Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23095 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23095 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 3100-2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE c.f. P_IVA, (società cancellata) in persona dell’ultimo liquidatore e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 4037/11/2023 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 27.06.2023; adunanza camerale del 26 febbraio udita la relazione della causa svolta nell’ 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società, che era stata costituita nel 2016 ed aveva per oggetto sociale ‘ lo svolgimento di campagne di sponsorizzazione mediante la partecipazione
Rimborsi – IVA –
Inerenza
–
Attività
sportive
ad eventi e manifestazioni sportive, con particolare riguardo alle regate veliche organizzate in ambito nazionale, comunitario ed extracomunitario ‘, nell’anno 2020 fu messa in liquidazione . Alla richiesta di rimborso dell’Iva a credito, ex art. 30, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, l’Agenzia delle entrate oppose il suo diniego sull’assunto che le spese sopportate e fatturate non fossero inerenti.
La società propose ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, che con sentenza n. 4138/34/2022 ne rigettò le ragioni . L’appello della contribuente fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Campania con la sentenza ora al vaglio di questo Collegio.
Il giudice regionale, dopo aver ricostruito la vicenda processuale e dopo aver perimetrato il concetto di inerenza, con richiamo a principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità, ha evidenziato come la società facesse perno sulla sola disponibilità di una barca di lusso, la RAGIONE_SOCIALE, concessa in comodato gratuito dal suo amministratore delegato NOME COGNOME per la partecipazione a competizioni sportive nazionali ed internazionali. In tale contesto ha evidenziato che: a) a fronte degli ingenti costi sostenuti per la sua ‘predisposizione’ alle gare, superiori nel 2017 a 550.000,00 €, aveva ottenuto sponsorizzazioni per 45.000,00 €, chiudendo i bilanci negli anni successivi sempre in perdita; b) l’equipaggio aveva come armatore e timoniere il NOME COGNOME e, sempre come timoniere, NOME COGNOME, altro socio; c) era stata costituita con un capitale di soli € 10.000,00, neppure interamente versati; d) tutto ciò indicava come la società fosse stata costituita più per un puro interesse sportivo che per il perseguimento di una iniziativa economica; e) d’altronde, al momento della sua cessazione, la società aveva accumulato passività per oltre € 890.000,00 rispetto ad una raccolta di sponsorizzazioni pari ad € 215.000,00; f) ha espresso dubbi che le spese sostenute fossero tutte destinate alla RAGIONE_SOCIALE, evidenziando come le fatture relative all’acquisto di alcune vele riportavano un diverso modello di barca, in proprietà del COGNOME ed estranea alla società. Quindi, il giudice regionale ha dedotto che « Tutte le indicate circostanze, dall’operazione di cessione in comodato gratuito della barca alla società da parte del socio e rappresentante legale, società che ne sopportava le spese di ristrutturazione e manutenzione, nonché quelle di allenamento dell’equipaggio, all’utilizzo della stessa da parte del comodante e alla stipula
di contratti di sponsorizzazione di società aventi oggetto sociale avulso dalla realtà nautica, inducono a ritenere, in conformità alla tesi dell’Ufficio e alla valutazione operata dai primi giudici, che l’attività espletata, sebbene dichiarata di sponsorizzazione, fosse in realtà sportiva e la stipula dei contratti di sponsorizzazione strumentale all’indebita detrazione dell’IVA ad essi afferenti. E ciò anche considerato che è contraria ad ogni logica commerciale impostare l’attività sociale in termini antieconomici – la società ha chiuso tutti gli esercizi in perdita -e senza prospettive future, partecipando a gare nazionali e internazionali, tra cui la Coppa America, sponsorizzando imprese assicurative o di vendita di materiali edili, non potendo da tale attività di pubblicizzazione derivare alla RAGIONE_SOCIALE alcuna utilità o vantaggio futuro. Per contro l’antieconomicità dei costi sostenuti, intesa come sproporzione fra la spesa e l’utilità che ne derivava, funge da elemento sintomatico del difetto di inerenza dei costi suindicati all’attività di impresa ». Ha pertanto rigettato l’appello.
La contribuente ha censurato la sentenza con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e ne ha chiesto la cassazione.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata decisa all’esito dell’adunanza camerale del 2 6 febbraio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 19 del D.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. da 184 a 187 e 189 della direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c. ‘. La sentenza si porrebbe in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini Iva per la detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive è necessario valutare l’effettiva inerenza delle medesime operazioni rispetto alle fina lità dell’ attività imprenditoriale, anche solo programmata;
con il secondo motivo denuncia la ‘ Nullità della sentenza per motivazione apparente ed omessa violazione dell’art. 36 d. lgs 546/92, dell’art. 132 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. ‘ . La sentenza sarebbe affetta da motivazione apparente per aver il Giudice d’appello posto a base della sua decisione elementi probatori inidonei
a
negare l’inerenza e la strumentalità de gli acquisti eseguiti rispetto
all’attività imprenditoriale avviata, finalizzata alla raccolta di sponsorizzazioni e di campagne pubblicitarie mediante la partecipazione a gare veliche.
Il primo motivo è fondato.
La società sostiene che a fronte di un progetto economico, come quello perseguito con la costituzione della società, non assumevano rilievo le eccessive spese sostenute, soprattutto nel primo anno, perché era necessario attrezzare l’imbarcazione per gareggiare nelle massime competizioni internazionali di vela ed acquisire un equipaggio di primissima professionalità. In quest’ottica il giudice non aveva ten uto conto che il primo timoniere era tra i più esperti nel panorama velistico mondiale, avendo anche partecipato a competizioni come la Coppa America. Solo gareggiando a livelli mondiali la barca avrebbe potuto conseguire quella notorietà, da cui sarebbero dipesi contratti di sponsorizzazione sempre più lucrosi, secondo le finalità economiche per le quali la società era stata costituita. In tale contesto non aveva rilevanza il fallimento del progetto, atteso che ciò era dipeso dalla pandemia da RAGIONE_SOCIALE, che aveva bloccato ogni manifestazione, con riflessi disastrosi anche sull ‘ economia delle aziende con cui concludere contratti di sponsorizzazione.
Nel perimetrare la questione sulla quale si è sviluppata la controversia, ossia l’inerenza dei costi, disconosciuta dall’erario , va premesso che gli approdi interpretativi sul concetto di inerenza hanno avvertito l’assenza di una nozione giuridica. Come evidenziato in dottrina, si tratta piuttosto di un principio per taluni aspetti immanente nella Costituzione, un ‘corollario’ del concetto di reddito, ma tuttavia materia di dibattito, per il quale il richiamo all’art. 109, comma 5 , del d.P.R. n. 917 del 1986 rappresenta un mero “contenitore”, in cui è semplicemente prevista l’indeducibilità dei costi che dovessero risultare estranei all’attività svolta.
Nella giurisprudenza, secondo l’interpretazione tradizionale, essa trova allocazione nell’art. 109, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986, e d è ricondotto al rapporto tra costo ed attività d’ impresa. È stato in particolare affermato che, con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 109 (già 75) del d.P.R. n.
917 del 1986, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o
il costo) e l’attività d ‘impresa – sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (cfr. Cass., 11 agosto 2017, n. 20049; 9 maggio 2017, n. 11241; 27 febbraio 2015, n. 4041).
Anche l’ampiezza dello spettro entro cui riconoscere un rapporto di inerenza è stata scrutinata dalla giurisprudenza, sensibile a non ridurre la relazione entro criteri meramente formali, ampliandone invece la portata mediante la valorizzazione del rapporto e delle ricadute concrete tra spesa e coerenza economica con l’attività di impresa. Per un verso dunque si è negato che il rapporto trovi conforto nella mera contabilizzazione del costo ( ex multis , 8 ottobre 2014, n. 21184) e che al contrario incomba sul contribuente l’onere di allegazione della documentazione di supporto da cui ricavare l’importo, nonché la ragione e la coerenza economica della spesa al fine della prova dell’inerenza (anche qui, ex multis, 26 maggio 2017, n. 13300; 30 maggio 2018, n. 13596; con specifico riferimento all’Iva , cfr. 27 settembre 2013, n. 22130; 7 giugno 2018, n. 14858).
Sotto altro aspetto tuttavia è stato opportunamente e condivisibilmente avvertito come ai fini della deducibilità dei costi per la determinazione del reddito d’impresa non è sufficiente che l’attività svolta rientri tra quelle previste nello statuto sociale, circostanza che ha un valore meramente indiziario circa la sua inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa, incombendo sul contribuente l’onere di dimostrare che un’operazione, anche apparentemente isolata e non diretta al mercato, sia inserita in una specifica attività imprenditoriale e destinata, almeno in prospettiva, a generare un lucro in proprio favore (Cass., 25 febbraio 2015, n. 3746). Il che introduce un criterio interpretativo non solo utilizzabile per negare inerenza a spese finalizzate esclusivamente al conseguimento di vantaggi fiscali (come per la fattispecie analizzata nella pronuncia da ultimo citata), ma anche, al contrario, per valorizzare spese che concretamente, in prospettive di ampia visione, si rivelino utili al progetto imprenditoriale, pur rivelando -ma solo in apparenzaun rapporto debole tra costo e attività d’impresa.
Tale ultimo rilievo torna utile quando la Corte, abbandonando il tradizionale criterio del rapporto tra costo e requisiti di congruità e
vantaggiosità dello stesso, e prendendo le distanze dall’art. 109 Tuir quale fondamento del concetto di inerenza, ha affermato che, in tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa, non dall’art. 109 comma 5 (già 75) del d.P.R. n. 917 del 1986, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili.
Si è in particolare sostenuto che l’inerenza deve esprimere la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza necessità di compiere valutazioni in termini di utilità, anche solo potenziale o indiretta. È infatti configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, né deve assumere rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (Cass., 11 gennaio 2018, n. 450).
L’impostazione da ultimo riferita , indubbiamente evolutiva rispetto agli angusti ambiti nei quali l’inerenza sembrava costretta, assume tuttavia solo apparentemente una posizione di totale rottura con il passato, perché -ad una piana lettura- è meno lontana di quanto sembri dalla tradizionale interpretazione. Infatti, quando si consideri che per un verso viene valorizzato il rapporto, caldeggiato da autorevole dottrina, tra spesa e sua riferibilità, immediata o mediata, alla produzione del reddito (con esclusione, dunque, di quelle spese afferenti la cd. disposizione del reddito), e per altro verso si instaura il rapporto tra spesa e reddito di impresa, l’abbandono dei requisiti della vantaggiosità e congruità del costo non vuol significare che essi siano del tutto esclusi dal giudizio di valore, cui resta comunque sottoposta la spesa al fine del riconoscimento della sua inerenza e dei presupposti per la sua deducibilità.
Qualunque sia il concetto di impresa, anche nelle teorie più socialmente orientate a svilirne finalità di utile economico, e, per le società, lo scopo del conseguimento di utili (ai fini del fisco elemento di manifestazione di ricchezza e dunque presupposto stesso della tassazione), e qualunque finalità voglia perseguirsi con l’impresa, non può certo negarsi l’esigenza di applicazione di buone regole di gestione dell’attività, che contrastano assiomaticamente con spese svantaggiose, incongrue e sproporzionate -tali ovviamente non in rapporto all’esito del costo ma secondo un giudizio
prognostico a monte, dovendosi altrimenti negare il rischio d’impresa -. Ciò perché è agevole ipotizzare che spese incongrue o svantaggiose conducano alla mala gestione dell’impresa -e da ultimo alla sua crisi e cessazione-, sicché i criteri, apparentemente estromessi, tornano ad assumere indirettamente rilevanza, come d’altronde evidenzia quello stesso richiamato evolutivo orientamento, nella parte conclusiva delle argomentazioni, affermando che « l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelativi della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa ».
La convergenza tra due percorsi interpretativi, in apparente contraddizione, trova conferma anche considerando il tradizionale orientamento sul concetto di inerenza, atteso che la valorizzazione della congruenza e vantaggiosità del costo rapportato all’imp resa già prima, a ben vedere, implicava un giudizio di valore qualitativo della stessa spesa. E ciò, in maniera più o meno esplicita, viene ribadito anche nelle decisioni successive e recenti di questa Corte (Cass., 2 febbraio 2021, n. 2224; 17 gennaio 2020, n. 902; 21 novembre 2019, n. 30366; 23 maggio 2018, n, 12738; 17 luglio 2018, n. 18904).
Gli approdi ermeneutici più recenti hanno dunque stimolato indagini volte ad avvicinare il concetto giuridico di inerenza dei costi alla complessa realtà economica ed al modo concreto dell’operare dell’impresa.
In questo humus , con particolare riguardo al tema dell’imposta sul valore aggiunto, si è avvertito che l’inerenza di un costo attinente all’attività di impresa non può essere esclusa in considerazione della mera sproporzione o incongruenza della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo ed attività d’impresa. Quando l’Amministrazione finanziaria neghi l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, pur non identificandosi con essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali.
Resta tuttavia chiaro che il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo (Cass., 18904 del 2018, cit.; 6 giugno 2018, n. 14579; 13 novembre 2019, 29404). E, proprio in tema di sponsorizzazioni, si è conseguentemente affermato che comunque l’inerenza dei costi sostenuti rispetto all’attività di impresa va intesa in senso qualitativo, come potenziale e indiretto beneficio per l’attività imprenditoriale, e non in senso meramente quantitativo, come utilità, concreto vantaggio o futuro incremento della stessa (Cass., 7 aprile 2022, n. 11324).
Questi i principi generali elaborati da questa Corte, nel caso di specie ciò che emerge è che la società ha indubbiamente sostenuto spese importanti, con risultati economici costantemente in perdita negli anni in cui è risultata operativa, prima di essere posta in liquidazione. Tuttavia, nella fase iniziale dello sviluppo imprenditoriale, doveva necessariamente sopportare costi rilevanti per l’attività espletata e soprattutto per il perseguimento del suo progetto economico: imporsi all’attenzione del pubblico appassionato di gare veliche, mediante la partecipazione ai più importanti eventi e competizioni del settore, con la finalità di acquisire visibilità, e con essa assumere una ‘ immagine ‘ capace di attrarre sponsorizzazioni di alto livello, sino alla possibilità di posizionarsi sul mercato quale testimonial di grandi marchi.
Questo fenomeno imprenditoriale è particolarmente diffuso nella tipologia dei teams sportivi, in particolare nel mondo delle auto o delle moto da corsa, e più ancora negli sport velistici, sino ad assumere fenomeni imponenti nel cd. business sportivo, addirittura con rating di ‘reputazione’ di atleti di fama internazionale, come nel mondo del tennis o del calcio. Questo proprio per identificare indici di valore ‘economico’ ai fini del ritorno pubblicitario per chi intende sponsorizzare la società sportiva o il singolo atleta.
Si tratta di iniziative e progetti imprenditoriali, che per forma di sviluppo e criticità della fase iniziale sono prossimi alle start up , che peraltro più volte incorrono anche nel fallimento del progetto.
A tal fine questa Corte ha avvertito come debbano giustificarsi costi eccessivi, addirittura anche per ipotesi in cui in concreto certe iniziative economiche non siano più riuscite a decollare.
Così, con lo sguardo rivolto ad un panorama più generale delle iniziative imprenditoriali, si è affermato che in tema di IVA, ai fini della detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e sulle operazioni passive occorre accertarne l’effettiva inerenza rispetto alle finalità imprenditoriali, senza che sia tuttavia richiesto il concreto svolgimento dell’attività di impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche in assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (Cass., 3 ottobre 2018, n. 23994, in una ipotesi in cui la Corte ha annullato la decisione impugnata che aveva escluso la detraibilità dell’IVA versata per l’acquisto di un immobile a destinazione abitativa che sarebbe stata mutata in quella alberghiera per l’esercizio dell’attività di impresa).
Proprio nel settore delle start up la giurisprudenza di legittimità è intervenuta nel dissipare dubbi sulla inerenza di costi e sulla loro conseguente detraibilità (cfr. Cass., 31 agosto 2022, n. 25635, con la quale, facendo leva anche sulla giurisprudenza unionale pertinente, è stata confermata la decisione che aveva ritenuto legittima la detrazione riferita ad operazioni passive riguardanti un immobile acquistato da una società, da destinare in parte a propria sede e in parte ad altri usi, previa esecuzione di ingenti lavori di ristrutturazione, anche se tali lavori erano durati così a lungo che, dopo sei anni dalla costituzione della società e cinque dall’acquisto dell’immobile, l’attività sociale non era iniziata e l’immobile non risultava ancora utilizzato; 12 agosto 2024, n. 22664, in cui la Corte ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto non inerente l’acquisto, durante la fase di start-up, di un opificio poi locato a terzi, in ragione del tempo trascorso rispetto all’avvio dell’attività, senza valutare se tale costo fosse effettivamente strumentale all’esercizio della complessiva attività d’impresa ovvero ad essa estraneo).
Resta poi fermo che il contribuente è tenuto a provare i fatti costitutivi del costo ed a documentarli, quali l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ponendoli
in correlazione all’attività imprenditoriale svolta (cfr. Cass., 18 gennaio 2025, n. 1239).
Questo il perimetro entro il quale il giudice tributario è tenuto a muoversi per verificare l’inerenza del costo, la sentenza ora al vaglio della Corte non ha fatto applicazione dei principi enunciati.
Privilegiando una valutazione prevalentemente se non esclusivamente quantitativa dei costi sostenuti, rispetto agli utili conseguiti, e ciò sulla mera constatazione dell’esito ‘infausto’ dell’iniziativa economica, nonché sulla considerazione che la partecipazione a gare veliche non avesse nulla da spartire con la sponsorizzazione di società assicurative o dedite al commercio di materiale edile (società sponsorizzatrici), ha del tutto omesso di esaminare l ‘ esistenza o meno di un rapporto di coerenza tra costi ed attività economica intrapresa dalla società proprietaria di una barca da competizione velistica. Infatti, non è stata in alcun modo scandagliata la prospettazione dei potenziali benefici che l’iniziativa economica , tesa ad armare una barca in grado di competere nel mondo dell ‘agonismo velistico , avrebbe potuto avere quale ritorno di ‘reputazione’ al fine di attrarre clientela per la conclusione di contratti di sponsorizzazione.
In altri termini il giudice regionale non ha eseguito alcuno di quegli accertamenti, che secondo le regole del rapporto qualitativo ‘ costi/attività d’impresa’ avrebbe invece dovuto esercitare e approfondire. E, ai fini della ponderazione di una eventuale macroscopica antieconomicità del rapporto ‘ costi/progetto economico ‘ perseguito con l’attività d’impresa , non ha neppure tenuto conto della specificità dell’iniziativa economica, così come d i quanto circostanze esterne abbiano potuto incidere sul suo fallimento.
In definitiva il motivo va accolto.
L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo, che ha inteso criticare la pronuncia impugnata sotto il profilo della apparenza della motivazione, ma che in realtà si traduce in una ulteriore critica alla decisione per la inidoneità degli elementi apprezzati dalla Commissione regionale per negare l’inerenza e la strumentalità degli acquisti eseguiti rispetto all’attività imprenditoriale avviata, finalizzata alla raccolta di sponsorizzazioni e di campagne pubblicitarie mediante la partecipazione a gare veliche.
RGN 3100/2024 Consigliere rel. NOME La sentenza va cassata e il processo va rinviato alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, che in diversa composizione, oltre a
liquidare le spese del giudizio di legittimità, provvederà a riesaminare l’appello nell’osservanza dei principi enunciati da questa Corte in tema di inerenza, e in particolare, tenendo conto che « Ai fini del vaglio d’inerenza dei costi sostenuti nell’eser cizio di attivi tà d’impresa, la cui deducibilità va ricondotta alla correlazione tra costi ed attività in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo e non quantitativo, le eccessive spese sostenute nello stato iniziale, o comunque nel tempo necessario allo sviluppo del progetto economico, consistente nella promozione di un gruppo sportivo per la partecipazione a competizioni nazionali o internazionali ad elevato valore agonistico, in discipline molto seguite, e finalizzato ad attrarre sponsorizzazioni per la reputazione conseguita, non costituiscono in sé un segnale di incongruità o antieconomicità della spesa, da cui evincere indizi di incongruenza con il progetto stesso, e ciò anche quando questo fallisca, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo ed attività d’impresa . ».
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 26 febbraio 2025