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Inerenza dei costi: la Cassazione chiarisce la prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9626/2025, ha chiarito la distinzione fondamentale tra la contestazione della inerenza dei costi e l’abuso del diritto per antieconomicità. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deducibilità di alcune fatture per mancanza di inerenza. La Commissione Tributaria Regionale aveva annullato l’accertamento per un vizio procedurale, ritenendo erroneamente che si trattasse di una contestazione di antieconomicità che richiede una preventiva richiesta di chiarimenti al contribuente. La Suprema Corte ha ribaltato la decisione, specificando che la contestazione sulla inerenza dei costi segue regole probatorie diverse e non necessita del contraddittorio preventivo previsto per le operazioni elusive. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame nel merito.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Inerenza dei costi vs Antieconomicità: La Cassazione traccia la linea

La corretta gestione fiscale di un’impresa passa inevitabilmente per una chiara comprensione del principio di inerenza dei costi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 9626/2025) offre un’analisi cruciale, distinguendo nettamente la contestazione per mancanza di inerenza da quella per antieconomicità, legata all’abuso del diritto. Questa decisione ha importanti implicazioni procedurali e probatorie, chiarendo quando l’Amministrazione Finanziaria è tenuta ad attivare un contraddittorio preventivo con il contribuente e quando invece non lo è.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a un contribuente l’indeducibilità di alcuni costi documentati da fatture passive. Le ragioni della contestazione erano molteplici: la genericità del contenuto delle fatture, la mancanza di competenza economica e l’incongruità della spesa.

Il contribuente impugnava l’atto e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) gli dava ragione. Secondo la CTR, l’Agenzia, contestando l’antieconomicità delle operazioni, avrebbe dovuto seguire la procedura prevista dall’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, che impone una richiesta preventiva di chiarimenti al contribuente, a pena di nullità dell’atto. L’Agenzia delle Entrate, ritenendo errata l’applicazione di tale norma, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e il Principio di Inerenza dei Costi

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, ritenendolo manifestamente fondato. I giudici hanno chiarito che la CTR ha commesso un errore di diritto, confondendo due piani di contestazione distinti: la violazione del principio di inerenza dei costi e l’elusione fiscale per antieconomicità.

L’avviso di accertamento non si fondava sulla disciplina antielusiva dell’art. 37 bis, ma sulla violazione delle regole generali sulla determinazione del reddito d’impresa, in particolare sul requisito dell’inerenza (art. 109, comma 5, T.U.I.R.). La contestazione dell’Agenzia riguardava la correlazione tra i costi e l’attività imprenditoriale, un giudizio di carattere qualitativo. L’antieconomicità o l’incongruità della spesa, in questo contesto, non sono il fondamento dell’accertamento, ma meri indici, elementi sintomatici che possono far dubitare della reale connessione del costo con l’attività d’impresa.

La distinzione chiave: Inerenza ed Elusione

La Corte ribadisce che il campo di applicazione dell’art. 37 bis (normativa antielusiva applicabile ratione temporis) è ben specifico. Si attiva quando il Fisco contesta operazioni “prive di valide ragioni economiche” e dirette ad “aggirare obblighi o divieti” per ottenere risparmi fiscali indebiti. Solo in questo scenario scatta l’obbligo del contraddittorio preventivo.

Quando, invece, la contestazione riguarda l’inerenza dei costi, si rimane nell’ambito della corretta determinazione del reddito. Qui, l’onere della prova spetta al contribuente, che deve dimostrare il collegamento tra il costo sostenuto e i ricavi o, più in generale, l’attività d’impresa. L’Amministrazione Finanziaria può utilizzare l’incongruità e l’antieconomicità come prove indiziarie per sostenere la mancanza di tale collegamento, senza che ciò trasformi la natura della contestazione in una di tipo elusivo.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione motiva la sua decisione sottolineando che il principio di inerenza si traduce in un giudizio qualitativo che prescinde da valutazioni utilitaristiche o quantitative. Un costo è inerente se è funzionale all’attività d’impresa, non necessariamente se è conveniente o proporzionato. Tuttavia, una spesa palesemente sproporzionata o anomala può legittimamente far sorgere il dubbio che essa non sia realmente correlata all’attività. In tal caso, spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando la coerenza economica della sua scelta imprenditoriale.

Diversamente, nel caso dell’elusione fiscale, l’assenza di “valide ragioni economiche” è l’elemento centrale per dimostrare che l’operazione è stata posta in essere al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. La procedura garantista del contraddittorio preventivo serve proprio a consentire al contribuente di spiegare le ragioni economiche (diverse da quelle fiscali) che hanno motivato le sue scelte.

Poiché nel caso di specie l’accertamento si basava sulla mancanza dei requisiti di deducibilità del costo (inerenza, competenza, congruità come indizio di non inerenza), e non su un’operazione elusiva, la CTR ha errato nel dichiarare la nullità dell’atto per il mancato avvio del contraddittorio preventivo.

Conclusioni

Questa ordinanza fornisce un’importante bussola per imprese e professionisti. La distinzione tra inerenza ed elusione è netta e ha conseguenze procedurali dirette. L’inerenza dei costi resta un onere probatorio a carico del contribuente, che deve essere sempre in grado di documentare e giustificare la correlazione di ogni spesa con la propria attività. L’antieconomicità di una spesa, sebbene non sia di per sé motivo di indeducibilità, può fungere da campanello d’allarme per il Fisco e innescare un accertamento. Spetterà poi all’imprenditore dimostrare che, nonostante l’apparente svantaggio economico, la spesa era funzionale al business. La decisione chiarisce che le garanzie procedurali previste per l’abuso del diritto non possono essere invocate quando la contestazione del Fisco si muove sul terreno, diverso e preliminare, della corretta applicazione delle regole di determinazione del reddito d’impresa.

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta un costo, è sempre obbligata a chiedere preventivamente chiarimenti al contribuente?
No. Secondo la Corte, l’obbligo di contraddittorio preventivo, a pena di nullità, sussiste specificamente quando viene contestata un’operazione elusiva ai sensi dell’art. 37 bis d.P.R. 600/1973. Non si applica, invece, quando la contestazione riguarda la semplice mancanza di inerenza del costo all’attività d’impresa.

Qual è la differenza tra contestare l’inerenza di un costo e l’antieconomicità di un’operazione?
L’inerenza è un giudizio qualitativo sulla correlazione tra un costo e l’attività d’impresa. L’antieconomicità, nel contesto dell’elusione fiscale, si riferisce invece a operazioni prive di valide ragioni economiche, realizzate al solo scopo di ottenere un indebito risparmio d’imposta. Mentre la mancanza di inerenza rende il costo indeducibile, l’antieconomicità è il presupposto per dichiarare l’intera operazione inopponibile al fisco.

L’antieconomicità di un costo può essere usata per dimostrare la sua non inerenza?
Sì. La Corte ha precisato che l’antieconomicità di una spesa può fungere da elemento sintomatico, ovvero da indizio, del difetto di inerenza. Se una spesa appare sproporzionata o priva di senso economico, può essere un segnale che essa non è realmente collegata all’attività d’impresa. In questo caso, spetta al contribuente fornire la prova contraria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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