Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14526 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14526 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’ avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; – controricorrente –
Avverso la sentenza n. 5496/2016 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia pronunciata il 20 giugno 2016 e depositata il 25 ottobre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
1.Con apposito avviso l’Agenzia accertava a carico del contribuente COGNOME NOME COGNOME un maggior reddito derivante da disconoscimento dell’inerenza di costi per € 212.931 da deduzione di costi non documentati e non inerenti per consulenze legali
Notifica, inerenza
relative a cause risarcitorie derivanti dalla carica di sindaco in varie società, rimborso spese effettuato quale associato di studio professionale, spese di viaggi, abbonamenti, libri e pubblicazioni e spese generali, queste ultime eccedenti i limiti di cui all’art. 54, comma 5, TUIR, nonché ulteriori € 16 mila per spese a titolo di canoni di locazione immobili, il tutto con ripresa ai fini IRPEF e IRAP, oltre sanzioni e IVA, avuto riguardo all’anno d’imposta 2009. La CTP respingeva il ricorso.
La CTR, invece, riconosceva -con la sentenza qui impugnata – i costi specificati in motivazione (spese per canoni relativi ad immobili, spese tecniche e legali e ulteriori spese professionali) disconoscendo dunque solo le spese di viaggio, abbonamenti a riviste ed acquisto libri e pubblicazioni, nonché le ‘spese generali’ relative all’acquisto di opere d’arte (per € 148.665,00), peraltro dopo aver respinto le difese del ricorrente in ordine alla notifica dell’avviso di accertamento, dell’assunta violazione del contraddittorio e del difetto di motivazione dell’atto.
Il citato contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
L’intimata Agenzia ha resistito a mezzo di controricorso, spiegando, altresì, ricorso incidentale basato su due motivi.
Veniva in seguito depositata memoria di replica da parte del contribuente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Col primo motivo del ricorso principale si deduce violazione degli artt. 29, comma 1, d.l. n. 78/2010 e 14, comma 1, l. n. 890/1982, prospettandosi l’ erroneità della decisione impugnata nella parte in cui la CTR ha ritenuto che l’amministrazione potesse notificare gli atti a mezzo posta, nonché operante la sanatoria per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ.
In particolare, si sostiene che la modalità di notifica c.d. ‘diretta’ sarebbe prevista solo per atti di mera riscossione, posto che per gli
atti c.d. ‘impo -esattivi’ (l’avviso in parola conteneva l’avvertimento per cui dopo sessanta giorni lo stesso diveniva esecutivo e la riscossione era affidata al relativo Agente) la notifica dovrebbe essere effettuata tramite messi notificatori ai sensi dell’art. 60, d.p.r. n. 600/1973.
1.1. Il motivo è infondato.
L’art. 29, comma 1, lett. a) e b), d.l. n. 78 del 2010, prevede che: «Le attività di riscossione relative agli atti indicati nella seguente lettera a) emessi a partire dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, sono potenziate mediante le seguenti disposizioni: a) l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. L’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento, in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto ed ai connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 8, comma 3-bis del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, dell’articolo 48, comma 3-bis, e dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’articolo 19 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nonché in caso di definitività dell’atto di accertamento impugnato. In tali ultimi casi il versamento delle somme dovute
deve avvenire entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata; la sanzione amministrativa prevista dall’ articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini di cui ai periodi precedenti, sulla base degli atti ivi indicati; b) gli atti di cui alla lettera a) divengono esecutivi decorso il termine utile per la proposizione del ricorso e devono espressamente recare l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, con le modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera a); tale sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione. L’agente della riscossione, con raccomandata semplice o posta elettronica, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione.».
La norma appena richiamata non comporta alcuna deroga alla regola generale prevista nell’art. 14 legge 20/11/1982, n. 890, così come precisato da questa Corte -tra le altre -con l’ordinanza n. 27634 del 2020.
L’art. 14 legge n. 890 del 1982 prevede, infatti, che: «La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l’impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli
uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge. Sono fatti salvi i disposti di cui agli articoli 26, 45 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi d’imposta» .
Tale disposizione non perde il valore di regola generale relativa alla notificazione degli atti al contribuente neppure in relazione al richiamo interno («sono fatti salvi») all’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973.
Non è infatti riscontrabile alcun rapporto di sussidiarietà dell’art. 14 l. n. 890 del 1982 rispetto all’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, nella misura in cui il legislatore con quest’ultima norma aggiunge ulteriori modalità di notificazione dell’avviso di accertamento, senza escludere, tuttavia, il possibile ricorso alla (regola generale della) notificazione diretta a mezzo posta (cfr. anche Cass. n. 21972/2024).
Pertanto «l’art. 29, comma 1, lett. a), seconda parte, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, non fa altro che attribuire all’amministrazione finanziaria la facoltà di effettuare la notificazione degli atti «in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento», emanati successivamente a questo, «anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento», senza in alcun modo incidere sulle modalità di notificazione degli avvisi di accertamento, vietandone la notificazione diretta a mezzo posta.» (v. Cass. n. 27634/2020, cit.).
La notifica, che nella specie avvenne a mezzo posta ‘direttamente’ e dunque a mente dell’art. 14 l. n. 890/1982, era perciò pienamente valida.
2.Col secondo mezzo del ricorso principale si deduce violazione dell’art. 60, primo comma, lett. d), d.p.r. n. 600/1973 relativo alla notifica presso il domicilio eletto, contestandosi la sentenza impugnata che ha ritenuto valida la notifica per raggiungimento dello scopo benché la stessa fosse stata eseguita presso la residenza, anziché nel domicilio eletto.
2.1. In proposito va ricordato che la natura sostanziale e non processuale dell’avviso non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché il rinvio disposto dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento) alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione, l’applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c. (v. Cass. sez. V, 30.10.2018, n. 27561). Giova, inoltre, ribadire che ‘la tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento produce l’effetto di sanare ex tunc la nullità della relativa notificazione, per raggiungimento dello scopo dell’atto ex artt. 156 e 160 c.p.c.’, (Cass. sez. V, 22.10.2024, n. 27326; in tema di impugnazione di atti impositivi Cass. n. 6678/2017).
Tuttavia, va subito osservato come nella specie è pacifico che l’atto, pur notificato non presso il domicilio eletto, bensì presso la residenza, venne ritirato da soggetto delegato dallo stesso contribuente, per cui la notifica dev’essere equiparata a quella a mani proprie, con la conseguenza che va in radice esclusa la nullità della stessa.
Col terzo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione della norma sui termini per la sanatoria (per raggiungimento dello scopo) e per non ave la CTR considerato un fatto decisivo, ‘vale a dire che il ricorso è stato presentato dal contribuente dopo il termine di decadenza e pertanto la sanatoria
per raggiungimento dello scopo non si configura e la nullità invocata non è sanabile …’
3.1. La tesi del ricorrente è quella per cui, dovendosi ricollegare la sanatoria alla proposizione del ricorso, a quel punto (5 gennaio 2015) l’amministrazione era decaduta dalla potestà impositiva, ed è vero che la sanatoria determinata dalla proposizione del ricorso non può certo evitare la decadenza dalla potestà impositiva o riscossiva che si fosse anteriormente determinata.
Il motivo va ritenuto assorbito per effetto del rigetto del precedente la cui questione ha carattere pregiudiziale (c.d. assorbimento improprio, perché appunto la decisione di cui al motivo precedente esclude la possibilità di provvedere sulla presente questione: cfr., ad es., Cass. n. 26507/2023), dal momento che con la precedente statuizione è stata confermata la decisione della CTR con la quale si è stabilita la piena validità della notificazione (avendo lo stesso contribuente affermato di avere ricevuto notifica dell’avviso di accertamento in data 7 novembre 2014, ritirata presso l’ufficio postale da persona da lui delegata).
Col quarto motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 24, l. n. 4/1929, 12, l. n. 212/2000, e 41, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, avendo – ad avviso del contribuente errato la CTR nel ritenere il contraddittorio preventivo in caso di accertamento documentale (c.d. ‘a tavolino’) non necessario con riferimento agli atti di imposizione diretta.
4.1. Fermo restando che una forma d’interlocuzione venne instaurata a mezzo della somministrazione di un questionario cui il contribuente rispose fornendo la documentazione dallo stesso ritenuta utile, come noto ‘In tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale
“vis expansiva” dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente. stato nella specie effettuato a seguito delle risposte fornite dal contribuente al questionario inviatogli’ ( v., ex plurimis , Cass. 05/11/2020, n. 24793).
Inoltre, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, non può essere interpretato nel senso che la consegna della documentazione contabile spontaneamente effettuata dal contribuente presso gli uffici dove viene eseguita la verifica possa essere equiparata a quella compiuta presso la sede della società e successivamente proseguita, ai sensi del comma 3 di detta disposizione, negli uffici dell’amministrazione (cfr. Cass. 14/03/2018, n. 6219).
Con riferimento poi all’i.v.a. il motivo è del pari infondato, poiché la parte ricorrente non dimostra cosa avrebbe dedotto nell’invocato contraddittorio, e quindi in quale misura il difetto del contraddittorio abbia inciso (c.d. prova di resistenza).
Col quinto motivo si deduce carenza di motivazione e vizio di ultrapetizione ‘con riferimento all’inerenza e deducibilità delle spese di locazione di oggetti d’arte’.
5.1. Il motivo è privo di fondamento.
Proprio dalle pagine in cui si articola il motivo si evince soltanto la proposizione di questioni giuridiche circa la disciplina fiscale delle spese per locazione di beni d’arte in riferimento all’attività svolta dal contribuente, ed in particolare la loro non inquadrabilità fra le spese di rappresentanza di cui all’art. 54, comma 5, TUIR, trascurando però che la CTR ha reso sul punto una congrua motivazione, stabilendo da un lato l’esorbitanza delle spese ove qualificate come ‘di rappresentanza’, ma soprattutto dall’altro accertando in fatto che ‘nulla viene dedotto in ordine alla qualifica
di tali spese; non si comprende infatti in quale misura le stesse siano state affrontate per accrescere il prestigio dell’attività professionale, atteso che non emerge neppure la modalità di utilizzo’ ed osservando che comunque tali spese devono avere ‘una qualche ragionevolezza in relazione all’entità dei compensi percepiti’ (tali spese ascendevano ad oltre 148 mila euro), osservazione quest’ultima che non è posta in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., come assunto dal ricorrente, ma strettamente connessa -nell’ottica della motivazione – al principio di inerenza.
Col primo motivo del ricorso incidentale si denuncia carente motivazione in relazione all’annullamento della ripresa inerente alle spese di locazione di immobili, sostenendo la difesa erariale che la CTR in proposito si sarebbe limitata ad osservazioni generiche
senza entrare nel merito dell’inerenza e senza descrivere le fatture.
6.1. Il motivo merita solo parziale accoglimento.
La CTR ha effettivamente accertato la documentazione a dimostrazione delle spese, ma mentre con riguardo a quelle relative allo studio presso il quale il contribuente esercitava la professione, appunto facendo riferimento all’esercizio della professione e citando un documento specifico (accordo transattivo), ha ad un tempo anche accertato in fatto l’inerenza, con riferimento alle altre si è appunto limitata ad un generico riferimento alle fatture, non solo non specificandole o determinandone l’importo, anche per distinguerle dal resto del materiale probatorio prodotto, ma senza compiere alcuna indagine in ordine all’inerenza, la cui mancanza costituiva fondamento sia della ripresa che della motivazione della pronuncia gravata.
Col secondo motivo del ricorso incidentale si deduce del pari motivazione carente od apparente in riferimento alle spese per consulenze tecniche e legali.
7.1. il motivo è fondato.
Sul punto la CTR si limita a rendere osservazioni oltremodo generiche e imponderabili, facendo riferimento a spese ‘risultanti da fatture e altra documentazione allegata sulla base della quale è possibile affermare che si tratti di esborsi effettivi e per attività inerenti alla professione…senza che sul punto l’appellato abbia avanzato alcuna censura, salvo ribadire quanto risultante dall’accertamento e senza valutazione delle produzioni dell’appellante in sede contenziosa’.
Orbene si tratta di riferimenti all’evidenza vaghi: non si precisa nulla sulle fatture, né si fa riferimento specifico all”altra documentazione’.
Per contro si dà atto che le contestazioni c’erano, ed erano contenute nell’atto impositivo.
Né si comprende quali siano e dove siano le abbondanti deduzioni del contribuente.
In realtà in proposito l’Agenzia aveva preso posizione affermando (in sede di avviso di accertamento) che ‘Le fatture esibite dal contribuente si riferiscono a prestazioni rese da avvocati in merito a cause pendenti presso i vari Tribunali per reati non inerenti all’attività professionale…’.
Anche per tal verso sfugge dunque la stessa consistenza dello scarno riferimento del giudice d’appello alla ‘non contestazione’, peraltro non predicabile in sede di processo tributario se non sotto il profilo strettamente probatorio, proprio perché il processo ha natura impugnatoria di un atto impositivo.
4. In definitiva il ricorso principale deve essere integralmente rigettato , mentre quello incidentale dev’essere accolto nei termini di cui in motivazione (ovvero parzialmente con riguardo al primo motivo e per intero con riferimento al secondo), con relativa cassazione in proposito della sentenza impugnata e conseguente rinvio al giudice di merito, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.
Sussistono, con riferimento al ricorso principale, i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto nei richiamati termini e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di 2^ grado della Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare, da parte del ricorrente principale, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025