Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27128 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27128 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22051/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SARDEGNASEZ.DIST. SASSARI n. 39/2021 depositata il 11/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE che svolge l’attività di compravendita di beni immobili propri, era stata attinta, a seguito di due verifiche della GdF, da avviso di accertamento n. RL70302016/2009 per l’anno di imposta 2004 relativo a recupero di IRES per € 176.761,00, IRAP per € 23.083,00 ed IVA per € 43.665,00, oltre interessi e sanzioni. Dalla sentenza epigrafata, in punto di fatto, emerge che, in sede di prima verifica ex art. 35, comma 2, d.l. n. 223 del 2006, la GdF aveva analizzato ‘ le compravendite realizzate dalla società sulla base dell’analisi dei dati presenti nelle banche dati OMI ed il valore di eventuale mutuo contratto da acquirenti ‘. Invece ‘ la seconda verifica contiene l’esito delle indagini finanziarie svolte nei confronti della società e dei tre soci di questa, NOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME. I controlli svolti, come riportato nell’avviso di accertamento, hanno evidenziato: · ricavi non contabilizzati e non dichiarati per € 103.160,00; corrispondenti a versamenti bancari non giustificati, non correlati ad alcun rapporto commerciale in corso; · ricavi non contabilizzati e non dichiarati e per € 431.479,43, riconducibili a n. 7 compravendite immobiliari; · omessa fatturazione di una caparra di € 1.000,00, relativa ad una compravendita immobiliare ‘.
La CTP di Sassari, impugnatoriamente adita dalla contribuente, con sentenza n. 146/01/12 depositata il 19/10/2012, respingeva il ricorso.
La contribuente proponeva appello, respinto dalla CTR della Sardegna, con la sentenza in epigrafe, essenzialmente osservando che la legittimità dell’estensione dell’indagine finanziaria anche a conti correnti formalmente intestati ad una serie di ulteriori società, ma in disponibilità dei soci della contribuente, non era inficiata dal difetto di ‘ formale autorizzazione del Comandante Regionale della
Guardia di Finanza ‘, senza che la contribuente abbia efficacemente contrastato gli esiti di detta indagine.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi. L’Agenzia delle entrate resta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dall’art. 32 comma 1 – n. 7 DPR 29 settembre 1973 n. 600 e dall’art. 21 octies della Legge 7 agosto 1990 n. 241, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non aver, il Giudice di secondo grado, ritenuto illegittimo l’accertamento finanziario eseguito nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE poiché eseguito in assenza di autorizzazione e quindi rigettato sul punto la domanda formulata dall’odierna ricorrente ‘.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Sul punto la sentenza impugnata, sulla base di ampie citazioni giurisprudenziali, osserva che, ‘ legittimamente, l’indagine finanziaria abbia riguarda anche i conti correnti formalmente intestati alle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , ma in disponibilità dei soci COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME e cioè conti per i quali il contribuente abbia avuto la possibilità di disporre in virtù di mandato/delega da parte dell’intestatario del conto e questo sebbene le relative movimentazioni bancarie siano state irritualmente acquisite, senza formale autorizzazione del Comandante Regionale della Guardia di Finanza ‘.
1.3. La conclusione cui perviene la CTR è conforme alla giurisprudenza di legittimità.
1.4. Costituisce insegnamento ricevuto quello secondo cui ‘ in tema di IVA, la mancanza dell’autorizzazione di cui all’art. 51,
comma 2, n. 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, non implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal c.p.p., dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita ‘ (Cass. nn. 22754 del 2020 e 13353 del 2018; analogamente, più di recente, Cass. n. 1306 del 2023, nonché Cass. n. 4853 del 2024).
Più in generale, ‘ l’acquisizione irrituale da parte della Guardia di Finanza di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi in mancanza di una specifica previsione in tal senso, non trovando applicazione, trattandosi di attività di carattere amministrativo, l’art. 24 Cost. sulla tutela del diritto di difesa, salva l’ipotesi in cui vengano in rilievo diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio ‘ (Cass. n. 29132 del 2018, recentemente richiamata in motivazione da Cass. n. 9734 del 2024).
1.4.1. Talché, la circostanza che, in concreto, rispetto al singolo conto corrente, difetti l’autorizzazione all’accesso non comporta alcuna inutilizzabilità dei dati, a meno che il contribuente dimostri in concreto un effettivo ‘ pregiudizio ‘, in specie con riferimento alla violazione di ‘ diritti fondamentali di rango costituzionale ‘.
La ragione di ciò riposa sulla considerazione, di respiro sistematico, secondo cui ‘ l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie nonostante il ‘nomen iuris’ adottato, esplica una funzione organizzativa, incidente solo nei rapporti tra uffici, ed ha natura di atto meramente preparatorio,
con la conseguenza che non è qualificabile come provvedimento o atto impositivo ‘, tanto da farsene derivare l’insussistenza di alcun ‘ obbligo di motivazione ‘, applicabile unicamente ai provvedimenti ed agli atti impositivi ex artt. 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 e 7 della l. n. 212 del 2000 (Cass. nn. 19564 del 2018 e 14026 del 2012).
Nella cd. ‘autorizzazione’ è dunque assente qualsivoglia natura impositiva, essendo essa piuttosto funzionale all’estrinsecazione di un potere di mera organizzazione dell’attività amministrativa.
Va poi esclusa la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata in ricorso per la pretesa disparità di trattamento del contribuente sottoposto ad accertamento tributario, in relazione al quale non si configura l’inutilizzabilità delle acquisizioni e dei dati previsti dall’art. 32 del d.P.R. n. 600/73, ma acquisiti senza la prescritta autorizzazione, rispetto al soggetto nei cui confronti si eserciti l’azione penale, stante il principio della inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti di legge. Anche di recente, sia pure in relazione ad altro profilo, si è ribadita l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario, di modo che, si è chiarito, in materia tributaria gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Guardia di Finanza senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale sono utilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, secondo un principio che, oltre ad essere sancito dalle norme sui reati tributari, è desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp.att. c.p.p. il quale impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini dell’applicazione della legge penale (Cass. n. 13939 del 2025).
Giova altresì evidenziare, per completezza, che non v’è alcuna interferenza con la recente giurisprudenza della Corte EDU, in relazione alla sentenza del 6 febbraio 2025 nel caso RAGIONE_SOCIALE per le ragioni di recente chiarite da questa Suprema Corte (cfr., tra varie, Cass. nn. 22249, 22261 e 22263 del 2025).
1.5. Tornando al caso di specie, il motivo non allega alcun ‘ concreto pregiudizio al contribuente ‘, né paventa venire ‘ in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso ‘. Irrilevante, in particolare, è l’asserita violazione del diritto di difesa della società, per la ‘ mancanza di un vaglio critico da parte del dirigente preposto al rilascio dell’autorizzazione ‘, posto che, come la stessa società riconosce, in sede di impugnazione dell’avviso la contribuente ha potuto esplicare in pieno il proprio diritto di difesa, anche in relazione all’aspetto in questione.
E ciò rende conto, come anticipato, della infondatezza del motivo.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘ Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dall’art. 32 comma 1 – n. 2 DPR 29 settembre 1973 n. 600 e dall’art. 115 c.p.c. e art. 23 Costituzione, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non aver, il Giudice di secondo grado, ritenuto esistente una doppia imposizione, nonostante la prova documentale in atti della non riconducibilità ad operazioni commerciali dei versamenti eseguiti ed il cumulo delle metodologie di accertamento attuate dall’ufficio accertatore ‘.
2.1. Il motivo -volto, in sostanza, a sostenere che ‘ i versamenti in contanti non dovevano andare a sommarsi ai ricavi derivati dalle compravendite oggetto di accertamento ‘ -è inammissibile, in quanto generico.
Invero, omettendo di compiere puntuali riferimenti sia all’avviso di accertamento sia al presupposto PVC, evoca, ma solo
asseritamente, una pretesa ‘ prova documentale in atti della non riconducibilità ad operazioni commerciali dei versamenti eseguiti ‘, senza però render conto di esistenza e consistenza della prova stessa. Identicamente è a dirsi per l’assunto a termini del quale ‘le verifiche sostanziali e le indagini finanziarie risultavano essere state particolarmente minuziose e attente, ragion per cui non sarebbe stato plausibile immaginare ulteriori componenti positivi di reddito rispetto a quelli rilevati documentalmente ‘.
In ultima analisi, il motivo introduce una questione strettamente meritale, avulsa dall’ambito cognitorio del giudizio di cassazione come momento di controllo della sola legalità delle pronunce ricorse, senza oltretutto confrontarsi con la perentoria affermazione della sentenza impugnata intesa ad evidenziare come la parte privata non abbia ottemperato all’onere di ‘ fornire adeguata e specifica dimostrazione che consenta di ricondurre le movimentazioni finanziarie agli imponibili già accertati nell’ambito della ricostruzione dei corrispettivi delle compravendite immobiliari ‘. ‘ Adeguata e specifica dimostrazione ‘ che -diversamente da quanto preteso ancora nel motivo -non può consistere nel mero richiamo al fatto che ‘ la Guardia di Finanza, in seno al processo verbale di contestazione (foglio 40 e 41 del PVC ), classificato tre dei quattro versamenti, per un ammontare di Euro 15.250,00, come versamenti non riconducibili ad operazioni commerciali mentre il quarto è stato escluso in quanto assente l’immagine del titolo ‘, in quanto fermo che, come correttamente osservato dalla CTR, ‘ rientra nella competenza e nella sfera di discrezionalità dell’Ufficio, nel definire l’avviso, la valutazione degli elementi individuati nel PVC ai fini della rettifica delle dichiarazioni ‘ -la non imponibilità di operazioni di conto (anche, dunque, ‘sub specie’ dell’estraneità a materia imponibile già eventualmente accertata) soggiace, in virtù della presunzione scaturente dall’art. 32 DPR n. 600 del 1973, a rigorosa
contro
prova prova analitica, ‘ con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario ‘ (cfr., a mero titolo d’esempio, Cass. n. 13112 del 2020).
3. In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato.
Nulla è a statuirsi sulle spese, stante la mancata costituzione dell’Agenzia delle entrate.
Deve nondimeno dichiararsi la contribuente tenuta al pagamento del cd. doppio contributo unificato, come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali, in capo a parte ricorrente, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 16 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME
NOME