Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26218 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26218 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3695/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA/ NAPOLI n. 6725/2015 depositata il 06/07/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il contribuente dottor NOME COGNOME esercita la professione di odontoiatra in quel di Napoli ed era attinto da avviso di accertamento per l’anno 2009 fondato su indagini bancarie attinenti a versamenti e prelevamenti, vedendosi rideterminando quindi il reddito con modalità analitico induttiva, ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d) del DPR n. 600/1973.
Il primo grado di giudizio era sfavorevole alla parte contribuente, mentre il grado di appello ne apprezzava parzialmente le ragioni, espungendo dalla ricostruzione del reddito quanto risultante dai prelevamenti bancari, perché non (più) ritenuti indici di maggior reddito occulto.
Avverso questa sentenza propone ricorso il contribuente dottor NOME COGNOME, affidandosi a tre rimedi cassatori, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 42 del DPR numero 600 del 1973 e dell’articolo 7 della legge numero 212 del 2000; nonché violazione ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
In buona sostanza, per un verso si critica il capo di sentenza ove la CTR ha affermato che l’atto di delega di firma al funzionario incaricato alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento e acquisito agli atti del giudizio è valido perché preesistente alla formalizzazione
del provvedimento impositivo, senza evidenziarne la mancanza dei requisiti essenziali ed escludendone l’obbligo di allegazione all’avviso di accertamento. Sotto altro profilo si censura la scarsa attenzione della RAGIONE_SOCIALE nel non considerare l’irrituale delega in calce all’avviso di accertamento.
Preliminarmente, per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).
Tuttavia, il motivo non può essere accolto ed è inammissibile, prima ancora che infondato, relativamente alla censura sub art 360 n. 5 c.p.c..
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Nel merito la censura non può essere accolta. Ed infatti, per giurisprudenza costante, la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto (Cass. V, n. 8814/2019; n. 11013/2019).
In limine , poi, si evidenzia che la delega sia indicata nell’atto impositivo, nota alla parte contribuente che ha potuto spiegare adeguate difese.
Il motivo non può pertanto essere accolto.
Con il secondo motivo si profila censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 32, primo comma, numeri 2 e 7 del DPR numero 600 del 1973, nonché violazione dell’articolo 37, terzo comma, del medesimo DPR. Nella sostanza si lamenta violazione di legge per aver ritenuto rilevanti i conti correnti intestati a soggetti terzi di cui non è stata data prova della fittizietà dell’intestazione.
Il motivo non può essere accolto.
Occorre premettere che esula dal perimetro di scrutinio di questa Suprema Corte di legittimità la rivalutazione del merito, limitandosi unicamente a verificare se nell’applicazione della legge – sia corretta la sussunzione del caso concreto nella regola generale della
fattispecie normativa tipica. Tale risulta il caso in esame. Ed infatti a pagina sei, penultimo capoverso nella sentenza in scrutinio, il collegio d’appello evidenzia le ragioni per le quali non ha ritenuto superata la presunzione di fittizietà dell’intest azione dei conti correnti a terzi, affermando invece essere nella sostanziale diponibilità del contribuente accertato, operando cioè il bilanciamento tra la verosimiglianza e inusualità della prassi, in rapporto alle giustificazioni del contribuente ritenute inattendibili. In questo senso, la sentenza in scrutinio si è attenuta ai principi di questa Suprema Corte, laddove è constante l’orientamento per cui in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, le indagini bancarie possono riguardare anche conti correnti intestati a terzi, ove si possa ritenere che siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali a scopo di evasione fiscale, in base ad indizi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, non desumibili dal solo vincolo familiare esistente tra il titolare del conto ed il contribuente accertato, essendo necessari ulteriori elementi idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, la riferibilità a quest’ultimo RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie registrate sul conto del familiare, privo di una situazione reddituale con esse compatibile (cfr. Cass. T, n. 34747/2023). Infatti, anche in tema IVA, l’accertamento fiscale svolto attraverso acquisizioni bancarie ai sensi dell’art. 51, comma 3, n. 7, d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo applicabile “ratione temporis”) non è limitato ai soli conti bancari o postali o ai libretti di deposito intestati al titolare dell’azienda individuale o alla società, ma, in presenza di elementi sintomatici (quali il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione, l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili o, come nella specie, l’essere quella oggetto di verifica un’impresa familiare) può essere esteso anche a quelli intestati a terzi (cfr. Cass. V, n. 1174/2021).
Neppure il secondo motivo può quindi essere accolto.
Con il terzo motivo di doglianza si propone censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 32, primo comma, del DPR numero 600 del 1973, nonché dell’articolo 2697 del codice civile, per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nella sostanza si lamenta che il collegio di secondo grado abbia escluso apoditticamente che fosse stata acquisita idonea prova contraria sulla rilevanza fiscale RAGIONE_SOCIALE movimentazioni finanziarie nei conti correnti. Viene cioè criticata l’affermazione della sentenza in scrutinio per cui sono state ritenute inverosimili le elargizioni liberali dei congiunti e ritenute compiacenti le dichiarazioni dei terzi.
Così come posto il motivo è inammissibile, poiché si concreta in una richiesta di rivalutazione del merito, con un bilanciamento dell’apporto probatorio RAGIONE_SOCIALE parti, teso a raggiungere un risultato diverso ed opposto a quello a cui è pervenuto il giudice di appello, con argomentazione logica secondo quanto già visto scrutinando i motivi precedenti che esulano dal perimetro d’indagine di questa Suprema Corte di legittimità. Né è possibile in questa sede esaminare le tavole sinottiche di cui alle ultime 10 pagine del ricorso, ove vengono analizzati un certo numero di movimenti bancari.
Ed infatti, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
Peraltro, in tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017; cfr., altresì, S.U. n. 8053/2014).
Pertanto, il ricorso è infondato e non può essere accolto. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.quattromilacento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/09/2024.