Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 161 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 161 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
Oggetto: accertamento
– indagini finanziarie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22423/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL in forza di procura speciale ad litem in calce al ricorso per cassazione
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 270/03/2022 depositata in data 16/02/2022, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–NOME ricorreva verso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio Finanziario rettificava la sua dichiarazione relativa al periodo di imposta 2008 poiché a seguito di indagini finanziarie erano emersi diversi prelievi e versamenti non giustificati sui conti nella disponibilità del contribuente;
la CTP di Firenze accoglieva in parte il ricorso; appellava il contribuente in ordine alla pronuncia di primo grado nella parte che lo aveva visto soccombente;
con la pronuncia gravata in questa sede il giudice dell’impugnazione ha rigettato l’appello;
ricorre a questa Corte COGNOME con atto affidato a tre motivi di ricorso; lo stesso ha anche depositato memoria illustrativa delle proprie difese;
resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate;
Considerato che:
-il primo motivo di impugnazione censura la pronuncia gravata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 c. 1 lett. d), 41 bis e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché degli artt. 54 c. 5 e 57 c. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.: evidenzia parte ricorrente che la posizione reddituale del Corindo era stata oggetto di una verifica generale svolta dalla Guardia di finanza a partire dal 5 Marzo 2009 conclusasi con il PVC del 9 ottobre 2009, a seguito della quale è stato notificato l’atto di contestazione relativo n. T8C1050241/2010 al periodo d’imposta 2006, non impugnato in questa sede;
-in seguito, ha avuto luogo la notifica dell’ulteriore avviso di accertamento n. T8B011301657/2011 relativo al periodo d’imposta 2008, oggetto del presente giudizio; sostiene in sintesi parte ricorrente che tale avviso di accertamento sarebbe illegittimo poiché emanato
quando l’Amministrazione finanziaria aveva già esaurito il proprio potere di accertamento generale relativo a tale anno di imposta: si sostiene infatti che i dati bancari richiamati nel l’ulteriore PVC del 5 maggio 2010 erano già noti all’ufficio all’epoca in cui è stata svolta la prima verifica, conclusasi con il PVC del 9 ottobre 2009;
il secondo motivo di ricorso si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che l’atto impositivo impugnato fosse adeguatamente motivato;
ritiene parte ricorrente che dal testo del pvc del 9 ottobre 2009 richiamato per relazione dal pvc del 5 maggio 2010, non sia possibile comprendere dalla verifica fiscale di quale società sia scaturita quella effettuata nei confronti del NOME NOME;
i motivi ridetti sono inammissibili;
invero, la CTR ‘…ritiene che lA (lett.) metodologia seguita dall’Ufficio si (sia, evidentemente, nota chi scrive) corretta in quanto all’eccezione sollevata per la mancata allegazione della autorizzazione non abbia rilevanza …’ e ancora che ‘ Quindi la possibilità dell’Ufficio di svolgere indagini bancarie risulta pienamente legittima’ ;
se ne desume che i profili di doglianza proposti dai motivi non risultano connessi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non ha posto tali aspetti a base della decisione assunta;
i motivi in argomento si appuntano quindi su questioni del tutto estranee all’ ordito motivazionale fornito dal giudice del merito senza muovere invece alcuna critica alla ratio decidendi posta a base della decisione impugnata;
come è noto, secondo questa Corte in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia oggetto di ricorso (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361); più precisamente
secondo la giurisprudenza di questa Corte il motivo d’ impugnazione è rappresentato dall’ enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’ esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’ inammissibilità ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza 14/3/2017 n. 6496, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Rv. 636872, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564);
in ogni caso, i motivi sono anche infondati;
Cons. Est. NOME COGNOME 4 – quanto al primo motivo, come si evince dall’esame degli atti, nel PVC del 5 maggio 2010 gli operanti in realtà chiedevano agli operatori finanziari le movimentazioni operate su una serie di rapporti bancari nella disponibilità del contribuente analiticamente indicati nel foglio n. 2 e nel foglio 3 di tale PVC; si tratta di informazioni relative, dal punto di vista degli operatori, anche ai rapporti intercorsi con intermediari finanziari Unicredit, Cassa di Risparmio di San Miniato, Cassa di Risparmio di Volterra intestati anche COGNOME NOME oltre che a NOME NOME e ritenuti nella disponibilità del contribuente, come indicato in allegato numerato del PVC in argomento; dal punto di vista della
tipologia di operazioni erano richieste anche informazioni anche relative alle operazioni extraconto;
dal punto di vista dei soggetti intestatari si tratta di informazioni riguardanti non solo NOME ma anche altro soggetto, COGNOME NOME;
da ciò si desumono due elementi importanti;
in primo luogo, che solo all’atto della redazione del PVC del 5 maggio 2010 l’Amministrazione disponeva dei risultati delle indagini finanziarie (vale a dire delle movimentazioni risultanti dai rapporti in essere) perché proprio dal contenuto del foglio n. 2 e n. 3 del PVC) e non nelle pagine seguenti si evince l’avvenuta richiesta di tali informazioni;
è certo che comunque detta apprensione non era ancora avvenuta nel 2009 in quanto richiesta, per l’appunto, solo nel 2010; inoltre, i rapporti bancari e le operazioni ‘attenzionate’ nel PVC del 2010 sono assai più numerosi e ulteriori rispetto a quelli indicati in precedenza;
in secondo luogo, la sola documentazione bancaria allegata al PVC del 9 ottobre 2009 è quella consistente negli estratti conto: essa contiene unicamente le movimentazioni in conto (non quelle extraconto, espressamente richieste solo con il PVC del 2010) esaminate con riguardo ai rapporti in essere in capo al contribuente accesi presso la Cassa di Risparmio di San Miniato n. 753 e 274 finali e presso la Cassa di Risparmio di Prato n. 467 finale;
-con riguardo a tali ultimi elementi, gli stessi erano quindi effettivamente nella disponibilità dell’Ufficio ben prima della richiesta di cui al PVC del 5 ottobre 2010; nondimeno, non può affermarsi (con ciò smentendosi l’assunto fondamentale di parte ricorrente) che si tratta di elementi che costituiscono risultanze delle indagini finanziarie;
invero, in quanto il contenuto informativo degli estratti conto rilasciati al contribuente (perché di tali documenti trattasi) è differente dal contenuto informativo delle risultanze delle indagini finanziarie;
le stesse infatti consentono all’Ufficio che le richiede di avere contezza non solo delle operazioni in conto (versamenti, bonifici, giroconti, prelevamenti) ma anche delle operazioni fuori conto (cambio assegni, ecc.);
in forza dell’art. 119 TUB, che disciplina proprio l’estratto conto, va fornito da parte dell’intermediario finanziario al cliente, ‘in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all’anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto… Per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile’;
il contenuto di tale documento, limitato al generale svolgimento del rapporto, è invero meno analitico e completo di quanto può conoscersi da parte dell’Ufficio con l’esercizio dell’attività di indagine finanziarie; esse consentono di conoscere ‘notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata’ (art. 51 c. 2 n. 7 del d.P.R. n. 633 del 1972) e ‘dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti’ (art. 32 c.1 n. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973); – i riferimenti testuali non solo al generico svolgimento del rapporto, ma anche a ‘notizie e documenti’ oltre che a ‘dati, notizie e documenti’, relativi a qualsiasi rapporto e operazione consentono di affermare che in tali dizioni letterali il legislatore abbia compreso non solo le movimentazioni ordinarie e usuali, quali versamenti e prelievi, ma ogni movimentazione anche non transitata (tramite accredito o addebito) sul conto ancorché pur sempre riferita al contribuente e posta in essere in connessione con detto conto;
di qui, infatti, la funzione delle indagini finanziarie, che hanno lo scopo di sottoporre a controllo la totalità delle operazioni e non le sole movimentazioni registrate negli estratti conto;
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alla luce di ciò, deve escludersi nella fattispecie che avendo l’Ufficio già la disponibilità di (alcuni peraltro, non tutti, si badi bene) estratti conto, esso Ufficio avesse già contezza delle movimentazioni finanziarie di cui trattasi; deve parimenti allora del tutto escludersi (con ciò venendo meno la base logica e giuridica del motivo di ricorso) che le indagini finanziarie fossero state tutte portate a termine nel 2009, dato che solo con il PVC del 2010 le stesse risultano essere state iniziate e in ogni caso sono state quindi completate ben dopo il 2009;
il secondo motivo di ricorso si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che l’atto impositivo impugnato fosse adeguatamente motivato;
-ritiene parte ricorrente che la motivazione dell’atto impositivo impugnato sia inidonea poiché il PVC richiamato nell’avviso di accertamento, datato 5 maggio 2010, si limita ad indicare dei numeri emergenti da alcuni brogliacci acclusi al PVC medesimo ed intestati ad alcune banche senza far riferimento né includere tra gli allegati gli estratti dei conti correnti bancari analizzati dai verificatori della Guardia di finanza; sono tali documenti secondo parte ricorrente costituirebbero gli unici documenti ufficiali e perciò anche attendibili in materia;
il motivo è infondato;
in primo luogo, dall’esame del PVC del 9 ottobre 2009 si evince l’allegazione allo stesso degli estratti conto dei rapporti finanziari in quell’occasione presi in esame dai verificatori: si tratta dei conti con finale 753 e 274 accesi presso la Cassa di Risparmio di San Miniato e del conto con finale 467 acceso presso la Cassa di Risparmio di Prato;
comunque, l’art. 32 n. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Ufficio di ‘7) richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del
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comandante regionale, alle banche, alla società RAGIONE_SOCIALE, per le attività finanziarie e creditizie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi’;
– non vi è qui alcun riferimento alla necessità o alla obbligatorietà, per l’Amministrazione Finanziaria, di acquisire gli estratti conto, in quanto la consistenza e la movimentazione dei rapporti finanziari può essere da essa conosciuta per mezzo dell’invio, da parte dei soggetti destinatari della richiesta, di ‘dati, notizie e documenti’, non necessariamente veicolati solo ed esclusivamente tramite gli estratti conto;
resta ovviamente fermo il principio secondo il quale, a fronte delle informazioni di cui si è detto, ottenute dai destinatari della richiesta di informazioni, anche quindi non contenute negli estratti conto, al contribuente sarà possibile opporre in giudizio il contenuto di tali estratti (oltre che di ulteriore documentazione funzionale alla illustrazione delle singole operazioni ivi indicate) dando la prova della irrilevanza delle stesse ai fini impositivi;
– nel presente caso dalla lettura dell’atto impugnato e del PVC sottostante ivi richiamato si evince come le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate appaiano invero sufficientemente analitiche per consentire il pieno dispiegarsi del diritto di difesa del contribuente. Questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di chiarire che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, e la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è condizionata alla
previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, posto che il citato art. 32 prevede quel contraddittorio alla stregua di mera facoltà, non di obbligo, dell’amministrazione tributaria”, Cass. sez. V, 26 aprile 2017, n. 10249 (conf. Cass. sez. V, 29 marzo 2002, n. 4601);
– non si è poi mancato di specificare che “in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze” (Cass. sez. V, 30 giugno 2020, n. 13112);
– alla luce di ciò, non va neppure trascurato come il contribuente insista nel criticare l’operato dell’Amministrazione finanziaria senza peraltro allegare – nemmeno in questa sede di Legittimità – di aver contrastato analiticamente nei gradi di merito la legittimità di nessuna delle operazioni bancarie che gli venivano contestate, fornendo la prova -del cui onere era gravato -della loro irrilevanza reddituale o dell’averne tenuto conto nelle proprie scritture contabili; tanto che la CTR ha accertato come ‘il contribuente, a fronte delle indagini bancarie e dei conseguenti dati così rilevati, non ha, salvo quanto riconosciuto in prime cure per le spese famigliari, provato la riferibilità delle operazioni accertate ad operazioni imponibili…’;
Cons. Est. NOME COGNOME – 9 – va in ultimo ribadito il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte in materia di motivazione degli atti impositivi, che riconosce la
legittimità della c.d. motivazione per relationem e ne precisa i limiti. E’ stato più volte affermato, infatti, che ‘in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio’ (Cass. n. 32957 del 20 dicembre 2018). Allo stesso modo è stato precisato che ‘in tema di atto impositivo, ai fini dell’ammissibile motivazione “per relationem” è sufficiente il rinvio dell’avviso di accertamento al PVC notificato al contribuente’ (Cass. n. 29002 del 5 dicembre 2017);
orbene, nel presente caso dal contenuto dell’atto di contestazione impugnato, prodotto a questa Corte ad opera del ricorrente come si è detto, si evince che la motivazione è stata predisposta ed espressa anche attraverso il richiamo alle motivazioni esposte nei PVC tutti in precedenza notificati alla società contribuente e, pertanto, dalla stessa già conosciuti;
in particolare, il PVC del 5 maggio 2010, da un lato al foglio n. 2 identifica i rapporti finanziari oggetto di disamina che sono individuati tramite il nominativo della banca presso la quale è aperto il rapporto finanziario; nel prosieguo ai fogli da n. 7 a n. 9 dà atto delle risultanze delle contestazioni dei movimenti sottoposte dai militari operanti al contribuente e delle giustificazioni da questi date (o non date);
è quindi evidente che al contribuente è stato reso adeguatamente noto (diversamente da quanto si sostiene in ricorso per cassazione) il dettaglio delle movimentazioni finanziarie prese in esame dai militari della GdF, tanto che a fronte di esse ha avuto luogo in quella sede il contraddittorio;
-all’esito di tale contraddittorio, l’Ufficio ha nel seguente avviso di accertamento contestata la percezione di maggiori ricavi in capo al contribuente in quanto in forza di tali elementi di prova presuntiva ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 l’Ufficio ha rideterminato il reddito del Corindo;
il terzo motivo si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31 e dell’art. 33 del d. Lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 24 e 101 Cost. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente deciso la controversia con decisione in camera di consiglio, trascurando di rilevare l’avvenuta richiesta in atto di appello della udienza pubblica;
il motivo è infondato;
invero, l’udienza di discussione era fissata e si è tenuta in data 10 dicembre 2021, nel vigore dell’art. 27 del d. L. n. 137 del 2020; trova applicazione quindi la giurisprudenza di questa Corte in forza della quale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6033 del 28 febbraio 2023) in tema di processo tributario durante l’emergenza da Covid-19, la decisione del giudice di disporre, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del d.L. n. 137 del 2020, la trattazione scritta, nonostante la richiesta della parte di discussione in pubblica udienza o con collegamento a distanza, è legittima, ove carenze organizzative all’interno dell’ufficio impediscano il collegamento da remoto, poiché le parti non hanno un diritto pieno e incondizionato all’udienza pubblica e la trattazione scritta garantisce le essenziali prerogative del diritto di difesa, assicurando in tale modo l’interesse pubblico all’esercizio della giurisdizione anche in periodo emergenziale;
conseguentemente il ricorso va complessivamente rigettato;
le spese sono regolate dalla soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 5.900,00 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.