Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4180 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4180 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
REGISTRO ALTRE INDENNITA ‘ ESPROPRIO COLTIVATORE DIRETTO – sul ricorso iscritto al n. 24691/2021 del ruolo generale, proposto
DA
il RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede in San Donato Milanese (MI), al INDIRIZZO, in persona del presidente, legale rappresentante pro tempore , ing. NOME COGNOME e da COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nato a Sondrio il DATA_NASCITA e residente in Brescia, alla INDIRIZZO, entrambi rappresentanti e difesi, in forza di procura speciale e nomine poste in calce al ricorso, dall’avv. AVV_NOTAIO NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), con studio in Roma (RM), alla INDIRIZZO.
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege ,
dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 731/23/2021 della Commissione tributaria regionale della COGNOMEa (Sezione distaccata di Brescia), depositata il 22 febbraio 2021, non notificata;
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023;
RILEVATO CHE:
oggetto del contendere è l’impugnazione del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alla richiesta di rimborso dell’imposta di registro, calcolata per quanto interessa in relazione ai motivi di impugnazione -con aliquota del 3% sull’indennità aggiuntiva al proprietariocoltivatore diretto ai sensi dell’art. 40, comma 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, (Testo Unico Espropri T.U.E.), nonché sulle indennità per le anticipazioni colturali e la distruzione dei frutti pendenti, per il deprezzamento della proprietà residua ex art. 33 T.U.E., per la demolizione dei manufatti e/o soprassuoli, oltre che per l’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 50, comma 1, T.U.E., versate ‘cautelativamente’ dal AVV_NOTAIO per la registrazione di cinquantadue atti di cessione volontaria redatti nell’ambito della procedura espropriativa della Tav, sottoscritta dal RAGIONE_SOCIALE, quale General Contractor della società RAGIONE_SOCIALE, rispetto alle quali i ricorrenti rivendicano l’applicazione dell’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50% ai sensi dell’art. 6 Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (da ora anche TP1);
la Commissione tributaria provinciale di Brescia, con sentenza n. 19/3/2018, dichiarava inammissibile la richiesta dei ricorrenti con riguardo ai primi ventisette immobili, rilevando che per essi si era già espressa la sentenza n. 10/3/2017 che aveva riconosciuto corretta l’applicazione dell’aliquota del 3% (anziché del 9%) sulle indennità aggiuntive (diverse da quella di esproprio), mentre per i
restanti atti, il Giudice di primo grado rigettava il ricorso degli istanti, reputando coerente la predetta aliquota del 3% sulle citate indennità (diverse da quella di esproprio, in luogo di quella rivendicata pari allo 0,50%, ai sensi dell’art. 9 TP1, riconoscendo in esse un contenuto patrimoniale e/o di ristoro dei danni derivati dall’espropriazione dei terreni;
la Commissione tributaria regionale, con l’impugnata sentenza, respingeva l’appello proposto dai suindicati ricorrenti, confermando l’inammissibilità del ricorso contro il silenzio -rifiuto sull’istanza di rimborso per i primi ventisette atti di cessione volontaria, nonché l’applicabilità dell’imposta di registro con aliquota del 3% sulle indennità diverse da quella di esproprio, rilevando ed osservando che:
il Giudice di primo grado aveva «dichiarato inammissibile la domanda dei ricorrenti con petitum parzialmente uguale (annullamento degli atti impositivi e rimborso di quanto indebitamente versato) e causa petendi (aliquota applicabile agli stessi atti di cessione volontaria) sugli stessi atti di cessione volontaria» (v. pagina n. 14 della sentenza impugnata), ferma restando che l’Ufficio aveva rinunciato alla iniziale pretesa relativa all’applicazione dell’aliquota del 9% sull’indennità dovuta al proprietario-coltivatore diretto, per cui la questione controversia concerneva solo l’applicazione del 3% o RAGIONE_SOCIALE 0,5% sulle indennità diverse da quella (base) di esproprio;
b. «L’art. 9 cit. (ndr. della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131) prevede la tassazione con aliquota del 3% alle disposizioni ‘aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale’» e «in base alla dizione letterale della legge le indennità aggiuntive, quale che sia la natura, hanno un contenuto patrimoniale/ristoro di danni causati/derivanti dall’espropriazione di terreni e, così, soggette all’aliquota del 3% ex art. 9 della tariffa e non esistendo altra disposizione a carattere di specialità è applicabile
la normativa a carattere residua» (v. pagine n. 17 e 18 della sentenza impugnata);
«Non risulta quindi applicabile nel caso di specie la tassazione RAGIONE_SOCIALE 0,5% prevista dall’art. 6 Tariffa parte prima, D.P.R. n. 131/1986 per la quietanza di pagamento » (v. pagine nn. 18 e 19 della sentenza impugnata);
«Infatti tutte le indennità di cui alle lettere b), c), d), e), f), g), condividono la stessa natura e sono assoggettate all’aliquota del 3% in quanto prestazioni a contenuto patrimoniale di cui all’art. 9 della Tariffa» (v. pagina n. 19 della sentenza);
non era applicabile nella fattispecie in rassegna l’esenzione dall’imposta di bollo;
corretta era stata la decisione del primo Giudice di condannare i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio di prima istanza, tenuto conto che il provvedimento di autotutela parziale era stato conseguenza dell’adeguamento al decisum della Commissione tributaria adita, che si era già espressa in altro contenzioso;
avverso tale sentenza il RAGIONE_SOCIALE (da ora solo RAGIONE_SOCIALE) – ed il AVV_NOTAIO notificavano ricorso per cassazione in data 22 settembre 2021, formulando sei motivi di impugnazione, successivamente depositando memoria ex art. 380bis . 1. cod. proc. civ.;
l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso notificato il 1° novembre 2021 ;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di impugnazione i suindicati ricorrenti hanno dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione «dell’art. 2909 cod. civ., dell’art. 324 cod. proc. civ., del principio del ne bis in idem e dell’art. 21, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 nonché omesso
esame, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Travisamento della prova» (v. pagina n. 9 del ricorso), contestando la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui ha ritenuto l’inammissibilità del ricorso avverso il silenzio -rifiuto sull’istanza di rimborso per i primi ventisette atti di cessione volontaria per essere stata la stessa domanda già stata proposta e decisa in altro giudizio con la sentenza n. 10/3/2017 della Commissione tributaria provinciale di Brescia;
1.1. di contro, gli istanti hanno sul punto osservato che:
la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia n. 10/3/2017 era stata impugnata innanzi alla Commissione tributaria regionale della COGNOMEa, che con pronuncia n. 3434/25/2019 l’aveva annullata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., essendosi il primo Giudice pronunciato su domande non proposte;
-l’oggetto dei due giudizi era diverso, per petitum e causa petendi, in quanto quello in esame concerneva l’impugnazione avverso il silenziorifiuto serbato dall’Ufficio sull’istanza di rimborso presentata dai ricorrenti, mentre il precedente giudizio aveva avuto ad oggetto la legittimità di taluni avvisi di liquidazione notificati dall’Ufficio, relativamente all’applicazione dell’aliquota del 9% sull’indennità aggiuntiva spettante all’espropriato -proprietariocoltivatore diretto, il che escludeva la possibilità di esaminare la correttezza dell’aliquota del 3% versata in sede di autoliquidazione dal AVV_NOTAIO e ciò a prescindere dalla richiesta di restituzione nel primo giudizio degli importi indebitamente versati;
non si discuteva RAGIONE_SOCIALE altre indennità per anticipazioni colturali, per i frutti pendenti, per il deprezzamento del reliquato, di soprassuolo e di occupazione;
la sentenza n. 10/3/2017 avrebbe dovuto limitarsi ad accertare l’illegittimità della pretesa applicazione dell’aliquota del 9%
sull’indennità aggiuntiva al proprietario coltivatore diretto, ma non poteva scendere nel merito dell’applicazione tra il 3% e lo 0,50%, essendo tale aliquota inferiore a quella autoliquidata dal AVV_NOTAIO;
«La decisione assunta dalla CTR di Brescia qui impugnata si traduce, quindi, in un diniego di giustizia e in sostanza comporta l’impossibilità di chiedere il rimborso RAGIONE_SOCIALE maggiori somme pagate dal contribuente rispetto a quelle versate in sede di autoliquidazione o di registrazione in tutti i casi in cui l’Ufficio ritenga di dover chiedere un’imposta maggiore » (v. pagina n. 14 del ricorso);
con la seconda censura la società ed il AVV_NOTAIO hanno lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 nonché degli artt. 1, 6 e 9 della Tariffa allegata alla Parte Prima del medesimo d.P.R. e dell’art. 40, commi 1 e 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, osservando che la decisione impugnata « si pone in contrasto con lo specifico precedente in materia – relativo proprio all’indennità aggiuntiva riconosciuta dal proprietario coltivatore diretto in un atto di cessione volontaria e dunque identico al caso di specie -costituito dalla sentenza Cassazione civile, Sez. I., 11 febbraio 2000, n. 1513 » (cfr. pagina n. 15 del ricorso), a mente della quale «in caso di cessione volontaria dell’area da espropriare da parte del proprietario diretto coltivatore (art. 17 comma 1 legge 865-1971), la base imponibile dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 44 comma 2 d.P.R. 131-1986 e RAGIONE_SOCIALE connesse imposte di trascrizione e catastale) va individuata in una posta pari all’indennità provvisoria aumentata del cinquanta per cento (arg. art. 12 comma 1 legge 865-1871), restandone esclusa la posta restante – di pari importo complessivo – che si pone non in funzione corrispettiva del trasferimento, ma in quella di ristoro per la perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di futuro sfruttamento del fondo – in atto, coltivato -per essere il diretto coltivatore costretto ad abbandonarlo» (così nella citata pronuncia di questa Corte), con la conseguenza che la base imponibile dell’imposta di registro relativa all’indennità aggiuntiva spettante all’espropriato -coltivatore diretto
deve essere assoggettata a tassazione con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%, stabilita per la registrazione degli atti di quietanza ai sensi dell’art. 6 della tariffa allegata al citato d.P.R.;
2.1. i ricorrenti hanno aggiunto che la norma applicabile nella fattispecie in rassegna è l’art. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, secondo cui, in caso di cessione volontaria, la base imponibile dell’imposta di registro è costituita dal prezzo della cessione, che corrisponde alla sola indennità di esproprio, mentre quella aggiuntiva, tuttora agganciata al VAM ai sensi dell’art. 40, comma 4, T.U.E., « non ha nulla a che vedere con il prezzo della cessione essendo preordinata a ristorare la perdita di lavoro agricolo determinata dall’esproprio», essendo, invece, volta a valorizzare «gli aspetti soggettivi della qualità del proprietario ed avendo funzione di aggiunta premiale in considerazione del valore costituzionale del lavoro agricolo svolto sul fondo espropriato» (v. pagina n. 18 del ricorso), per cui non ha natura di corrispettivo, non si relaziona al prezzo di mercato del bene, né integra una prestazione a contenuto patrimoniale, ma costituisce un indennizzo ex lege escluso dalla base imponibile, che assume una sua autonoma funzione volta a compensare la perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di coltivare il fondo, rilevando quindi, ai fini dell’imposta in esame, solo la dichiarazione di percezione in atto della somma, come tale tassabile con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%, come una quietanza ai sensi dell’art. 6 della Parte I della Tariffa allegata al citato d.P.R.;
2.2. gli istanti hanno altresì posto in rilievo che il predetto Testo Unico Espropri, di carattere compilativo, non avrebbe introdotto alcuna innovazione in ordine all’indennità aggiuntiva in esame, come emerge dalla lettura combinata dell’art. 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e degli artt. 40, comma 4, e 45, comma 2 lett. d ) T.U.E., per cui, anche sotto tale profilo, il principio di diritto affermato da questa Corte con la menzionata pronuncia risulterebbe ancora valido;
con la terza doglianza il RAGIONE_SOCIALE ed il AVV_NOTAIO hanno lamentato, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 6 e 9 della Tariffa, allegata Parte Prima, del medesimo d.P.R., 33, comma 1, e 40, commi 1 e 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ponendo in rilievo che anche le voci indennitarie concernenti le anticipazioni colturali, i frutti pendenti, il deprezzamento ed il soprassuolo non integrano e non concorrono a determinare il prezzo della cessione e quindi, non possono integrare, a mente dell’art. 44, comma 2, T.U.R., la base imponibile dell’imposta in esame, segnalando che « è completamente erroneo e fuorviante focalizzare l’attenzione sul mero dato del pagamento di una somma di denaro perché, così facendo, saremmo sempre in presenza di prestazioni a contenuto patrimoniale rilevanti ai fini dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 9 della Parte I della Tariffa allegata al d.p.r. 131/1986 e quindi tutte le altre previsioni della stessa Tariffa sarebbero di fatto prive di applicazione concreta » (v. pagina n. 25 del ricorso);
con la quarta ragione di impugnazione i ricorrenti hanno dedotto, con riguardo al canone di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 5 e 9 della Tariffa allegata alla Parte I del medesimo testo unico, nonché dell’art. 22 -bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, assumendo, con riferimento all’indennità di occupazione di urgenza, che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, anche detta indennità non ha natura risarcitoria, esprimendo, piuttosto, « una funzione propria specifica, diversa dalle altre voci, essendo preordinata a compensare per tutta la durata dell’occupazione sino al momento dell’esproprio il mancato godimento dell’immobile» (v. pagina n. 27 del ricorso);
con il quinto motivo di ricorso la contribuente ed il AVV_NOTAIO hanno lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4,
cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed in particolare il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice dell’appello ha negato l’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo, benchè nessuna domanda fosse stata sul punto avanzata dai ricorrenti;
con la sesta doglianza gli istanti si son doluti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ, della violazione e falsa applicazione degli artt. 15 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 92 cod. proc. civ., sostenendo, da un lato, che le medesime ragioni poste dal Giudice regionale a base della compensazione RAGIONE_SOCIALE spese di secondo grado giustificavano anche l’accoglimento del motivo di appello concernente la condanna alle spese di lite pronunciata dal primo Giudice, aggiungendo che l’Ufficio si era costituito tramite propri funzionari, il che escludeva la condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese legali;
7. il primo motivo di impugnazione non può essere accolto;
7.1. come sopra esposto, con tale censura i contribuenti hanno dedotto l’erroneità della pronuncia impugnata, laddove ha confermato la decisione di primo grado (che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’originaria domanda dei contribuenti in relazione ai primi ventisette atti di cessione sul rilievo che su tali atti si era già espressa la sentenza n. 10/3/2017 della Commissione tributaria provinciale di Brescia, stabilendo l’applicazione dell’imposta nella misura del 3% su tutte le indennità di esproprio aggiuntive rispetto a quella di esproprio in senso stretto), senza considerare che la menzionata pronuncia era stata annullata dalla sentenza n. 3434/25/2019 della Commissione tributaria regionale della COGNOMEa;
7.2. in effetti, la conferma della pronuncia impugnata con l’atto di appello non poteva integralmente basarsi sugli esiti della predetta sentenza, sol considerando che -come è pacifico tra le parti (per averne dato testuale atto anche che la difesa erariale) -che detta pronuncia era stata parzialmente annullata dal citato arresto della
Commissione tributaria regionale della COGNOMEa, passato in giudicato;
7.3. nondimeno, non ricorre la dedotta violazione del giudicato, oggetto del motivo di impugnazione in esame, né quella dell’omesso esame di un fatto decisivo;
7.4. dai contenuti della pronuncia n. 3434/25/2019 (depositata dai ricorrenti e riportata nei suoi pertinenti contenuti dalla difesa dell’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ) emerge che essa:
accoglieva il primo motivo di impugnazione avanzato dai contribuenti (avente ad oggetto «la violazione dell’art. 112 c.p.c. per essersi i Primi Giudici pronunciati sull’imposta di registro relativa alle ulteriori voci riconosciute negli atti di cessione volontaria, diverse rispetto all’indennità aggiuntiva erogata al proprietario coltivatore diretto, così estendendo a tutte le indennità – tranne quella di esproprio base – l’aliquota del 3%» (così nella citata sentenza), con ciò, quindi, dichiarando, la «nullità della sentenza di primo grado nella parte in cui “fissa l’aliquota di tutte le indennità aggiuntive diverse da quella base di esproprio al 3%” dovendosi, per contro, limitare l’applicazione di tale aliquota del 3% esclusivamente all’indennità aggiuntiva versata al proprietario coltivatore diretto, ambito questo, peraltro, che, nelle more del giudizio, ha incontrato la convergenza dell’Ufficio in forza dell’autotutela operata nei termini sopra ricordati. Per automatica conseguenza va altresì dichiarata la nullità della sentenza di primo grado nella parte in cui ” Conferma nel resto gli avvisi di liquidazione ” atteso l’ultroneo riferimento a parti del loro contenuto non oggetto di domanda né di sollecitata indagine» (così nella menzionata pronuncia);
dichiarava inammissibile il terzo motivo di impugnazione proposto dai contribuenti (con cui veniva censurata la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che «l’indennità aggiuntiva a favore del proprietario coltivatore diretto di un terreno agricolo … sia soggetta all’imposta del 3% … quale prestazione a contenuto patrimoniale invece che RAGIONE_SOCIALE 0,50%»), osservando che «oggetto del contendere
concerne esclusivamente la correttezza o meno dell’aliquota del 9% (poi disattesa dall’Ufficio medesimo in sede di autotutela), e non può essere surrettiziamente esteso oltre il confine dell’aliquota del 3% applicata dai contribuenti in sede di autoliquidazione così da introdursi un’inammissibile indagine circa la fondatezza o meno RAGIONE_SOCIALE ragioni introdotte a sostegno della minor aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%», aggiungendo che «Parte contribuente dichiara che pende separato giudizio in grado d’appello avente ad oggetto l’istanza di rimborso RAGIONE_SOCIALE imposte versate in autoliquidazione con aliquota del 3% in luogo RAGIONE_SOCIALE 0,50% su tutti gli avvisi di liquidazione di oggetto della presente causa’. Evidente quindi che quella è la sede deputata per accertare quale sia l’aliquota corretta, sicchè l’odierna introduzione del tema costituisce un’inammissibile duplicazione con violazione del principio del ne bis in idem » (così nella sentenza n. 3434/25/2019);
disponeva, quindi, che «in accoglimento del primo motivo di gravame incidentale proposto dai contribuenti dichiara la nullità dell’impugnata sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui “fissa l’aliquota di tutte le indennità aggiuntive diverse da quella base di esproprio, al 3%” da confermarsi limitatamente all’indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto; – rigetta gli ulteriori motivi d’appello dei contribuenti e per l’effetto conferma, per quanto di residua ragione, l’impugnata sentenza» (così nella sentenza n. 3434/25/2019);
7.5. alla luce di quanto precede non può, quindi, essere condiviso il rilievo dei ricorrenti sviluppato nella memoria di cui all’art. 380 -bis . 1, cod. proc. civ. secondo cui la citata sentenza «non si è affatto pronunciata sull’aliquota applicabile all’indennità aggiuntiva al proprietario coltivatore diretto riconosciuta nei primi 27 atti cessione volontaria», risultando tale assunto frutto di una lettura riduttiva e parziale della menzionata pronunciata; la Commissione ha, infatti, confermato la debenza, nella misura del 3%, dell’imposta da applicare sull’indennità aggiuntiva dovuta al proprietario -coltivatore diretto del bene espropriato, dovendo, piuttosto, riconoscersi che essa ha dichiarato inammissibile il diverso, terzo,
motivo di impugnazione avanzato dai contribuenti, in quanto gli avvisi di liquidazione erano stati opposti per l’erronea applicazione dell’aliquota del 9% in luogo di quella del 3%, autoliquidata dal AVV_NOTAIO, assumendo che «l’oggetto del contendere riguarda esclusivamente la correttezza o meno della aliquota del 9% e non può essere surrettiziamente esteso oltre il confine dell’aliquota del 3% applicato dai contribuenti in sede di autoliquidazione così da tradursi in una inammissibile indagine circa la fondatezza o meno RAGIONE_SOCIALE ragioni introdotte a sostegno della minor aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%» (così nella menzionata sentenza);
7.6. per tale via, va ancora osservato che il Giudice d’appello, nella pronuncia oggetto di impugnazione, ha considerato che « ormai la questione controversa attiene solamente l’applicazione del 3% o RAGIONE_SOCIALE 0,5% alle indennità diverse da quella di base, come nel presente giudizio per gli stessi atti di cessione volontaria» (v. pagina n. 14 della sentenza impugnata), riconoscendo che «tutte indennità di cui alle lettere b), c), d), e) f) g) (ndr. rispettivamente quelle di: «b) indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto ai sensi dell’art. 40 comma 4 DPR n. 327/2001, c) indennità per le anticipazioni culturali e la distruzione dei frutti pendenti; d) danno riconosciuto da parte residua della proprietà a seguito dell’espropriazione ai sensi dell’art. 33 DPR 327/2001 ; e) distruzione di manufatti e/o soprassuoli esistenti sull’area espropriata e regolarmente realizzati; f) indennità per l’occupazione ai sensi dell’art. 50 DPR 327/2001 ; g) indennità per reliquato ») condividono la stessa natura e sono assoggettate all’aliquota del 3% in quanto prestazioni a contenuto patrimoniale di cui all’articolo 9 della Tariffa» (v. pagina n. 19 della sentenza impugnata);
7.7. da quanto precede risulta, quindi, che non sussiste la dedotta violazione del giudicato e l’omesso esame di fatti decisivi, in quanto:
-come rilevato dalla difesa dell’RAGIONE_SOCIALE, se di giudicato esterno può discorrersi (stante la diversità del giudizio in oggetto, avente ad oggetto il rimborso di quanto versato in asserita eccedenza -aliquota del 3% – sui cinquantadue atti di cessione rispetto al ritenuto -pari allo 0,5% – rispetto al giudizio definito con la pronuncia n. 3434/25/2019, concernente gli avvisi di liquidazione sui primi ventisette atti di cessione con cui l’Ufficio aveva determinato l’imposta dovuta sull’indennità aggiuntiva al proprietario-coltivatore diretto nella misura del 9%) -esso riguarderebbe, per i primi ventisette atti, la statuizione del Giudice regionale (giusta sentenza n. 3434/25/2019) in ordine alla tassazione al 3% dell’indennità aggiuntiva versata al proprietario -coltivatore diretto, in termini quindi dissonanti dalla pretesa dei contribuenti ed in linea con quella dell’Ufficio;
-in ogni caso, il Giudice d’appello ha direttamente dato atto come sopra esposto -che la questione controversa concerneva soltanto l’applicazione della diversa aliquota (3% o 0,5%) alle indennità diverse da quella di esproprio in senso stretto «per gli stessi atti di cessione volontaria» (v. pagina n. 14 della sentenza impugnata), con ciò, quindi, alludendo anche ai primi ventisette atti ed ha considerato nella propria valutazione tutte le menzionate indennità diverse da quelle di esproprio in senso stretto, tra cui anche quella aggiuntiva a favore del proprietario- coltivatore diretto, giungendo, con il riconoscimento dell’aliquota del 3%, alla medesima soluzione fornita (solo per i primi ventisette atti) dalla pronuncia n. 3434/25/2019;
7.8. a tutto voler concedere, la motivazione della sentenza impugnata va corretta, eliminando ogni riferimento alla sentenza n. 10/3/2017 e considerando per tutte le cinquantadue cessioni volontarie comunque dovuta l’imposta del 3%, ai sensi dell’art. 9TP1, sulle indennità in oggetto (diverse da quella di esproprio in senso stretto), sulla sola base RAGIONE_SOCIALE riflessioni che seguono, concernenti il secondo, terzo e quarto motivo di impugnazione;
l’esame del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso può essere compiuto in modo unitario, essendo le relative ragioni trasversalmente connesse, ruotando il nucleo concettuale della complessiva contestazione della sentenza impugnata sul rilievo secondo il quale tutte le indennità diverse da quelle di esproprio, corrisposte al proprietario che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati (indennità aggiuntiva, di soprassuolo, di distruzione dei frutti pendenti, di deprezzamento del reliquato, di occupazione temporanea), non concorrono ad integrare il prezzo di cessione ai sensi dell’art. 44, comma 2, T.U.R., non hanno cioè funzione di corrispettivo della cessione, né assumono contenuto patrimoniale in senso stretto. Secondo la tesi dei ricorrenti, essi assolverebbero, invece, ad una funzione compensativa del pregiudizio subito dal cedente in ragione dei suoi requisiti soggettivi, come precisato da questa Corte con la citata pronuncia (Cass., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1513), in termini ritenuti ancora attuali, non essendo mutato il contesto normativo di riferimento, per cui la corretta tassazione di tali indennità non può che colpire (con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%) la mera dichiarazione di percezione RAGIONE_SOCIALE somme contenuta nell’atto di cessione, vale a dire come una quietanza a mente dell’art. 6 della menzionata tariffa;
tale ordine di idee non può essere condiviso, risultando invece corrette le valutazioni fornite dal Giudice regionale, subito ribadendo che l’oggetto del contendere come sopra esposto -risulta circoscritto all’aliquota da applicare sulle somme corrisposte dal RAGIONE_SOCIALE a titolo di indennità diverse da quella espropriativa, dividendosi le parti tra la tesi dell’Ufficio, che ritiene applicabile l’aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9 TP1 (prevista per gli atti aventi contenuto patrimoniale) e quella dei ricorrenti, che rivendicano, invece, l’operatività dell’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50% a mente dell’art. 6 della medesima tariffa (relativa alle quietanze);
giova premettere che non v’è alcun dubbio che nel caso in cui l’espropriazione per pubblica utilità colpisca come nella specie il proprietario, che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati,
l’indennità di esproprio e quella aggiuntiva, dovute a mente degli artt. 37 e 40, comma 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, assicurino il ristoro di beni della vita diversi e tra di loro non sovrapponibili, mirando la prima a compensare il sacrificio sopportato dal proprietario del bene a causa della definitiva perdita del diritto di proprietà sul cespite bene (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975), mentre la seconda, indipendentemente dal diritto di proprietà e dagli altri diritti reali sul fondo espropriato (solo per i quali appare appropriato il riferimento al principio dell’unicità dell’indennità di esproprio), « trova distinto fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato e nella situazione privilegiata che l’art. 35 Cost. e s.s. assicurano alla posizione del lavoratore, garantendo fra l’altro che la sua retribuzione sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (Corte cost., 2 luglio 1972, n. 155)» (così Cass., Sez. I, 3 giugno 2016, n. 11464), autonomamente caratterizzandosi, per « una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui egli ha esercitato l’attività agricola» (così Cass. (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975), così remunerando la cd. indennità aggiuntiva – come detto con efficace sintesi – la «perdita del lavoro» (così, Cass., Sez. I, 24 aprile 2014, n. 9262, che richiama Cass., Sez. I., 8 settembre 2011, n. 18450 e Cass., Sez. I, 10 settembre 2004, n. 18237; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. I. 2 febbraio 2007, n. 2238);
11. le altre forme di indennità oggetto di esame (per le anticipazioni colturali, per il deprezzamento della residua parte non espropriata, per la distruzione dei frutti pendenti e la perdita da anticipazioni colturali o del cd. soprassuolo e per l’ occupazione temporanea) ristorano, invece, diversi, specifici, pregiudizi causati dalla procedura espropriativa [rispettivamente costituti: a) dalla perdita di valore dell’area reliquata nell’ipotesi di espropriazione parziale; b) dalla perdita del ricavo ritraibile dai frutti pendenti e RAGIONE_SOCIALE risorse impiegate per la coltivazione dei futuri frutti; c) dalla distruzione degli eventuali manufatti esistenti sul terreno; d) dalla
perdita della disponibilità del bene nel periodo di occupazione temporanea], che nel medesimo procedimento ablativo traggono quindi titolo giuridico;
quale che sia la specificità dei singoli pregiudizi sopra indicati, essi risultano tuttavia accumunati dalla loro natura economica, siccome incidenti sulla capacità reddituale dei beni e soprattutto sul patrimonio del soggetto espropriato, che risulta privato dei relativi cespiti, il che comporta un’oggettiva, quanto evidente, perdita del suo complessivo valore, che, per l’appunto, le varie indennità ivi previste sono dirette a compensare, controbilanciando le perdite con l’attribuzione di un equivalente monetario;
tutte le indennità corrisposte per ristorare i menzionati pregiudizi rispondono, quindi, ad una «logica patrimoniale » (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975);
l’art. 44, comma 2, seconda parte, d.P.R. 16 aprile 1986, n. 131, dispone che «In caso di trasferimento volontario all’espropriante nell’ambito della procedura espropriativa la base imponibile è costituita dal prezzo» e la pronuncia citata dalla difesa dei ricorrenti a sostegno RAGIONE_SOCIALE proprie tesi ha riconosciuto che « la legge di registro non disciplina espressamente il caso dell’espropriando cedente, il quale sia anche coltivatore diretto del fondo» (così, Cass., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1513);
in effetti, non vi è una specifica disposizione che preveda l’aliquota applicabile nel caso di cessione volontaria del bene da parte dell’espropriando che sia anche coltivatore diretto del fondo, ma, nondimeno, l’art. 9 TP1 stabilisce l’aliquota del 3% per «gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale » ;
come chiarito da questa Corte, si tratta di una disposizione che « rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da
quelle indicate nelle restanti disposizioni, purchè però onerose, e in questo specifico senso aventi un contenuto patrimoniale » (così Cass., Sez. T., 18 dicembre 2015, n. 25478, richiamata da Cass. Sez. T, 17 gennaio 2018, n. 975);
17. le Sezioni unite di questa Corte hanno altresì ricordato che « – come di recente ribadito anche dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 158/20 e 39/21 – l’imposta di registro si presenta tutt’oggi come una tipica imposta d’atto, in quanto applicata all’atto presentato alla registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1), intendendosi per tale un ben determinato negozio giuridico o un altro atto regolatore di un assetto di interessi che denoti forza economica e capacità patrimoniale», per cui «E’ imprescindibile che l’applicazione dell’imposta implichi la previa esatta individuazione dell’atto da registrare e che questa individuazione, quando relativa all’attività negoziale RAGIONE_SOCIALE parti contribuenti, muova a sua volta dalle categorie discretive proprie del diritto civile (a cominciare dall’elemento causale)», come confermato anche dall’«impianto prettamente tariffario dell’imposta di registro il quale – nella tassazione proporzionale in termine fisso degli atti negoziali determina l’aliquota dovuta in relazione all’oggetto ed agli effetti dell’atto stesso, con ciò di nuovo sollecitando la qualificazione giuridica dell’atto negoziale, tipico o atipico, secondo gli istituti e gli schemi propri del diritto civile », ribadendo che l’aliquota del 3% è «residualmente applicabile agli atti diversi aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (art. 9) » (così Cass., Sez. Un., 9 giugno 2021, n. 16080);
18. in tal senso, dunque, ai fini che occupano, l’individuazione dell’aliquota applicabile alle suindicate indennità, non precisamente previste dal Testo Unico, va operata, ai sensi dell’art. 9 TP1, in ragione del contenuto patrimoniale della stessa, in linea coerente con la ratio di tale imposta di tassare tutte le espressioni di capacità contributiva contenute negli atti presentati alla registrazione;
il contenuto patrimoniale della prestazione va ricercato, come chiarito dalla citata pronuncia nel suo carattere oneroso o, se si vuole, nella sua suscettibilità ad essere economicamente valutabile, comportando una modifica patrimoniale nella sfera giuridica del soggetto interessato, caratteristiche queste che certamente qualificano la cessione volontaria di immobile nell’ambito della procedura espropriativa e segnatamente le citate indennità volte, per l’appunto, a remunerare le perdite patrimoniali subite dall’espropriato – coltivatore diretto;
si rivela in tali termini non condivisibile l’ordine di idee che ritiene applicabile la minore aliquota prevista dall’art. 6 TP1 per l’atto di quietanza, giacchè l’eventuale dichiarazione di ricezione RAGIONE_SOCIALE somme dovute a titolo di indennità assume natura ancillare rispetto all’atto di cessione che stabilisce la prestazione avente contenuto patrimoniale diretto alla corresponsione dell’indennità e ne resta, quindi, assorbita, tenuto conto che, a mente dell’art. 21, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, detta dichiarazione risulta esente dall’imposta di registro se resa -come nella specie – nello stesso atto altrimenti tassato;
medesimo ordine di idee è stato espresso da questa Corte in altri, pressochè identici, contenziosi intercorso tra le stesse parti, in cui si è riconosciuta la natura patrimoniale RAGIONE_SOCIALE suddette indennità, ulteriormente precisando, che:
-« la determinazione dell’indennità si fonda, quindi, su criteri che hanno come riferimento, da un lato, la natura e la destinazione del terreno e, dall’altro, la presenza di soggetti, diversi dal proprietario, sul fondo stesso, sicché l’indennità stessa, pur essendo legata a parametri predeterminati, è scissa, nell’ipotesi in cui siano presenti più soggetti, in due distinte parti: una diretta a risarcire il danno per la perdita del terreno e l’altra, aggiuntiva ed integrativa, finalizzata a compensare il sacrificio dovuto alla privazione definitiva del godimento del fondo ed alla conseguente impossibilità di continuare ad esercitare l’attività di coltivazione»;
-« non si può dubitare che si tratta comunque di prestazioni patrimoniali che vanno a compensare il soggetto a seguito di un pregiudizio patito, ovvero del sacrificio di un diritto, il cui importo è stato pattuito tra le parti, soggette alla aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9, Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede l’imposta proporzionale di registro per gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», restando «irrilevante la natura indennitaria o risarcitoria RAGIONE_SOCIALE suddette prestazioni economiche aggiuntive in caso di esproprio, atteso che la norma dell’art. 9 della Tariffa Parte I allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 tassa allo stesso modo sia le indennità che il risarcimento del danno, la cui natura si distingue solo per effetto della valutazione del comportamento a monte dell’agente (atto legittimo o illegittimo) che produce un danno economico, prevedendo l’art. 9 cit. la tassazione con aliquota del 3% alle disposizioni «aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», per cui, «in base alla dizione letterale della legge le indennità aggiuntive, quale che sia la natura, hanno un contenuto patrimoniale/ristoro di danni causati/derivanti dall’espropriazione di terreni e, così, rimangono soggette all’aliquota del 3%, ex art. 9 della tariffa, poiché non esistendo altra disposizione a carattere di specialità è unicamente applicabile la normativa a carattere residua»;
-«anche l’indennità da occupazione d’urgenza costituisce comunque un’obbligazione di tipo indennitario collegata ad una ipotesi tipica di responsabilità della P.A. per atti legittimi e, in relazione ad essa valgono le medesime considerazioni (ndr. sopra) svolte circa l’assoggettabilità dell’indennità ad aliquota «residuale» del 3% prevista dal TUR alla voce «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale» (articolo 9 della Tariffa, Parte Prima, del Dpr n. 131/1986), escluso che tale indennità possa essere assimilabile ad un canone di locazione», in quanto «l’indennità in oggetto, infatti, non ha natura compensativa per la mancata fruizione di un bene, così come avviene per la locazione, essendo piuttosto riconosciuta
per la perdita del godimento RAGIONE_SOCIALE aree occupate dalla P.A. a seguito di un provvedimento autoritativo legalmente dato» (così, Cass., Sez. T., 26 ottobre 2023, n. 29735 ed in termini Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29664; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29879; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29664; 29572; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29659 e Cass., Sez. T., 13 dicembre 2023, n. 34867);
il quinto motivo di ricorso risulta inammissibile;
22.1. come sopra esposto, con esso i ricorrenti lamentano il vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorso il Giudice regionale per aver rigettato il quinto motivo di appello concernente la richiesta di esonero dal pagamento dell’imposta di bollo, che, invece, non aveva costituito oggetto di domanda e quindi motivo di gravame;
22.2. la censura, già nella sua prospettazione, disvela l’assenza di ogni apprezzabile, giuridico, interesse all’impugnazione, tenuto conto che il rigetto di una domanda non proposta, a prescindere dall’erroneità e l’inutilità della pronuncia, non è idonea ad arrecare alcun danno al bene della vita degli istanti, i quali, in effetti, nulla hanno sul punto allegato, per cui il motivo va, come anticipato dichiarato inammissibile, a mente dell’art. 100 civ. proc. civ., per difetto di interesse all’impugnazione;
va, infine, complessivamente respinto il sesto motivo di impugnazione, concernente il rigetto del motivo d’appello avverso la statuizione di condanna alle spese di giudizio disposta in primo grado, duolendosi, da un lato, della mancata compensazione RAGIONE_SOCIALE stesse, come disposto per la fase di gravame e, sotto altro versante, della stessa liquidazione per esser stato l’Ufficio difeso da propri funzionari;
23.1. in relazione alla prima parte del motivo va dato, infatti, seguito al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali, secondo cui il sindacato della Corte « è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il
quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite ( v. Cass. 19/6/2013 n. 15317; Cass., 5/4/2003 n. 5386; Cass., 3/7/2000 n. 8889; Cass., 25/9/1979 n. 4944) » (così Cass., Sez. VIIII, 11 ottobre 2017, n. 24502 e, nello stesso senso, Cass. Sez. V. 31 maggio 2017, n. 8421);
23.2. infondato risulta poi la seconda parte del motivo di impugnazione con cui, richiamando una pronuncia di questa Corte (Cass., Sez. VI/V, 1° dicembre 2020, n. 27444), i ricorrenti hanno rappresentato che le spese di giudizio non fossero proprio dovute in quanto l’Ufficio era stato difeso da propri funzionari. Detto arresto, difatti, costituisce un precedente isolato, superato dalla successiva, condivisibile, giurisprudenza, la quale ha avuto di modo di chiarire che « la normativa tributaria si fonda, tuttavia, su una diversa e più specifica disciplina, in quanto l’art. 15 d.lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi» (cfr. Cass., Sez. V. ,19 luglio 2021, n. 20530, ai cui più ampi contenuti si rinvia) ;
alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte, il ricorso va, quindi, complessivamente rigettato;
le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;
va, inoltre, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite, che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, nella misura di 4.500,00 € per compensi, oltre accessori, nonché alle spese prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.