Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9626 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9626 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9384/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
COGNOME elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA n. 5288/2020 depositata il 07/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con la sentenza n. 5288/2020 depositata in data 07/10/2020, ha rigettato l’appello
proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 1729/2015, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Messina aveva accolto il ricorso proposto dal sig. NOME COGNOME contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008 .
La CTR ha ritenuto l’appello infondato, dal momento che quando si contesta l’antieconomicità delle operazioni , l’ art. 37 bis, comma 4, d.P.R. 29/09/1973, n. 600 prevede che l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente, anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta, nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2. Dalla disposizione normativa appena richiamata scaturisce, in via automatica, la nullità insanabile dell’avviso di accertamento, in cui sia contestata l ‘antieconomicità delle operazioni, senza la preventiva richiesta di chiarimenti anche per lettera raccomandata, con l’assegnazione di un termine di almeno 60 giorni.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con un motivo.
Il sig. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate ha denunciato la violazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r. e dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. L’Agenzia delle Entrate rileva che la CTR ha motivato la propria decisione sul presupposto della (ritenuta) violazione dell’art. 37 bis, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973. In realtà, l’avviso di accertamento non recava alcun riferimento all’art. 37 bis d.P.R . n. 600 del 1973. Nel caso in esame il recupero a tassazione si è fondato sulla contestata indeducibilità di alcune fatture passive, per i motivi
riportati nella motivazione dell’avviso di accertamento. La CTR ha, quindi, applicato falsamente l’art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973, senza considerare la questione centrale della controversia, cioè l’inerenza e la deducibilità di fatture passive. L’uffic io aveva, infatti, contestato l’indeducibilità dei costi documentati in queste ultime, in ragione della genericità del loro contenuto, per la mancanza di competenza economica e per l’evidente incongruità della spesa. La fattura deve essere, infatti, redatta in modo tale da costituire un documento idoneo a rappresentare i costi dell’impresa (Cass., 13/05/2016, n. 9846). L’amministrazione finanziaria può ben contestare l’effettività di operazioni indicate in fatture irregolari, ritenendo indeducibili i relativi costi, senza che ciò implichi, in alcun modo, una contestazione di antieconomicità.
1.2. Il sistema dell’IVA si incentra sui principi di neutralità e di detraibilità. Per tale motivo la fattura deve contenere i requisiti previsti nell’art. 21 d.P.R. 633 del 1972, che rispondono a esigenze di trasparenza e di conoscibilità, in quanto funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria.
1.3. Il principio di inerenza (Cass., n. 18904 del 2018) esprime, inoltre, una correlazione tra i costi del l’attività d’impresa in concreto esercitata e si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo, essendo necessario che queste ultime siano collocate su un diverso piano logico e strutturale. Tale questione si riflette, poi, sul piano processuale dell’onere della prova: spetta al contribuente provare il requisito dell’inerenza, mentre l’amministrazione è tenuta a provare il maggior ammontare della pretesa tributaria.
1.4. L’amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo, può anche contestare l’incongruità e l’antieconomicità della
spesa, quali meri indici della non inerenza del costo sempre sotto il profilo qualitativo, spettando, in tale ipotesi, al contribuente provare la coerenza economica del costo, essendo altrimenti legittima la negazione della deducibilità.
Il motivo di ricorso è fondato.
2.1. In via preliminare occorre dare atto dell’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte controricorrente, secondo la quale l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto prospettare il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. ci v. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e non il vizio di violazione di legge con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.2. Nel merito il ricorso è manifestamente fondato: dai contenuti dell’avviso di accertamento riportati a pag. 2 del ricorso in cassazione emerge che la ripresa inerente alla deducibilità dei costi fosse motivata dalle seguenti ragioni: a) carenza dei requisiti ex art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972; b) mancanza del requisito di inerenza; c), mancanza di competenza economica; d) congruità della spesa.
2.3. Questa Corte ha precisato che il principio di inerenza dei costi deducibili, esprimendo una correlazione in concreto tra costi ed attività d’impresa, si traduce in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da considerazioni di natura quantitativa. L’antieconomicità di un costo – intesa come sproporzione tra la spesa e l’utilità che ne deriva, avuto riguardo agli ulteriori dati contabili dell’impresa – può, tuttavia, fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza, e in questo caso, ove il contribuente indichi i fatti che consentano di ricondurre il costo all’attività d’impresa, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare, anche con il ricorso ad indizi, gli ulteriori elementi addotti in senso contrario, evidenziando,
in particolare, l’inattendibilità della condotta del contribuente (Cass., 15/11/2022, n. 33568).
L’antieconomicità del costo, quale elemento sintomatico del difetto di inerenza da quest’ultimo , deve essere, tuttavia, ben distinta dall’ipotesi disciplinata nell’art. 3 7 bis d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile ratione temporis al caso in esame, dove è previsto che: « Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. »
Questa Corte in materia di elusione ha precisato che, in ambito tributario, ricorre l’abuso del diritto, enucleabile in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost, ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica. Di conseguenza, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa. In tal senso, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché sulla loro mancata conformità ad una normale logica di mercato (Cass., 06/10/2021, n. 27158).
Nel caso di specie la questione relativa all’ antieconomicità del costo viene in rilievo in relazione alla prova del difetto di inerenza di quest’ultimo alla produzione del reddito di impresa, al fine di disconoscerne la deducibilità. Diversamente, nel caso di elusione fiscale, l’ assenza di valide ragioni economiche è funzionale a dimostrare che lo scopo ultimo dell’operazione realizzata dal contribuente (anche tramite un collegamento negoziale) sia costituito da un risparmio indebito di imposta.
Il ricorso è, pertanto, fondato e deve essere accolto.
3.1. La sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Sicilia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.