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Indennità di esproprio e tassa: la Cassazione decide

Un consorzio di costruzioni e un notaio hanno contestato un avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro sulle indennità corrisposte per un’espropriazione a un proprietario-coltivatore diretto, sostenendo l’applicazione di un’aliquota dello 0,50%. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4217/2024, ha respinto il ricorso, stabilendo che tutte le **indennità di esproprio**, comprese quelle aggiuntive per la perdita dell’attività agricola, per l’occupazione d’urgenza o per il deprezzamento dei fondi residui, hanno natura patrimoniale. Di conseguenza, devono essere assoggettate all’imposta di registro con l’aliquota del 3%, in quanto rientrano nella categoria residuale degli atti aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Indennità di esproprio: la Cassazione conferma la tassa al 3%

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito un importante chiarimento sul trattamento fiscale delle somme corrisposte in un procedimento di espropriazione. La questione centrale riguarda quale aliquota dell’imposta di registro applicare alle varie indennità di esproprio, specialmente quelle corrisposte a un proprietario che è anche coltivatore diretto del fondo. La decisione conferma un orientamento rigoroso: tutte le indennità, avendo un contenuto patrimoniale, sono soggette all’aliquota del 3% e non a quella minima dello 0,50% prevista per le semplici quietanze.

I fatti del caso

Un importante consorzio, impegnato nella realizzazione di un’opera di pubblica utilità, aveva stipulato un contratto di cessione volontaria con un proprietario terriero, che era anche coltivatore diretto dei fondi espropriati. Oltre all’indennità principale per la perdita della proprietà, erano state corrisposte diverse altre somme, tra cui: un’indennità aggiuntiva per la sua qualità di coltivatore diretto, un’indennità per l’occupazione temporanea e d’urgenza, e altre somme a ristoro di danni specifici come la perdita dei frutti pendenti e il deprezzamento della proprietà residua.

Il notaio rogante aveva autoliquidato l’imposta di registro applicando l’aliquota dello 0,50% su queste indennità “accessorie”, considerandole alla stregua di semplici quietanze di pagamento. L’Agenzia Fiscale, tuttavia, ha emesso un avviso di liquidazione applicando l’aliquota del 3% sull’indennità aggiuntiva e le altre, ritenendo che si trattasse di prestazioni a contenuto patrimoniale. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’ente impositore, spingendo il consorzio e il notaio a ricorrere in Cassazione.

Le motivazioni della Corte sull’indennità di esproprio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, articolando in modo chiaro e approfondito il suo ragionamento. Il nucleo della decisione si basa sulla corretta qualificazione giuridica delle somme corrisposte.

La natura patrimoniale di tutte le indennità

Secondo i giudici, tutte le indennità versate, anche quelle diverse da quella strettamente legata alla cessione del bene, hanno un’innegabile natura patrimoniale. Esse sono volte a compensare una perdita economica e a riequilibrare il patrimonio del soggetto espropriato. L’indennità aggiuntiva per il coltivatore diretto, ad esempio, non è un premio, ma un ristoro per la “perdita del lavoro”, cioè la definitiva impossibilità di continuare a coltivare quel fondo. Allo stesso modo, le indennità per l’occupazione d’urgenza o per i danni ai frutti pendenti ristorano specifici pregiudizi economici.

Ciascuna di queste somme, quindi, comporta una modifica nella sfera giuridica e patrimoniale del soggetto che la riceve, in quanto trasforma una perdita (di un bene, di un’opportunità di reddito, di un lavoro) in un equivalente monetario. Questo le qualifica come “prestazioni a contenuto patrimoniale”.

L’applicazione della norma residuale

L’imposta di registro, spiega la Corte, è un’imposta d’atto. Poiché non esiste una norma specifica che disciplini la tassazione di queste particolari indennità, si deve ricorrere alla clausola di chiusura prevista dall’articolo 9 della Tariffa, Parte I, allegata al Testo Unico sull’Imposta di Registro. Tale articolo prevede un’aliquota del 3% per “gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

La Corte ha specificato che questa è una norma residuale, concepita per attrarre a tassazione tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti e onerose che non trovano una collocazione specifica altrove. Essendo stato accertato il contenuto patrimoniale delle indennità, la loro tassazione al 3% è una diretta conseguenza.

La quietanza è solo un atto accessorio

Infine, la Corte ha smontato la tesi dei ricorrenti secondo cui si sarebbe dovuta applicare l’aliquota dello 0,50%. Tale aliquota è prevista per le quietanze, che sono semplici dichiarazioni di avvenuto pagamento. Nel caso di specie, la dichiarazione di ricezione delle somme è un elemento meramente accessorio e ancillare rispetto all’atto principale, che è il contratto di cessione con la previsione delle diverse prestazioni patrimoniali. L’atto da tassare è l’accordo nel suo complesso, che stabilisce il diritto a percepire le somme, non la mera attestazione di averle ricevute. Anzi, la legge stessa prevede che la quietanza contenuta nello stesso atto già tassato sia esente da ulteriore imposta.

Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione consolida un principio fondamentale per la tassazione delle indennità di esproprio: il criterio distintivo è la natura patrimoniale della prestazione. Ogni somma che compensa una perdita economica subita dal proprietario, sia essa legata alla proprietà, al lavoro o ad altri danni connessi, costituisce una prestazione a contenuto patrimoniale. Di conseguenza, in assenza di norme specifiche, tali somme devono essere assoggettate all’imposta di registro proporzionale del 3%. Questa decisione fornisce certezza giuridica e chiude la porta a interpretazioni volte a ridurre il carico fiscale attraverso la qualificazione di tali pagamenti come semplici quietanze, ribadendo la coerenza del sistema fiscale basato sulla capacità contributiva espressa dagli atti giuridici.

Quale aliquota dell’imposta di registro si applica alle indennità accessorie corrisposte in un’espropriazione, come quella aggiuntiva per il coltivatore diretto?
Si applica l’aliquota proporzionale del 3%, in quanto tali indennità sono considerate prestazioni a contenuto patrimoniale e rientrano nella categoria residuale prevista dall’art. 9 della Tariffa, Parte I, del Testo Unico sull’Imposta di Registro.

Perché la Corte non considera queste indennità come semplici quietanze tassabili allo 0,50%?
Perché la quietanza, ovvero la dichiarazione di aver ricevuto il pagamento, è un atto meramente accessorio e ancillare rispetto all’accordo principale che stabilisce il diritto a percepire le somme. L’imposta colpisce l’atto con contenuto patrimoniale (l’accordo di cessione e indennizzo), non la successiva attestazione del pagamento.

Tutte le indennità corrisposte nell’ambito di un’espropriazione hanno la stessa natura ai fini dell’imposta di registro?
Sì, secondo la Corte, tutte le indennità (per perdita di proprietà, per perdita di lavoro del coltivatore diretto, per occupazione temporanea, per danni ai frutti, ecc.) sono accomunate dalla loro natura economica e dalla funzione di compensare una perdita patrimoniale. Pertanto, sono tutte soggette alla medesima logica fiscale e tassate con l’aliquota del 3%.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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