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Inerenza dei costi: onere della prova sul contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6061/2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia fiscale: l’onere della prova sull’inerenza dei costi deducibili grava sempre sul contribuente. Il caso riguardava una società a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deducibilità di alcuni costi. La Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente focalizzato il giudizio sulla presunta inesistenza delle operazioni, anziché sulla loro inerenza. La Suprema Corte ha cassato la sentenza, chiarendo che, a fronte di una contestazione sulla certezza e inerenza, spetta al contribuente dimostrare la legittimità della deduzione, e non all’amministrazione finanziaria provare l’inesistenza dell’operazione.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Inerenza dei Costi: La Cassazione Conferma l’Onere della Prova a Carico del Contribuente

L’ordinanza n. 6061/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un caposaldo del diritto tributario: la prova dell’inerenza dei costi spetta sempre e solo al contribuente. Questa pronuncia chiarisce che, quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la deducibilità di una spesa, non è tenuta a dimostrare l’inesistenza dell’operazione sottostante, ma è il contribuente che deve fornire la prova della sua effettiva correlazione con l’attività d’impresa.

I Fatti di Causa

Una società si vedeva notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indeducibilità di alcuni costi relativi a contratti di appalto e subappalto, ritenuti non inerenti. La società impugnava l’atto e la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) lo accoglieva solo parzialmente. Secondo la CTR, i costi non potevano essere considerati afferenti a operazioni inesistenti, poiché l’Ufficio non aveva svolto indagini sufficienti a dimostrarlo. Il giudice d’appello, quindi, ha erroneamente incentrato la sua decisione sulla questione dell’esistenza delle operazioni, anziché sulla loro effettiva inerenza all’attività aziendale.

La Decisione della Cassazione e l’Inversione dell’Onere della Prova

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando che la CTR avesse travisato l’oggetto della contestazione. L’accertamento fiscale, infatti, non si basava sulla presunta inesistenza (oggettiva o soggettiva) delle operazioni, bensì sulla mancanza di prova della certezza e dell’inerenza dei costi portati in deduzione.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che la CTR ha commesso un duplice errore:
1. Ha confuso il piano della contestazione, spostandolo dalla mancanza di inerenza all’inesistenza dell’operazione.
2. Di conseguenza, ha indebitamente invertito l’onere della prova, ponendolo a carico dell’Amministrazione Finanziaria invece che del contribuente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha specificato che, secondo i principi generali sanciti dall’art. 2697 del Codice Civile e applicati costantemente in materia tributaria, a fronte di una contestazione sulla certezza e inerenza di un costo, grava sul contribuente l’onere di provare la sua effettiva esistenza e la sua correlazione con l’attività d’impresa. L’Amministrazione Finanziaria non è tenuta a provare l’inesistenza del costo o la sua natura fittizia quando la contestazione verte, più a monte, sulla sua deducibilità sotto il profilo dell’inerenza.

Il ragionamento del giudice di secondo grado è stato quindi ritenuto errato perché ha preteso dall’Ufficio una prova che non era tenuto a fornire, omettendo di valutare se il contribuente avesse, al contrario, adempiuto al proprio onere probatorio. La sentenza impugnata è stata quindi cassata e la causa è stata rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto del corretto principio di diritto.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza è un monito importante per tutte le imprese. La deducibilità di un costo non dipende solo dalla sua esistenza formale (ad esempio, una fattura), ma dalla sua sostanza e dalla sua funzione nell’ambito dell’attività aziendale. Le aziende devono essere in grado di dimostrare, con documentazione adeguata e prove concrete, che ogni spesa sostenuta è stata necessaria e funzionale alla produzione del reddito. Conservare contratti, relazioni, stati di avanzamento lavori e qualsiasi altro elemento utile a provare la correlazione tra costo e attività d’impresa è fondamentale per difendersi efficacemente in caso di accertamento fiscale. In definitiva, la responsabilità di giustificare le proprie scelte gestionali e la relativa deducibilità fiscale ricade interamente e inequivocabilmente sul contribuente.

Chi deve provare che un costo aziendale è deducibile ai fini fiscali?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare la certezza e l’inerenza di un costo, e quindi la sua deducibilità, spetta sempre al contribuente e non all’Amministrazione Finanziaria.

Qual è la differenza tra una contestazione sull’inesistenza di un’operazione e una sulla mancanza di inerenza di un costo?
La contestazione sull’inesistenza riguarda il fatto che l’operazione fatturata non sia mai avvenuta. La contestazione sulla mancanza di inerenza, invece, riguarda costi che, pur essendo stati effettivamente sostenuti, non sono correlati all’attività d’impresa e quindi non sono deducibili.

Cosa accade se un giudice tributario non valuta correttamente l’oggetto della contestazione fiscale?
Come avvenuto in questo caso, la sua sentenza può essere annullata (cassata) dalla Corte di Cassazione. La causa viene poi rinviata a un altro giudice dello stesso grado per una nuova decisione basata sui corretti principi legali, incluso quello relativo alla corretta ripartizione dell’onere della prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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