.
6.2. Il motivo -a prescindere da quanto già rilevato supra sub 5 in relazione ai motivi che svolgono censure in relazione alla pratica abusiva -è inammissibile, non solo in ragione della doppia soccombenza del contribuente nei due gradi di giudizio di merito, ma anche perché il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. sottende una richiesta di rivalutazione dei fatti sottratta al sindacato di legittimità di questa Corte. È stato, infatti, precisato che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10/07/2025.