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Indennità di trasferta: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la non imponibilità dell’indennità di trasferta percepita da un lavoratore dipendente. La sentenza chiarisce i criteri distintivi tra ‘lavoratore in trasferta’ e ‘lavoratore trasfertista’, stabilendo che in assenza dei requisiti specifici per quest’ultima qualifica (come la mancanza di una sede di lavoro fissa e un’indennità forfettaria), si applica il regime fiscale più favorevole previsto per le trasferte occasionali, con esenzione fino ai limiti di legge.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Indennità di Trasferta: Quando è Esentasse? La Cassazione Fa Chiarezza

L’indennità di trasferta rappresenta una delle voci più complesse nella busta paga, spesso al centro di contenziosi tra Fisco e contribuente. La sua corretta qualificazione determina se le somme erogate al dipendente siano da considerare reddito imponibile o un semplice rimborso spese esentasse. Con la recente ordinanza n. 26662/2025, la Corte di Cassazione è intervenuta per tracciare una linea netta tra la figura del ‘lavoratore in trasferta’ e quella del ‘lavoratore trasfertista’, una distinzione cruciale per l’applicazione del corretto regime fiscale.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un avviso di accertamento notificato a un lavoratore dipendente. A seguito di una verifica fiscale presso il suo datore di lavoro, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la natura non imponibile di somme percepite a titolo di indennità di trasferta e rimborso chilometrico per l’anno d’imposta 2011. Secondo l’Amministrazione finanziaria, tali importi, pari a oltre 24.000 euro, costituivano a tutti gli effetti reddito da lavoro dipendente e, come tali, avrebbero dovuto essere assoggettati a IRPEF.

Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo, ottenendo ragione sia in primo grado, presso la Commissione Tributaria Provinciale, sia in appello, presso la Commissione Tributaria Regionale. I giudici di merito hanno ritenuto che il lavoratore avesse fornito prova adeguata dell’effettivo svolgimento delle trasferte, giustificando così l’applicazione del regime di esenzione.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo la violazione di legge e lamentando che i giudici di merito avessero erroneamente applicato il regime fiscale previsto per il ‘lavoratore in trasferta’ (Art. 51, comma 5, del TUIR) invece di quello, fiscalmente meno vantaggioso in questo specifico caso, per il ‘lavoratore trasfertista’ (Art. 51, comma 6, del TUIR).

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti e condannando l’Agenzia al pagamento delle spese legali.

Le motivazioni sulla corretta qualificazione dell’indennità di trasferta

Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi della distinzione tra le due figure professionali. La Corte ha chiarito che non è sufficiente che un lavoratore svolga la sua attività prevalentemente fuori dalla sede aziendale per essere qualificato come ‘trasfertista’. Per applicare il regime fiscale specifico del trasfertista, devono sussistere congiuntamente tre condizioni, cristallizzate da una norma di interpretazione autentica (art. 7-quinquies del D.L. 193/2016):

1. Mancata indicazione di una sede di lavoro fissa nel contratto o nella lettera di assunzione.
2. Svolgimento di un’attività lavorativa che richiede continua mobilità del dipendente.
3. Corresponsione di un’indennità o maggiorazione fissa, attribuita senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate non è riuscita a dimostrare la sussistenza di tutti e tre i requisiti, in particolare il terzo. Il lavoratore non percepiva un’indennità fissa e slegata dalle singole trasferte, ma rimborsi specificamente legati agli spostamenti documentati. Mancando anche solo uno di questi presupposti, la figura del trasfertista non poteva essere applicata.

Le motivazioni sulla prova e l’onere probatorio

La Corte ha inoltre respinto le censure dell’Agenzia relative alla prova delle trasferte. I giudici di merito avevano ritenuto sufficiente la documentazione prodotta dal contribuente (note spese, buste paga, lettera d’incarico), sottolineando che l’Amministrazione finanziaria non aveva contestato in modo specifico l’attendibilità di tali documenti, limitandosi a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio. L’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria, e quindi l’assenza dei presupposti per l’esenzione, gravava sull’Ufficio, onere che non è stato assolto.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per negare il regime di esenzione parziale previsto per l’indennità di trasferta, non è sufficiente affermare genericamente che il lavoratore opera fuori sede. L’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare in modo puntuale la sussistenza di tutti i requisiti legali che qualificano il lavoratore come ‘trasfertista’. In assenza di tale prova, si presume corretto il trattamento fiscale più favorevole previsto per il lavoratore che occasionalmente svolge la propria attività fuori dalla sede di lavoro contrattuale. Questa decisione offre un importante chiarimento per datori di lavoro e dipendenti, rafforzando la necessità di una corretta documentazione delle trasferte per poter beneficiare legittimamente delle esenzioni fiscali.

Qual è la differenza fiscale tra un ‘lavoratore in trasferta’ e un ‘lavoratore trasfertista’?
Per il ‘lavoratore in trasferta’, l’indennità è esente da imposte fino a un limite giornaliero (€ 46,48 per trasferte in Italia). Per il ‘lavoratore trasfertista’, l’indennità concorre a formare il reddito nella misura del 50% del suo ammontare, indipendentemente dall’importo.

Quali prove sono sufficienti per dimostrare l’effettuazione di una trasferta lavorativa?
Secondo la Corte, documenti come note spese, buste paga che riportano le indennità e lettere d’incarico specifiche per le trasferte costituiscono prova sufficiente, se non specificamente contestati nella loro veridicità dall’Amministrazione finanziaria.

In questo caso, perché l’indennità di trasferta del lavoratore è stata considerata non imponibile nei limiti di legge?
Perché non sono stati provati i tre requisiti congiunti per qualificarlo come ‘lavoratore trasfertista’ (assenza di sede fissa, mobilità continua e indennità fissa). Di conseguenza, è stato applicato il regime più favorevole del ‘lavoratore in trasferta’, che prevede l’esenzione delle somme entro i limiti giornalieri stabiliti dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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