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Indennità di trasferta: quando è esente da tasse?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la non tassabilità di una indennità di trasferta erogata a un dipendente. La decisione si fonda sull’adeguata prova documentale fornita dal lavoratore e su vizi procedurali nel ricorso dell’ente, che tentava una rivalutazione dei fatti e non contestava specificamente le ragioni di inammissibilità sollevate in appello.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Indennità di trasferta e tassazione: la Cassazione fissa i paletti

L’indennità di trasferta rappresenta una voce importante nella busta paga di molti lavoratori, ma la sua corretta qualificazione fiscale è spesso fonte di contenzioso. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e confermando che, se adeguatamente documentata, tale indennità non concorre a formare il reddito imponibile del dipendente.

I fatti di causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un lavoratore dipendente di un’azienda operante nel settore della logistica editoriale. L’Agenzia delle Entrate contestava la natura di indennità di trasferta esentasse di una somma di oltre 4.400 euro, corrispostagli per l’anno 2011, e procedeva a recuperare l’IRPEF non versata.

Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo, ottenendo ragione sia in primo grado, presso la Commissione Tributaria Provinciale, sia in appello, presso la Commissione Tributaria Regionale. I giudici di merito hanno ritenuto che la documentazione prodotta dal lavoratore (note spese, buste paga, lettere d’incarico) fosse sufficiente a dimostrare l’effettivo svolgimento delle trasferte, giustificando così l’esenzione fiscale delle somme percepite.

La questione dell’indennità di trasferta nel giudizio di appello

Nel giudizio di secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, confermando la decisione iniziale. I giudici regionali hanno sottolineato due aspetti fondamentali:

1. Prova sufficiente: la documentazione agli atti dimostrava che il lavoratore aveva effettuato ‘trasferte per recarsi a consegnare i prodotti editoriali ai punti vendita o per eseguire un controllo di qualità sulla distribuzione e sulla resa dei prodotti’.
2. Inammissibilità dell’argomento nuovo: l’Agenzia delle Entrate aveva introdotto per la prima volta in appello la tesi secondo cui al lavoratore si sarebbe dovuta applicare la disciplina dei cosiddetti ‘trasfertisti’ (art. 51, comma 6, TUIR). I giudici hanno dichiarato tale argomento inammissibile, sia per la sua novità, sia perché l’Amministrazione non aveva un concreto interesse a sollevarlo.

Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate inammissibile, basando la propria decisione su due pilastri argomentativi.

In primo luogo, la Corte ha osservato che le censure mosse dall’ente impositore si risolvevano in una critica alla valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito. Tale attività, ovvero il riesame del materiale probatorio e l’accertamento dei fatti, è preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, se questa è logicamente motivata, come nel caso di specie.

In secondo luogo, il ricorso è stato giudicato aspecifico. L’Agenzia delle Entrate, nel riproporre la questione relativa alla qualifica del dipendente come ‘trasfertista’, non ha mosso alcuna censura specifica contro la ragione preliminare per cui la Corte d’Appello aveva già respinto tale argomento, ovvero la sua inammissibilità procedurale. In pratica, l’Amministrazione ha ignorato il rilievo processuale dei giudici di merito, che avevano chiuso la porta a quella discussione, e ha tentato di riaprirla in Cassazione senza prima demolire la motivazione procedurale che ne impediva l’esame. Questo vizio rende il motivo di ricorso non adeguatamente focalizzato sulla decisione impugnata.

Le conclusioni

La pronuncia della Cassazione ribadisce principi fondamentali sia in materia sostanziale che processuale. Dal punto di vista sostanziale, viene confermata l’importanza cruciale della prova documentale a carico del contribuente per poter beneficiare dell’esenzione fiscale sull’indennità di trasferta. Dal punto di vista processuale, la decisione è un monito per chi impugna una sentenza: è necessario confrontarsi puntualmente con tutte le ragioni, anche quelle procedurali, che hanno sorretto la decisione del giudice precedente. Un ricorso che ignora o non contesta specificamente una delle ‘rationes decidendi’ della sentenza impugnata è destinato a essere dichiarato inammissibile.

Come può un lavoratore dimostrare il diritto all’esenzione fiscale per l’indennità di trasferta?
Il lavoratore deve fornire una documentazione adeguata che provi l’effettivo svolgimento delle trasferte. Nel caso esaminato, sono state ritenute sufficienti note spese, buste paga e lettere d’incarico che attestavano gli spostamenti per motivi di lavoro.

È possibile introdurre nuovi argomenti legali per la prima volta nel giudizio di appello?
No. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che hanno dichiarato inammissibile l’argomento dell’Agenzia delle Entrate relativo alla qualifica di ‘trasfertista’, in quanto sollevato per la prima volta in appello e non nel giudizio di primo grado.

Cosa rende un ricorso in Cassazione ‘aspecifico’ e quindi inammissibile?
Un ricorso è aspecifico quando non contesta in modo mirato e puntuale tutte le ragioni che hanno fondato la decisione del giudice precedente. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate non ha criticato la motivazione con cui i giudici d’appello avevano dichiarato inammissibile un suo argomento, rendendo il ricorso in Cassazione inefficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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