Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4217 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4217 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
REGISTRO ALTRE INDENNITA ‘ ESPROPRIO COLTIVATORE DIRETTO – sul ricorso iscritto al n. 11363/2020 del ruolo generale, proposto
DA
il RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede in San Donato Milanese (MI), al INDIRIZZO, in persona del presidente, legale rappresentante pro tempore , ing. NOME COGNOME e da COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nato a Sondrio il DATA_NASCITA e residente in Brescia, alla INDIRIZZO, entrambi rappresentanti e difesi, in forza di procura speciale e nomine poste in calce al ricorso, dagli avv.ti NOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), con studio in Roma (RM), alla INDIRIZZO.
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege ,
dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 3435/25/2019 della Commissione tributaria regionale della COGNOMEa (Sezione distaccata di Brescia), depositata il 9 settembre 2019, non notificata;
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023;
RILEVATO CHE:
con avviso n. NUMERO_DOCUMENTO l’Ufficio liquidava l’imposta di registro relativamente alle indennità di esproprio ed aggiuntiva versate al cedente del bene ablato, proprietario e coltivatore diretto dei relativi terreni, giusta contratto di cessione volontaria stipulato tra le parti, calcolate con aliquota del 9% sull’indennità di esproprio, quale prezzo di cessione, e con aliquota del 3% sulle altre indennità a vario titolo corrisposte;
oggetto del contendere -come chiarito dal Giudice dell’appello si è ridotto già in sede di gravane sulla misura dell’aliquota fissata al 3% dal primo Giudice per tutte le indennità diverse da quella di esproprio, che il AVV_NOTAIO, aveva invece autoliquidato nella misura RAGIONE_SOCIALE 0,50%;
la Commissione tributaria regionale -per quanto ora interessa in relazione ai motivi di impugnazione -rigettava l’appello proposto dai suindicati ricorrenti avverso la sentenza n. 7/3/2017 della Commissione tributaria provinciale di Brescia, ritenendo che correttamente il Giudice di prima istanza avesse applicato per tutte le indennità diverse da quelle di esproprio in senso stretto, versate al proprietariocoltivatore diretto del bene, l’aliquota del 3%, ravvisando in esse «una natura risarcitoria connotante le indennità a contenuto patrimoniale destinati a ricompensare la perdita di futura redditività ed a riequilibrare quella ricavabile dallo
sfruttamento dei fondi rimasti in proprietà del cedente » (così nella sentenza impugnata priva di numerazione). E ciò, segnatamente, sia per l’indennità aggiuntiva e per quella avente ad oggetto il ristoro del c.d. danno da sconfigurazione della proprietà residua, stante la sua funzione di compensare la diminuzione patrimoniale del soggetto che subisce il procedimento espropriativo, così valorizzando le peculiarità soggettive del proprietario coltivatore diretto, che per le altre indennità (di soprassuolo e/o di distruzione dei frutti pendenti), in ragione dell’analoga natura risarcitoria, avendo la funzione di ristorare il danno correlato alla quantificazione del valore dei beni andati persi o distrutti;
3.1. allo stesso modo, il Giudice regionale riteneva corretta la medesima aliquota del 3% (sempre in luogo RAGIONE_SOCIALE 0,50%) per l’indennità di occupazione e di urgenza, tenuto conto della sua finalità di risarcire il danno correlato alla perdita di reddito, avente come tale contenuto prettamente patrimoniale;
avverso tale sentenza il RAGIONE_SOCIALE (da ora solo RAGIONE_SOCIALE) – ed il AVV_NOTAIO notificavano ricorso per cassazione in data 9/13 marzo 2020, formulando cinque motivi di impugnazione, successivamente depositando memoria ex art. 380bis . 1. cod. proc. civ.;
l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di impugnazione i suindicati ricorrenti hanno dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 1, 6 e 9 della Tariffa allegata alla Parte I del medesimo testo unico, nonché dell’art. 40 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo Unico Espropri; T.U.E.), osservando che, nulla essendo mutato rispetto al precedente contesto normativo, « la decisione si pone irrimediabilmente in contrasto con lo specifico precedente in materia -relativo proprio all’indennità
aggiuntiva riconosciuta dal proprietario coltivatore diretto in un atto di cessione volontaria e dunque identico al caso di specie – costituito dalla sentenza Cassazione civile. Sez. I. 11 febbraio 2000, n. 1513 » (cfr. pagina n. 9 del ricorso), a mente della quale « in caso di cessione volontaria dell’area da espropriare da parte del proprietario diretto coltivatore (art. 17 comma 1 legge 865-1971), la base imponibile dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 44 comma 2 d.P.R. 131-1986 e RAGIONE_SOCIALE connesse imposte di trascrizione e catastale) va individuata in una posta pari all’indennità provvisoria aumentata del cinquanta per cento (arg. art. 12 comma 1 legge 865-1871), restandone esclusa la posta restante – di pari importo complessivo -che si pone non in funzione corrispettiva del trasferimento, ma in quella di ristoro per la perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di futuro sfruttamento del fondo – in atto, coltivato – per essere il diretto coltivatore costretto ad abbandonarlo» (così nella pronuncia di questa Corte sopra citata, riportata nel ricorso), con la conseguenza che la base imponibile dell’imposta di registro relativa all’indennità aggiuntiva spettante all’espropriato -coltivatore diretto deve essere assoggettata a tassazione con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%, stabilita per la registrazione degli atti di quietanza ai sensi dell’art. 6 della tariffa allegata al citato d.P.R.;
1.1. gli istanti hanno aggiunto che detta indennità aggiuntiva, tuttora agganciata al VAM ai sensi dell’art. 40, comma 4, T.U.E., « non ha nulla a che vedere con il prezzo della cessione essendo preordinata a ristorare la perdita di lavoro agricolo determinata dall’esproprio», essendo, invece, volta a valorizzare « gli aspetti soggettivi della qualità del proprietario ed avendo funzione di aggiunta premiale in considerazione del valore costituzionale del lavoro agricolo svolto sul fondo espropriato » (v. pagine nn. 11 e 12 del ricorso), per cui non ha natura di corrispettivo, non commisurandosi al valore di mercato, né integra una prestazione a contenuto patrimoniale, ma assume una sua autonoma funzione volta a compensare la perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di coltivare il fondo, rilevando quindi, ai fini dell’imposta in esame, solo la dichiarazione di percezione in atto della somma, come tale tassabile con l’aliquota
RAGIONE_SOCIALE 0,50%, come una quietanza ai sensi dell’art. 6 della Parte I della Tariffa allegata al citato d.P.R.;
con la seconda censura i ricorrenti hanno denunciato, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 40, comma 4, 42 e 45 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, evidenziando, che diversamente da quanto sostenuto dal Giudice Regionale (secondo cui l’indennità aggiuntiva prevista dall’art. 40, comma 4, T.U.E. sarebbe diversa da quella contemplata dall’art. 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865), il predetto Testo Unico Espropri, di carattere compilativo, non avrebbe introdotto alcuna innovazione in ordine all’indennità aggiuntiva in esame, come emerge dalla lettura combinata dell’art. 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e degli artt. 40, comma 4, e 45, comma 2 lett. d ) T.U.E., per cui, sotto tale profilo, il principio di diritto affermato da questa Corte con la menzionata pronuncia risulterebbe ancora valido;
con la terza ragione di impugnazione, il RAGIONE_SOCIALE ed il AVV_NOTAIO hanno lamentato, con riguardo al canone di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal rilievo che l’indennità aggiuntiva resta determinata in misura automatica al valore medio agricolo (cd. VAM), come affermato da questa Corte, per cui la motivazione della Commissione non sarebbe corretta nella parte in cui ha affermato che, dopo l’intervento della Corte costituzionale, giusta sentenza n. 181/2011, la predetta indennità dovrebbe calcolarsi in base al valore venale del bene, giacchè la citata pronuncia del Giudice RAGIONE_SOCIALE leggi ha inciso solo sulla determinazione dell’indennità di esproprio e non su quella in oggetto;
con la quarta doglianza i ricorrenti hanno rimproverato al Giudice dell’appello, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 6 e 9 della Tariffa allegata
alla Parte I del medesimo testo unico, nonché degli artt. 33, comma 1, 40, commi 1 e 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ponendo in rilievo che anche le voci indennitarie concernenti le anticipazioni colturali, i frutti pendenti, il deprezzamento ed il soprassuolo non integrano e non concorrono a determinare il prezzo della cessione e, quindi, non possono stabilire, a mente dell’art. 44, comma 2, T.U.R., la base imponibile dell’imposta in esame, segnalando ancora che « è completamente erroneo e fuorviante focalizzare l’attenzione sul mero dato del pagamento di una somma di denaro perché, così facendo, saremmo sempre in presenza di prestazioni a contenuto patrimoniale rilevanti ai fini dell’imposta di registro ai sensi dell’art. 9 della Parte I della Tariffa allegata al d.p.r. 131/1986 e quindi tutte le altre previsioni della stessa Tariffa sarebbero di fatto prive di applicazione concreta » (v. pagina n. 24 del ricorso), con la conseguenza che tutte queste voci indennitarie devono essere assoggettata all’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50% prevista per le quietanze, in quanto estranee alla base imponibile;
con la quinta ed ultima contestazione gli istanti si son doluti, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 5 e 9 della Tariffa allegata alla Parte I del medesimo testo unico, nonché dell’art. 22 -bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, assumendo, con riferimento all’indennità di occupazione di urgenza, che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, anche detta indennità non ha natura risarcitoria, rappresentando, piuttosto, la somma che l’autorità espropriante è tenuta a versare al proprietario per poter acquisire in via anticipata la disponibilità RAGIONE_SOCIALE aree e degli immobili necessari per la realizzazione dell’opera, il tutto in evidente analogia con i canoni di locazione, come riconosciuto anche dalla risoluzione ministeriale del 21 gennaio 1977, n. 251543;
l’esame dei motivi di ricorso può essere compiuto in modo unitario, essendo le relative ragioni trasversalmente connesse, ruotando il nucleo concettuale della complessiva contestazione della
sentenza impugnata sul rilievo secondo il quale tutte le indennità diverse da quelle di esproprio, corrisposte al proprietario che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati (indennità aggiuntiva, di soprassuolo, di distruzione dei frutti pendenti, di deprezzamento del reliquato, di occupazione temporanea), non concorrono ad integrare il prezzo di cessione ai sensi dell’art. 44, comma 2, T.U.R., non hanno cioè funzione di corrispettivo della cessione, né assumono contenuto patrimoniale in senso stretto. Secondo la tesi dei ricorrenti, essi assolverebbero, invece, ad una funzione compensativa del pregiudizio subito dal cedente in ragione dei suoi requisiti soggettivi, come precisato da questa Corte con la citata pronuncia, in termini ritenuti ancora attuali, non essendo mutato il contesto normativo di riferimento, per cui la corretta tassazione di tali indennità non può che colpire (con l’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50%) la mera dichiarazione di percezione RAGIONE_SOCIALE somme contenuta nell’atto di cessione, vale a dire come una quietanza a mente dell’art. 6 della menzionata tariffa;
tale ordine di idee non può essere condiviso, risultando invece corrette le valutazioni fornite dal Giudice regionale, subito ribadendo che l’oggetto del contendere come sopra esposto -risulta circoscritto all’aliquota da applicare sulle somme corrisposte dal RAGIONE_SOCIALE a titolo di indennità diverse da quella espropriativa, dividendosi le parti tra la tesi dell’Ufficio, che ritiene applicabile l’aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9 TP1 (prevista per gli atti aventi contenuto patrimoniale) e quella dei ricorrenti, che rivendicano l’operatività dell’aliquota RAGIONE_SOCIALE 0,50% a mente dell’art. 6 della medesima tariffa (relativa alle quietanze);
8. giova premettere che non v’è alcun dubbio che nel caso in cui l’espropriazione per pubblica utilità colpisca come nella specie – il proprietario, che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati, l’indennità di esproprio e quella aggiuntiva, dovute a mente degli artt. 37 e 40, comma 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, assicurino il ristoro di beni della vita tra loro diversi e non sovrapponibili, mirando la prima a compensare il sacrificio sopportato dal
proprietario del bene a causa della definitiva perdita del diritto di proprietà sul cespite bene (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975), mentre la seconda, indipendentemente dal diritto di proprietà e dagli altri diritti reali sul fondo espropriato (solo per i quali appare appropriato il riferimento al principio dell’unicità dell’indennità di esproprio), « trova distinto fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato e nella situazione privilegiata che l’art. 35 Cost. e s.s. assicurano alla posizione del lavoratore, garantendo fra l’altro che la sua retribuzione sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (Corte cost., 2 luglio 1972, n. 155)» (così Cass., Sez. I, 3 giugno 2016, n. 11464), autonomamente caratterizzandosi, per « una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui egli ha esercitato l’attività agricola» (così, tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975), per cui la cd. indennità aggiuntiva remunera – come detto con efficace sintesi – la «perdita del lavoro» (così, Cass., Sez. I, 24 aprile 2014, n. 9262, che richiama Cass., Sez. I., 8 settembre 2011, n. 18450 e Cass., Sez. I, 10 settembre 2004, n. 18237; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. I. 2 febbraio 2007, n. 2238);
9. le altre forme di indennità oggetto di esame (per le anticipazioni colturali, per il deprezzamento della residua parte non espropriata, per la distruzione dei frutti pendenti e la perdita da anticipazioni colturali o del cd. soprassuolo e per l’ occupazione temporanea) ristorano, invece, diversi, specifici, pregiudizi causati dalla procedura espropriativa , che nel medesimo procedimento ablativo traggono, quindi, titolo giuridico;
quale che sia la specificità dei singoli pregiudizi sopra indicati, essi risultano, tuttavia, accumunati dalla loro natura economica, siccome incidenti sulla capacità reddituale dei beni e soprattutto sul patrimonio del soggetto espropriato, che risulta privato dei relativi cespiti, il che comporta un’oggettiva, quanto evidente, perdita del suo complessivo valore, che, per, l’appunto le varie indennità ivi previste sono dirette a compensare, controbilanciando le perdite con l’attribuzione di un equivalente monetario;
tutte le indennità corrisposte per ristorare i menzionati pregiudizi rispondono, quindi, ad una «logica patrimoniale » (cfr. tra le tante, Cass., Sez. I, 22 marzo 2021, n. 7975);
l’art. 44, comma 2, seconda parte, d.P.R. 16 aprile 1986, n. 131, dispone che «In caso di trasferimento volontario all’espropriante nell’ambito della procedura espropriativa la base imponibile è costituita dal prezzo » e la pronuncia citata dalla difesa dei ricorrenti, a sostegno RAGIONE_SOCIALE proprie tesi, ha riconosciuto che «la legge di registro non disciplina espressamente il caso dell’espropriando cedente, il quale sia anche coltivatore diretto del fondo» (così, Cass., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1513);
in effetti, non vi è una specifica disposizione che preveda l’aliquota applicabile nel caso di cessione volontaria del bene da parte dell’espropriando che sia anche coltivatore diretto del fondo, ma, nondimeno, l’art. 9 TP1 stabilisce l’aliquota del 3% per «gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale » ;
come chiarito da questa Corte, si tratta di una disposizione che «rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, purchè però onerose, e in questo specifico senso aventi un contenuto patrimoniale » (così Cass., Sez. T., 18 dicembre 2015, n. 25478, richiamata da Cass. Sez. T, 17 gennaio 2018, n. 975; Cass., 5 agosto 2016, n. 16490; conf. Cass., 17
gennaio 2018, n. 975 e, da ultimo, in analogo contenzioso tra le stesse parti, Cass., Sez. T., 26 ottobre 2023, n. 29765);
15. le Sezioni unite di questa Corte hanno altresì ricordato che « – come di recente ribadito anche dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 158/20 e 39/21 – l’imposta di registro si presenta tutt’oggi come una tipica imposta d’atto, in quanto applicata all’atto presentato alla registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1), intendendosi per tale un ben determinato negozio giuridico o un altro atto regolatore di un assetto di interessi che denoti forza economica e capacità patrimoniale», per cui «E’ imprescindibile che l’applicazione dell’imposta implichi la previa esatta individuazione dell’atto da registrare e che questa individuazione, quando relativa all’attività negoziale RAGIONE_SOCIALE parti contribuenti, muova a sua volta dalle categorie discretive proprie del diritto civile (a cominciare dall’elemento causale)», come confermato anche dall’« impianto prettamente tariffario dell’imposta di registro il quale – nella tassazione proporzionale in termine fisso degli atti negoziali – determina l’aliquota dovuta in relazione all’oggetto ed agli effetti dell’atto stesso, con ciò di nuovo sollecitando la qualificazione giuridica dell’atto negoziale, tipico o atipico, secondo gli istituti e gli schemi propri del diritto civile », ribadendo che l’aliquota del 3% è « residualmente applicabile agli atti diversi aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (art. 9) » (così Cass., Sez. Un., 9 giugno 2021, n. 16080);
16. in tal senso, dunque, ai fini che occupano, l’individuazione dell’aliquota applicabile alle suindicate indennità, non precisamente previste dal Testo Unico, va operata, ai sensi dell’art. 9 TP1, in ragione del contenuto patrimoniale della stessa, in linea coerente con la ratio di tale imposta, volta a tassare tutte le espressioni di capacità contributiva contenute negli atti presentati alla registrazione;
il contenuto patrimoniale della prestazione va ricercato, come chiarito dalla citata pronuncia nel suo carattere oneroso o, se
si vuole, nella sua suscettibilità ad essere economicamente valutabile, comportando una modifica patrimoniale nella sfera giuridica del soggetto interessato, caratteristiche queste che certamente qualificano la cessione volontaria di immobile nell’ambito della procedura espropriativa e segnatamente le citate indennità, volte, per l’appunto, a remunerare le perdite patrimoniali subite dall’espropriato – coltivatore diretto;
si rivela, in tali termini, non condivisibile l’ordine di idee che ritiene applicabile la minore aliquota prevista dall’art. 6 TP1 per l’atto di quietanza, giacchè l’eventuale dichiarazione di ricezione RAGIONE_SOCIALE somme dovute a titolo di indennità assume natura ancillare rispetto all’atto di cessione che stabilisce la prestazione avente contenuto patrimoniale diretto alla corresponsione dell’indennità e ne resta, quindi, assorbita, tenuto conto che, a mente dell’art. 21, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, detta dichiarazione risulta esente dall’imposta di registro se resa . come nella specie – nello stesso atto altrimenti tassato;
medesimo ordine di idee è stato espresso da questa Corte in altri, pressochè identici, contenziosi intercorso tra le stesse parti, in cui si è riconosciuta la natura patrimoniale RAGIONE_SOCIALE suddette indennità, ulteriormente precisando, che:
-« la determinazione dell’indennità si fonda, quindi, su criteri che hanno come riferimento, da un lato, la natura e la destinazione del terreno e, dall’altro, la presenza di soggetti, diversi dal proprietario, sul fondo stesso, sicché l’indennità stessa, pur essendo legata a parametri predeterminati, è scissa, nell’ipotesi in cui siano presenti più soggetti, in due distinte parti: una diretta a risarcire il danno per la perdita del terreno e l’altra, aggiuntiva ed integrativa, finalizzata a compensare il sacrificio dovuto alla privazione definitiva del godimento del fondo ed alla conseguente impossibilità di continuare ad esercitare l’attività di coltivazione»;
-« non si può dubitare che si tratta comunque di prestazioni patrimoniali che vanno a compensare il soggetto a seguito di un
pregiudizio patito, ovvero del sacrificio di un diritto, il cui importo è stato pattuito tra le parti, soggette alla aliquota del 3% ai sensi dell’art. 9, Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede l’imposta proporzionale di registro per gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», restando «irrilevante la natura indennitaria o risarcitoria RAGIONE_SOCIALE suddette prestazioni economiche aggiuntive in caso di esproprio, atteso che la norma dell’art. 9 della Tariffa Parte I allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 tassa allo stesso modo sia le indennità che il risarcimento del danno, la cui natura si distingue solo per effetto della valutazione del comportamento a monte dell’agente (atto legittimo o illegittimo) che produce un danno economico, prevedendo l’art. 9 cit. la tassazione con aliquota del 3% alle disposizioni «aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale», per cui, «in base alla dizione letterale della legge le indennità aggiuntive, quale che sia la natura, hanno un contenuto patrimoniale/ristoro di danni causati/derivanti dall’espropriazione di terreni e, così, rimangono soggette all’aliquota del 3%, ex art. 9 della tariffa, poiché non esistendo altra disposizione a carattere di specialità è unicamente applicabile la normativa a carattere residua»;
-«anche l’indennità da occupazione d’urgenza costituisce comunque un’obbligazione di tipo indennitario collegata ad una ipotesi tipica di responsabilità della P.A. per atti legittimi e, in relazione ad essa valgono le medesime considerazioni (ndr. sopra) svolte circa l’assoggettabilità dell’indennità ad aliquota «residuale» del 3% prevista dal TUR alla voce «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale» (articolo 9 della Tariffa, Parte Prima, del Dpr n. 131/1986), escluso che tale indennità possa essere assimilabile ad un canone di locazione», in quanto «l’indennità in oggetto, infatti, non ha natura compensativa per la mancata fruizione di un bene, così come avviene per la locazione, essendo piuttosto riconosciuta per la perdita del godimento RAGIONE_SOCIALE aree occupate dalla P.A. a seguito di un provvedimento autoritativo legalmente dato» (così, Cass., Sez.
T., 26 ottobre 2023, n. 29735 ed in termini Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29664; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29879; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29664; 29572; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2023, n. 29659 e Cass., Sez. T., 13 dicembre 2023, n. 34867);
20. alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte, il ricorso va, quindi, rigettato;
le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo;
va, inoltre, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite, che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, nella misura di 2.500,00 € per compensi, oltre accessori, nonché alle spese prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.