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Inerenza dei costi: la Cassazione chiarisce i limiti

Un imprenditore individuale deduceva costi per servizi e beni affittati da una società a lui collegata. Il Fisco contestava l’operazione. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’inerenza dei costi si valuta in base alla loro correlazione qualitativa con l’attività d’impresa e non sulla base di un mero giudizio di congruità o proporzione rispetto ai ricavi, cassando la sentenza d’appello e rinviando per un nuovo esame.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Inerenza dei Costi: La Cassazione Fissa i Paletti tra Fisco e Impresa

Il principio di inerenza dei costi rappresenta uno dei cardini del diritto tributario italiano, definendo il confine tra le spese legittimamente deducibili e quelle che non lo sono. Con la recente Ordinanza n. 18771/2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale, offrendo chiarimenti fondamentali sui criteri di valutazione e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La vicenda analizzata riguarda un’operazione tra una ditta individuale e una società collegata, ritenuta dal Fisco “palesemente irrazionale e priva di economicità”.

I Fatti del Caso: L’Operazione tra Parti Correlate

Un imprenditore individuale, titolare di un’azienda di stampa, aveva stipulato un contratto con una società a responsabilità limitata, di cui era socio unico. L’accordo prevedeva l’acquisizione in godimento di servizi e macchinari, oltre alla locazione del capannone dove entrambe le attività venivano svolte. A fronte di ricavi per circa 74.000 euro, la ditta individuale sosteneva costi verso la società collegata per un totale di oltre 94.000 euro (60.000 per servizi e macchinari e 34.000 per l’affitto).

L’Amministrazione Finanziaria ha contestato l’operazione, emettendo un avviso di accertamento per recuperare IRPEF, IVA e IRAP. Secondo il Fisco, l’operazione era antieconomica e i costi illegittimamente dedotti, in quanto sproporzionati rispetto ai ricavi.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale (primo grado) aveva dato ragione al contribuente, la Commissione Tributaria Regionale (secondo grado) aveva ribaltato la decisione, ritenendo che la contiguità tra le due imprese e la sproporzione dei costi rispetto ai ricavi giustificassero la ripresa a tassazione, qualificando i costi come “artificiosi, incongrui ed illegittimamente dedotti”.

La Decisione della Cassazione e il Principio di Inerenza dei Costi

La Corte di Cassazione, investita del ricorso del contribuente, ha cassato la sentenza d’appello, accogliendo due dei nove motivi proposti. Il punto focale della decisione risiede nell’errata applicazione del principio di inerenza dei costi da parte del giudice di secondo grado.

La Corte ha inoltre rilevato un vizio di “omessa pronuncia”, poiché i giudici d’appello non avevano esaminato una specifica contestazione del contribuente relativa al disconoscimento delle quote di ammortamento per due motocicli, violando così il suo diritto di difesa.

Le Motivazioni: Inerenza è una Valutazione Qualitativa, non Quantitativa

Il cuore dell’ordinanza si trova nell’analisi del quinto motivo di ricorso, incentrato sulla violazione dell’art. 109, comma 5, del TUIR. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il giudizio sull’inerenza di un costo non è una valutazione di tipo utilitaristico o quantitativo, ma qualitativo. In altre parole, il giudice tributario non deve verificare se una scelta imprenditoriale sia stata conveniente o congrua, ma solo se il costo sostenuto sia correlato all’attività d’impresa e finalizzato alla produzione di reddito.

I giudici di legittimità hanno affermato che escludere la deducibilità di un costo solo sulla base del “travaso” da un’impresa all’altra e della “sproporzione rispetto ai ricavi” è un errore. Questi elementi possono al massimo costituire degli indizi, ma non sono sufficienti a negare l’inerenza. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto verificare se quei costi, sebbene sostenuti verso una parte correlata, fossero effettivamente afferenti a beni e servizi strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa che ha prodotto i ricavi.

La Corte ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova:

1. Contribuente: Deve provare l’esistenza del costo, la sua effettività e la sua correlazione con l’attività d’impresa.
2. Amministrazione Finanziaria: Se contesta la deducibilità per antieconomicità, deve fornire elementi (anche presuntivi, purché gravi, precisi e concordanti) che dimostrino l’inattendibilità dell’operazione, senza però sindacare le scelte imprenditoriali.

La sentenza d’appello è stata cassata proprio perché ha omesso questa valutazione approfondita, fermandosi a un giudizio superficiale di congruità.

Le Conclusioni: Onere della Prova e Limiti all’Azione del Fisco

L’ordinanza n. 18771/2024 rafforza un principio fondamentale a tutela del contribuente: il Fisco non può sostituirsi all’imprenditore nelle sue decisioni gestionali. La valutazione dell’inerenza dei costi deve rimanere ancorata a un criterio oggettivo di correlazione tra spesa e attività, e non può trasformarsi in un sindacato sulla convenienza economica delle scelte aziendali. La sproporzione tra costi e ricavi può essere un campanello d’allarme, ma spetta all’Ufficio dimostrare, con prove concrete, che tale anomalia nasconde un difetto di inerenza. La causa è stata quindi rinviata a un’altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi importanti principi di diritto.

Un costo sproporzionato rispetto ai ricavi è sempre indeducibile?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo, cioè basato sulla correlazione tra il costo e l’attività d’impresa, e non quantitativo. La sproporzione può essere un indizio di non inerenza, ma non è di per sé sufficiente a giustificare l’indeducibilità se il contribuente prova il collegamento del costo all’attività.

Su chi ricade l’onere di provare l’inerenza dei costi?
L’onere di provare l’esistenza, la certezza e la correlazione del costo con l’attività produttiva di reddito incombe sul contribuente. Qualora l’Amministrazione Finanziaria contesti la spesa perché antieconomica, spetta a quest’ultima fornire elementi (anche indiziari) che dimostrino l’inattendibilità della condotta, elementi a fronte dei quali il contribuente potrà poi fornire la prova contraria.

Cosa succede se un giudice d’appello non si pronuncia su uno specifico motivo di ricorso?
Si verifica un vizio di “omessa pronuncia”, che costituisce una violazione del diritto di difesa. Se tale vizio viene rilevato in Cassazione, la sentenza viene annullata con rinvio, in quanto il giudice ha il dovere di esaminare e decidere su tutte le domande ed eccezioni proposte dalle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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