Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4222 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4222 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
REGISTRO ALTRE INDENNITA ‘ ESPROPRIO – COLTIVATORE DIRETTO
–
sul ricorso iscritto al n. 6658/2022 del ruolo generale, proposto
DA
il RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede in San Donato Milanese (MI), al INDIRIZZO, in persona del presidente, legale rappresentante pro tempore , ing. NOME COGNOME e da COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nato a Sondrio il DATA_NASCITA e residente in Brescia, alla INDIRIZZO, entrambi rappresentanti e difesi, in forza di procura speciale e nomine poste in calce al ricorso, dall’avv. AVV_NOTAIO NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), con studio in Roma (RM), alla INDIRIZZO.
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege ,
dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 3148/1/2021 della Commissione tributaria regionale della COGNOMEa, depositata il 1° settembre 2021, non notificata;
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023;
RILEVATO CHE:
oggetto dell’attuale contendere è l’impugnazione dell’avviso di liquidazione n. 17025040456 con cui l’Ufficio tassava (dopo l’annullamento parziale dell’atto nella parte in cui aveva, in origine, liquidato la prima di dette indennità nella misura del 9%) con aliquota del 3% l’indennità aggiuntiva al proprietario -coltivatore diretto ai sensi dell’art. 40, comma 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo Unico Espropri – T.U.E.), nonchè le indennità per anticipazioni colturali e la distruzione dei frutti pendenti, per il deprezzamento della proprietà residua ex art. 33 T.U.E., per la demolizione dei manufatti e/o soprassuoli, nonché per l’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 50, comma 1, T.U.E., oltre che per l’imposto di bollo non versata, il tutto per la registrazione di un contratto di cessione volontaria di beni immobili redatto dal AVV_NOTAIO nell’ambito della procedura espropriativa della Tav, sottoscritta dal RAGIONE_SOCIALE, quale General Contractor della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rispetto al quale i ricorrenti rivendicano l’applicazione dell’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50% ai sensi dell’art. 6, Parte Prima, della Tariffa (da ora anche TP1) allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e l’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo;
la Commissione tributaria regionale della COGNOMEa, con l’impugnata sentenza, accoglieva solo parzialmente (limitatamente alla quantificazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite) l’appello proposto dai suindicati ricorrenti, confermando per il resto e nel merito la sentenza di primo grado, osservando che:
tutte le suindicate voci indennitarie aggiuntive (rispetto a quella di esproprio in senso stretto) riconosciute a favore del proprietario-coltivatore diretto costituivano prestazioni di natura ed a contenuto patrimoniale, che compensavano il soggetto espropriato del pregiudizio subito e del sacrificio di diritti conseguenti all’ablazione del diritto di proprietà, non potendo tali indennità, autonome rispetto alla cessione del bene ed al suo corrispettivo, essere assimilate ad « una quietanza di pagamento, che è dichiarazione di scienza con funzione di prova documentale precostituita con cui il creditore attesta di avere ricevuto un pagamento e che, proprio per questo, non è soggetta a tassazione se contenuta nell’atto principale da cui origina quel credito, in quanto quest’ultimo è già in sé tassato (art. 21 c. 3 D.P.R. 131/1986) » (così nella sentenza impugnata priva di numerazione);
-medesime considerazioni valevano per l’indennità da occupazione legittima, che costituiva una obbligazione di tipo indennitario collegata ad un’ipotesi tipica di responsabilità della pubblica amministrazione per atti legittimi, non assimilabile ad un canone di locazione, tenuto conto della sua riferibilità all’esercizio di poteri autoritativi, con previsione normativa di indennizzo per tutta la durata dell’indisponibilità del bene, rivelandosi in siffatti termini come « prestazione economica che ha natura indennitaria/risarcitoria, come tale tassata ai fini dell’imposta di Registro nella misura del 3% in quanto rientrante nella categoria generale degli atti aventi oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale» (così nella sentenza impugnata);
-non era fondata l’eccezione di violazione dei limiti imposti dall’art. 3 -ter d.lgs. 18 settembre 1997, n. 463 al controllo dell’ufficio sulla autoliquidazione effettuata dal AVV_NOTAIO, in quanto l’RAGIONE_SOCIALE non aveva valutato la concreta causa dell’atto in termini diversi dal AVV_NOTAIO, avendo solo provveduto ad una diversa determinazione dell’imposizione fiscale in base al contenuto dell’atto sottoposto a tassazione, per come rogato;
-l’imposta di bollo era dovuta perché l’esenzione è prevista dall’art. 22 della Tabella allegata al d.P.R.26 ottobre 1972, n. 642, che stabilisce espressamente il predetto beneficio solo per gli «atti e documenti relativi alla procedura di espropriazione per causa di pubblica utilità promossa dalle amministrazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e da enti pubblici, compresi quelli occorrenti per la valutazione per il pagamento dell’indennità di espropriazione», così operando testuale e letterale riferimento alle sole alle procedure di espropriazione per causa di pubblica utilità promosse dalle amministrazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e da enti pubblici, tra cui non rientra il RAGIONE_SOCIALE, che è soggetto diverso da RAGIONE_SOCIALE, che nemmeno riveste la qualità di ente pubblico, essendo una società per azioni;
corretta era stata la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite, disposta in primo grado, ma eccessiva si era rivelata la sua misura, (2.794,50 €) a fronte del valore della controversia (1.720,16 €), della natura prettamente interpretativa RAGIONE_SOCIALE questioni dirimenti a fini decisori, della presenza comunque di un precedente favorevole alla parte privata, così, accogliendo sul punto l’appello e riliquidando « le spese dovute con riferimento al primo grado di giudizio al minimo previsto, ossia € 1.012,50, oltre al 15% a titolo di rimborso spese forfettario e meno il 20% di cui all’art. 15 comma 2 sexies D. Lgs. 546/1992» (così nella sentenza impugnata);
avverso tale sentenza il RAGIONE_SOCIALE (da ora solo RAGIONE_SOCIALE) – ed il AVV_NOTAIO notificavano ricorso per cassazione in data 1° marzo 2022, formulando sei motivi di impugnazione, successivamente depositando memoria ex art. 380bis . 1. cod. proc. civ.;
l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso notificato l’11 aprile 2022 ;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di impugnazione i suindicati ricorrenti hanno dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod.
proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nonché degli artt. 1, 6 e 9 della Tariffa allegata alla Parte I del medesimo d.P.R. e dell’art. 40, commi 1 e 4, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, osservando che la decisione impugnata « si pone in contrasto con lo specifico precedente in materia – relativo proprio all’indennità aggiuntiva riconosciuta dal proprietario coltivatore diretto in un atto di cessione volontaria e dunque identico al caso di specie – costituito dalla sentenza Cassazione civile. Sez. I. 11 febbraio 2000, n. 1513 » (cfr. pagina n. 7 del ricorso), a mente della quale « in caso di cessione volontaria dell’area da espropriare da parte del proprietario diretto coltivatore (art. 17 comma 1 legge 865-1971), la base imponibile dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 44 comma 2 d.P.R. 1311986 e RAGIONE_SOCIALE connesse imposte di trascrizione e catastale) va individuata in una posta pari all’indennità provvisoria aumentata del cinquanta per cento (arg. art. 12 comma 1 legge 865-1871), restandone esclusa la posta restante – di pari importo complessivo che si pone non in funzione corrispettiva del trasferimento, ma in quella di ristoro per la perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di futuro sfruttamento del fondo – in atto, coltivato – per essere il diretto coltivatore costretto ad abbandonarlo» (così nella citata pronuncia di questa Corte), con la conseguenza che la base imponibile dell’imposta di registro relativa all’indennità aggiuntiva spettante all’espropriato -coltivatore diretto deve essere assoggettata a tassazione con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%, stabilita per la registrazione degli atti di quietanza ai sensi dell’art. 6 della tariffa allegata al citato d.P.R.;
1.1. i ricorrenti hanno aggiunto che la norma applicabile nella fattispecie in rassegna è l’art. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, secondo cui, in caso di cessione volontaria, la base imponibile dell’imposta di registro è costituita dal prezzo della cessione, che corrisponde alla sola indennità di esproprio, mentre quella aggiuntiva, tuttora agganciata al VAM ai sensi dell’art. 40, comma 4, T.U.E., « non ha nulla a che vedere con il prezzo della cessione essendo preordinata a ristorare la perdita di lavoro agricolo determinata dall’esproprio», essendo, invece, volta a valorizzare
« gli aspetti soggettivi della qualità del proprietario ed avendo funzione di aggiunta premiale in considerazione del valore costituzionale del lavoro agricolo svolto sul fondo espropriato» (v. pagine nn. 9 e 11 del ricorso), per cui non ha natura di corrispettivo, non commisurandosi al valore di mercato, né integra una prestazione a contenuto patrimoniale, ma costituisce un indennizzo ex lege escluso dalla base imponibile, che assume una sua autonoma funzione volta a compensare la perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di coltivare il fondo, rilevando quindi, ai fini dell’imposta in esame, solo la dichiarazione di percezione in atto della somma, come tale tassabile con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%, come una quietanza ai sensi dell’art. 6 della Parte I della Tariffa allegata al citato d.P.R.;
1.2. gli istanti hanno altresì posto in rilievo che il predetto Testo Unico Espropri, di carattere compilativo, non avrebbe introdotto alcuna innovazione in ordine all’indennità aggiuntiva in esame, come emerge dalla lettura combinata dell’art. 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 685 e degli artt. 40, comma 4, e 45, comma 2 lett. d ) T.U.E., per cui, anche sotto tale profilo, il principio di diritto affermato da questa Corte con la menzionata pronuncia risulterebbe ancora valido;
con la seconda doglianza il RAGIONE_SOCIALE ed il AVV_NOTAIO hanno lamentato, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 6 e 9 della Tariffa, allegata Parte Prima, del medesimo d.P.R., 33, comma 1, e 40, commi 1 e 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ponendo in rilievo che anche le voci indennitarie concernenti le anticipazioni colturali, i frutti pendenti, il deprezzamento ed il soprassuolo non integrano e non concorrono a determinare il prezzo della cessione e, quindi, non possono stabilire, a mente dell’art. 44, comma 2, T.U.R., la base imponibile dell’imposta in esame, segnalando che « è completamente erroneo e fuorviante focalizzare l’attenzione sul mero dato del pagamento di una somma di denaro perché, così facendo, saremmo sempre in presenza di
prestazioni a contenuto patrimoniale rilevanti ai fini dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 9 della Parte I della Tariffa allegata al d.p.r. 131/1986 e quindi tutte le altre previsioni della stessa Tariffa sarebbero di fatto prive di applicazione concreta » (v. pagina n. 17 del ricorso);
con la terza ragione di impugnazione i ricorrenti hanno dedotto, con riguardo al canone di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 5 e 9 della Tariffa allegata alla Parte I del medesimo testo unico, nonché dell’art. 22 -bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, assumendo, con riferimento all’indennità di occupazione di urgenza, che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, anche detta indennità non ha natura risarcitoria, esprimendo, piuttosto, « una funzione propria specifica, diversa dalle altre voci, essendo preordinata a compensare per tutta la durata dell’occupazione sino al momento dell’esproprio il mancato godimento dell’immobile» (v. pagina n. 19 del ricorso);
con il quarto motivo di ricorso la contribuente ed il AVV_NOTAIO hanno lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed in particolare il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice dell’appello ha negato la violazione dell’ art. 3ter d.lgs. 18 settembre 1997, n. 463, benchè nessuna domanda fosse stata sul punto avanzata dai ricorrenti;
con la quinta censura i ricorrenti hanno dedotto, con riguardo al parametro di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, comma 2, dell’Allegato B al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 e dell’art. 1, comma 1bis , n. 4, della Tariffa di cui all’Allegato A del medesimo d.P.R., assumendo, con riferimento all’imposta di bollo, che « diversamente da quanto avviene per l’imposta di registro, è nota la portata ampia dell’art. 22 cit. come riconosciuto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella risoluzione n. 254/E del 2002 (doc. C del fascicolo di appello), ove si precisa chiaramente che «i contratti di cessione volontaria stipulati nell’ambito del procedimento di espropriazione per pubblica utilità sono sempre esenti dall’imposta di bollo » (v. pagina n. 21 del ricorso) , come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di merito, tanto più che RFI è stata espressamente reinserita nell’«’ Elenco RAGIONE_SOCIALE amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni (Legge di contabilità e di finanza pubblica) ‘», pubblicato sulla G.U. n. 242 del 30 settembre 2020, considerando irrilevante la circostanza (pacifica) che il RAGIONE_SOCIALE sia un soggetto privato e diverso rispetto a RAGIONE_SOCIALE o che quest’ultima sia una società per azioni, giacchè l’atto di cessione volontaria è stato firmato dal RAGIONE_SOCIALE, in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE, soggetto quest’ultimo a favore del quale avviene la cessione;
6. con la sesta ed ultima doglianza gli istanti si son doluti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ, della violazione e falsa applicazione degli artt. 15 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 92 cod. proc. civ., sostenendo, da un lato, che le medesime ragioni poste dal Giudice regionale a base della riduzione RAGIONE_SOCIALE spese di primo grado giustificavano anche la compensazione RAGIONE_SOCIALE spese di lite, tenuto conto le censure sollevate dai comparenti si fondavano sul precedente specifico in materia della Corte di cassazione, non superato da pronunce di legittimità successive e che l’Ufficio aveva seguito un orientamento contraddittorio, adottando liquidazioni del tutto diverse anche a breve distanza l’una dall’altra, giungendo, nel caso di specie, ad annullare parzialmente in via di autotutela, l’avviso originariamente impugnato, ma residuando la contraddittorietà con precedenti atti, il che non consentiva l’addebito integrale RAGIONE_SOCIALE spese di lite ai comparenti in primo grado, aggiungendo che l’Ufficio si era costituito tramite propri funzionari, il che escludeva la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese legali, confermando, infine, la difesa dei ricorrenti, tali argomenti anche per le condanna alle spese del secondo grado di giudizio;
l’esame dei primi tre motivi di ricorso può essere compiuto in modo unitario, essendo le relative ragioni trasversalmente connesse, ruotando il nucleo concettuale della complessiva contestazione della sentenza impugnata sul rilievo secondo il quale tutte le indennità diverse da quelle di esproprio, corrisposte al proprietario che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati (indennità aggiuntiva, di soprassuolo, di distruzione dei frutti pendenti, di deprezzamento del reliquato, di occupazione temporanea), non concorrono ad integrare il prezzo di cessione ai sensi dell’art. 44, comma 2, T.U.R., non hanno cioè funzione di corrispettivo della cessione, né assumono contenuto patrimoniale in senso stretto. Secondo la tesi dei ricorrenti, essi assolverebbero, invece, ad una funzione compensativa del pregiudizio subito dal cedente in ragione dei suoi requisiti soggettivi, come precisato da questa Corte con la citata pronuncia, in termini ritenuti ancora attuali, non essendo mutato il contesto normativo di riferimento, per cui la corretta tassazione di tali indennità non può che colpire (con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%) la mera dichiarazione di percezione RAGIONE_SOCIALE somme contenuta nell’atto di cessione, vale a dire come una quietanza a mente dell’art. 6 della menzionata tariffa;
tale ordine di idee non può essere condiviso, risultando invece corrette le valutazioni fornite dal Giudice regionale, subito ribadendo che l’oggetto del contendere come sopra esposto -risulta circoscritto all’aliquota da applicare sulle somme corrisposte dal RAGIONE_SOCIALE a titolo di indennità diverse da quella espropriativa, dividendosi le parti tra la tesi dell’Ufficio, che ritiene applicabile l’aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9 TP1 (prevista per gli atti aventi contenuto patrimoniale) e quella dei ricorrenti, che rivendicano, invece, l’operatività dell’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50% a mente dell’art. 6 della medesima tariffa (relativa alle quietanze);
giova premettere che non v’è alcun dubbio che nel caso in cui l’espropriazione per pubblica utilità colpisca come nella specie – il proprietario, che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati, l’indennità di esproprio e quella aggiuntiva, dovute a mente degli
artt. 37 e 40, comma 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, assicurino il ristoro di beni della vita diversi e tra di loro non sovrapponibili, mirando la prima a compensare il sacrificio sopportato dal proprietario del bene a causa della definitiva perdita del diritto di proprietà sul cespite bene (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975), mentre la seconda, indipendentemente dal diritto di proprietà e dagli altri diritti reali sul fondo espropriato (solo per i quali appare appropriato il riferimento al principio dell’unicità dell’indennità di esproprio), « trova distinto fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato e nella situazione privilegiata che l’art. 35 Cost. e s.s. assicurano alla posizione del lavoratore, garantendo fra l’altro che la sua retribuzione sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (Corte cost., 2 luglio 1972, n. 155)» (così Cass., Sez. I, 3 giugno 2016, n. 11464), autonomamente caratterizzandosi, per « una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui egli ha esercitato l’attività agricola» (così Cass. (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975), così remunerando la cd. indennità aggiuntiva – come detto con efficace sintesi – la «perdita del lavoro» (così, Cass., Sez. I, 24 aprile 2014, n. 9262, che richiama Cass., Sez. I., 8 settembre 2011, n. 18450 e Cass., Sez. I, 10 settembre 2004, n. 18237; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. I. 2 febbraio 2007, n. 2238);
10. le altre forme di indennità oggetto di esame (per le anticipazioni colturali, per il deprezzamento della residua parte non espropriata, per la distruzione dei frutti pendenti e la perdita da anticipazioni colturali o del cd. soprassuolo e per l’ occupazione temporanea) ristorano, invece, diversi, specifici, pregiudizi causati dalla procedura espropriativa [rispettivamente costituti: a) dalla perdita di valore dell’area reliquata nell’ipotesi di espropriazione parziale; b) dalla perdita del ricavo ritraibile dai frutti pendenti e RAGIONE_SOCIALE risorse impiegate per la coltivazione dei futuri frutti; c) dalla distruzione degli eventuali manufatti esistenti sul terreno; d) dalla perdita della disponibilità del bene nel periodo di occupazione
temporanea], che nel medesimo procedimento ablativo traggono quindi titolo giuridico;
quale che sia la specificità dei singoli pregiudizi sopra indicati, essi risultano tuttavia accumunati dalla loro natura economica, siccome incidenti sulla capacità reddituale dei beni e soprattutto sul patrimonio del soggetto espropriato, che risulta privato dei relativi cespiti, il che comporta un’oggettiva, quanto evidente, perdita del suo complessivo valore, che, per l’appunto, le varie indennità ivi previste sono dirette a compensare, controbilanciando le perdite con l’attribuzione di un equivalente monetario;
tutte le indennità corrisposte per ristorare i menzionati pregiudizi rispondono, quindi, ad una «logica patrimoniale » (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975);
l’art. 44, comma 2, seconda parte, d.P.R. 16 aprile 1986, n. 131, dispone che «In caso di trasferimento volontario all’espropriante nell’ambito della procedura espropriativa la base imponibile è costituita dal prezzo » e la pronuncia citata dalla difesa dei ricorrenti a sostegno RAGIONE_SOCIALE proprie tesi ha riconosciuto che « la legge di registro non disciplina espressamente il caso dell’espropriando cedente, il quale sia anche coltivatore diretto del fondo» (così, Cass., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1513);
in effetti, non vi è una specifica disposizione che preveda l’aliquota applicabile nel caso di cessione volontaria del bene da parte dell’espropriando che sia anche coltivatore diretto del fondo, ma, nondimeno, l’art. 9 TP1 stabilisce l’aliquota del 3% per «gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale » ;
come chiarito da questa Corte, si tratta di una disposizione che « rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, purchè però onerose, e in
questo specifico senso aventi un contenuto patrimoniale » (così Cass., Sez. T., 18 dicembre 2015, n. 25478, richiamata da Cass. Sez. T, 17 gennaio 2018, n. 975);
16. le Sezioni unite di questa Corte hanno altresì ricordato che « – come di recente ribadito anche dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 158/20 e 39/21 – l’imposta di registro si presenta tutt’oggi come una tipica imposta d’atto, in quanto applicata all’atto presentato alla registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1), intendendosi per tale un ben determinato negozio giuridico o un altro atto regolatore di un assetto di interessi che denoti forza economica e capacità patrimoniale», per cui «E’ imprescindibile che l’applicazione dell’imposta implichi la previa esatta individuazione dell’atto da registrare e che questa individuazione, quando relativa all’attività negoziale RAGIONE_SOCIALE parti contribuenti, muova a sua volta dalle categorie discretive proprie del diritto civile (a cominciare dall’elemento causale)», come confermato anche dall’«impianto prettamente tariffario dell’imposta di registro il quale – nella tassazione proporzionale in termine fisso degli atti negoziali determina l’aliquota dovuta in relazione all’oggetto ed agli effetti dell’atto stesso, con ciò di nuovo sollecitando la qualificazione giuridica dell’atto negoziale, tipico o atipico, secondo gli istituti e gli schemi propri del diritto civile », ribadendo che l’aliquota del 3% è « residualmente applicabile agli atti diversi aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (art. 9) » (così Cass., Sez. Un., 9 giugno 2021, n. 16080);
in tal senso, dunque, ai fini che occupano, l’individuazione dell’aliquota applicabile alle suindicate indennità, non precisamente previste dal Testo Unico, va operata, ai sensi dell’art. 9 TP1, in ragione del contenuto patrimoniale della stessa, in linea coerente con la ratio di tale imposta di tassare tutte le espressioni di capacità contributiva contenute negli atti presentati alla registrazione;
il contenuto patrimoniale della prestazione va ricercato, come chiarito dalla citata pronuncia nel suo carattere oneroso o, se
si vuole, nella sua suscettibilità ad essere economicamente valutabile, comportando una modifica patrimoniale nella sfera giuridica del soggetto interessato, caratteristiche queste che certamente qualificano la cessione volontaria di immobile nell’ambito della procedura espropriativa e segnatamente le citate indennità, volte, per l’appunto, a remunerare le perdite patrimoniali subite dall’espropriato – coltivatore diretto;
si rivela, in tali termini, non condivisibile l’ordine di idee che ritiene applicabile la minore aliquota prevista dall’art. 6 TP1 per l’atto di quietanza, giacchè l’eventuale dichiarazione di ricezione RAGIONE_SOCIALE somme dovute a titolo di indennità assume natura ancillare rispetto all’atto di cessione che stabilisce la prestazione avente contenuto patrimoniale diretto alla corresponsione dell’indennità e ne resta, quindi, assorbita, tenuto conto che, a mente dell’art. 21, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, detta dichiarazione risulta esente dall’imposta di registro;
medesimo ordine di idee è stato espresso da questa Corte in altri, pressochè identici, contenziosi intercorso tra le stesse parti, in cui si è riconosciuta la natura patrimoniale RAGIONE_SOCIALE suddette indennità, ulteriormente precisando, che:
-« la determinazione dell’indennità si fonda, quindi, su criteri che hanno come riferimento, da un lato, la natura e la destinazione del terreno e, dall’altro, la presenza di soggetti, diversi dal proprietario, sul fondo stesso, sicché l’indennità stessa, pur essendo legata a parametri predeterminati, è scissa, nell’ipotesi in cui siano presenti più soggetti, in due distinte parti: una diretta a risarcire il danno per la perdita del terreno e l’altra, aggiuntiva ed integrativa, finalizzata a compensare il sacrificio dovuto alla privazione definitiva del godimento del fondo ed alla conseguente impossibilità di continuare ad esercitare l’attività di coltivazione»;
-« non si può dubitare che si tratta comunque di prestazioni patrimoniali che vanno a compensare il soggetto a seguito di un pregiudizio patito, ovvero del sacrificio di un diritto, il cui importo è
stato pattuito tra le parti, soggette alla aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9, Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede l’imposta proporzionale di registro per gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», restando «irrilevante la natura indennitaria o risarcitoria RAGIONE_SOCIALE suddette prestazioni economiche aggiuntive in caso di esproprio, atteso che la norma dell’art. 9 della Tariffa Parte I allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 tassa allo stesso modo sia le indennità che il risarcimento del danno, la cui natura si distingue solo per effetto della valutazione del comportamento a monte dell’agente (atto legittimo o illegittimo) che produce un danno economico, prevedendo l’art. 9 cit. la tassazione con aliquota del 3% alle disposizioni «aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», per cui, «in base alla dizione letterale della legge le indennità aggiuntive, quale che sia la natura, hanno un contenuto patrimoniale/ristoro di danni causati/derivanti dall’espropriazione di terreni e, così, rimangono soggette all’aliquota del 3%, ex art. 9 della tariffa, poiché non esistendo altra disposizione a carattere di specialità è unicamente applicabile la normativa a carattere residua»;
-«anche l’indennità da occupazione d’urgenza costituisce comunque un’obbligazione di tipo indennitario collegata ad una ipotesi tipica di responsabilità della P.A. per atti legittimi e, in relazione ad essa valgono le medesime considerazioni (ndr. sopra) svolte circa l’assoggettabilità dell’indennità ad aliquota «residuale» del 3% prevista dal TUR alla voce «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale» (articolo 9 della Tariffa, Parte Prima, del Dpr n. 131/1986), escluso che tale indennità possa essere assimilabile ad un canone di locazione», in quanto «l’indennità in oggetto, infatti, non ha natura compensativa per la mancata fruizione di un bene, così come avviene per la locazione, essendo piuttosto riconosciuta per la perdita del godimento RAGIONE_SOCIALE aree occupate dalla P.A. a seguito di un provvedimento autoritativo legalmente dato» (così, Cass., Sez. T., 26 ottobre 2023, n. 29735 ed in termini Cass., Sez. T., 25
ottobre 2023, n. 29664; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29879; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29664; 29572; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29659 e Cass., Sez. T., 13 dicembre 2023, n. 34867);
il quarto motivo di ricorso risulta inammissibile;
21.1. come sopra esposto, con esso i ricorrenti lamentano il vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorso il Giudice regionale per aver ritenuto infondata l’eccezione di violazione dei limiti temporali di cui all’art. 3 -ter d.lgs. 18 settembre 1997, n. 463, benchè la questione non avesse costituito oggetto di rilievo e quindi motivo di gravame;
21.2. la censura, già nella sua prospettazione, disvela l’assenza di ogni apprezzabile, giuridico, interesse all’impugnazione, tenuto conto che il rigetto di un’eccezione non proposta, a prescindere dall’erroneità e l’inutilità della pronuncia, non è idonea ad arrecare alcun danno al bene della vita degli istanti, i quali, in effetti, nulla hanno sul punto allegato, per cui il motivo va, come anticipato dichiarato inammissibile, a mente dell’art. 100 civ. proc. civ., per difetto di interesse all’impugnazione;
va, invece respinto il quinto motivo di impugnazione con cui i ricorrenti hanno rimproverato al Giudice regionale di non aver riconosciuto l’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo;
22.1. va, infatti, ribadito l’indirizzo già espresso sul punto da questa Corte, secondo cui:
-« nelle disposizioni normative che, in tema di imposta di bollo (Tabella Allegato B, punto 22, del D.P.R. 6 ottobre 1972, n. 642), prevedono l’esenzione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE od usano, sempre a fini di esenzione, l’espressione “a favore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” o “nell’interesse RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, la parola “RAGIONE_SOCIALE” deve intendersi riferita allo “RAGIONE_SOCIALEpersona”, e non a qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che svolga attività amministrativa oggettiva, anche se trattasi di società di
capitali in mano pubblica operante in un comparto interessato dalla privatizzazione»;
-« una estensione interpretativa del beneficio a soggetti solo indirettamente riconducibili all’amministrazione statale è preclusa dalla natura eccezionale RAGIONE_SOCIALE norme di esenzione fiscale; l’opzione legislativa di limitare il beneficio fiscale in esame ha carattere eminentemente discrezionale, giustificandosi in funzione del contemperamento tra la promozione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni pubbliche e la salvaguardia del flusso tributario, conseguendone la manifesta infondatezza della relativa eccezione di incostituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. (Vedi Cass. n. 938 del 16/1/2009 e Cass. n. 27289 del 17/11/2017 in relazione a RAGIONE_SOCIALE, partecipata da RAGIONE_SOCIALE, a sua volta partecipata dallo RAGIONE_SOCIALE; Cass. n. 28681 del 9/1/2018 in riferimento ad un’Azienda Ospedaliero-universitaria Cass. n. 17034 del 13/8/2020 in riferimento a RAGIONE_SOCIALE (“RAGIONE_SOCIALE“) del Gruppo “RAGIONE_SOCIALE“, società con socio unico partecipata interamente dal MEF)»;
-«Ne’ porta ad una conclusione diversa la suggestiva considerazione che nelle fattispecie espropriative in esame lo RAGIONE_SOCIALE rappresenterebbe in ogni caso l’acquirente , ancorché l’ente espropriante sia un soggetto non riconducibile alla figura RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE persona”, giacchè «lo RAGIONE_SOCIALE acquirente è solo quello destinatario di un trasferimento coattivo, senza alcuna possibilità di un ampliamento a fattispecie espropriative ulteriori rispetto a quelle in cui sia lo RAGIONE_SOCIALE – persona a procedere»;
-« nella stessa giurisprudenza di legittimità si afferma che ove il procedimento di espropriazione si svolge e viene portato a compimento ad iniziativa di un soggetto diverso da quello che è titolare del relativo potere di chiedere l’esproprio (nella specie lo RAGIONE_SOCIALE), il soggetto agente resta il soggetto attivo della procedura»; e le Sezioni unite di questa con la pronuncia n. 24397 del 23 novembre 2007 hanno chiarito che “il concessionario acquistando,
sia pure temporaneamente e precariamente poteri e facoltà trasferitigli dall’amministrazione concedente, si sostituisce a quest’ultima nello svolgimento dell’attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l’opera pubblica; e pur non essendone, né potendone essere destinatario, e, pur restando sottoposto ai poteri di supremazia, di ingerenza e di controllo dell’amministrazione concedente, agisce in nome proprio ed in tale qualità compie materialmente l’attività ablativa (sia pure per conto di quella); con il risultato che in questo caso non è più possibile scindere le funzioni conferitegli, ed il concessionario sulla base della concessione cd. traslativa, assume anche la qualità di soggetto attivo del rapporto espropriativo con conseguente legittimazione passiva esclusiva rispetto a tutte le obbligazioni indennitarie e risarcitorie che ad esso si ricollegano (Cass. n. 8197/2005; n. 12958/2004; n. 5123/2003; n. 2102/2002)» (così Cass., Sez. T. 17 novembre 2021, n. 34854);
23. va, infine, complessivamente respinta la sesta ragione di impugnazione, concernente il rigetto del motivo d’appello avverso la statuizione di condanna alle spese di giudizio disposta in primo grado, duolendosi i ricorrenti, da un lato, della mancata compensazione RAGIONE_SOCIALE stesse, come disposto per la fase di gravame e, sotto altro versante, della stessa liquidazione per esser stato l’Ufficio difeso da propri funzionari;
23.1. in relazione alla prima parte del motivo va dato, infatti, seguito al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali, secondo cui il sindacato della Corte « è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite ( v. Cass. 19/6/2013 n. 15317; Cass., 5/4/2003 n. 5386; Cass., 3/7/2000 n. 8889; Cass., 25/9/1979 n. 4944)» (così Cass., Sez. VIIII, 11 ottobre 2017, n. 24502 e, nello stesso senso, Cass. Sez. V. 31 maggio 2017, n. 8421);
23.2. infondato risulta poi la seconda parte del motivo di impugnazione con cui, richiamando una pronuncia di questa Corte (Cass., Sez. VI/V, 1° dicembre 2020, n. 27444), i ricorrenti hanno rappresentato che le spese di giudizio non fossero proprio dovute in quanto l’Ufficio era stato difeso da propri funzionari. Detto arresto, difatti, costituisce un precedente isolato, superato dalla successiva, condivisibile, giurisprudenza, la quale ha avuto di modo di chiarire che « la normativa tributaria si fonda, tuttavia, su una diversa e più specifica disciplina, in quanto l’art. 15 d.lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi » (cfr. Cass., Sez. V. ,19 luglio 2021, n. 20530, ai cui più ampi contenuti si rinvia) ;
24. alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte, il ricorso va, quindi, rigettato;
le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;
va, inoltre, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite, che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, nella misura di 1.200,00 € per compensi, oltre accessori, nonché alle spese prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte
dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.