Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34651 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34651 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 13360-2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
NOME , c.f. CODICE_FISCALE –
Intimata
Avverso la sentenza n. 2322/04/2017 della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 27.10.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 12.09.2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata e dal ricorso emerge che L ‘Agenzia delle entrate notificò a Memokondaj Merita quattro avvisi d’accertamento, relativi agli anni d’imposta tra il 2008 ed il 2011, con cui rideterminò l’imponibile della contribuente ai fini Irpef, nonché ai fini Iva ed Irap, con conseguente pretesa di maggiori imposte e irrogazione di sanzioni.
Accertamento -Indagini bancarie -Prova -Consumazione del potere accertativo dell’AdE
Gli atti impositivi erano fondati sulla verifica dei conti correnti bancari cointestati alla RAGIONE_SOCIALE ed ai suoi famigliari (coniuge e figli), tenendo conto delle numerose operazioni di prelevamento e di versamento, laddove la contribuente aveva del tutto omesso la presentazione delle dichiarazioni dei redditi, così come i propri familiari.
Gli atti impositivi furono impugnati dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pistoia, che con altrettante decisioni (518/01/2014; 245/02/2016; 246/02/2016; 247/02/2016) accolse in parte le ragioni della contribuente, riducendo l’imponibile in riferimento alle sue condizioni di salute ed alla cointestazione dei conti correnti.
Entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, impugnarono le pronunce dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana, che, previa riunione dei ricorsi per le varie annualità, con sentenza n. 2322/04/2017 respinse gli appelli dell’ufficio ed accolse quelli della RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice regionale, dopo aver riconosciuto l’ammissibilità dei ricorsi proposti dalla contribuente dinanzi al giudice di primo grado, ha rilevato che l’Amministrazione aveva proceduto nei suoi confronti sul presupposto che essa svolgesse attività d’impre sa, quale sarta, circostanza tuttavia solo affermata dall’ufficio, ma in alcun modo dimostrata e d’altronde negata dalla parte. Ha pertanto annullato tutti gli atti impositivi.
L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, chiedendone la cassazione, sulla base di quattro motivi. La contribuente, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso resistere.
Nell’adunanza camerale del 12 settembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione de ll’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La sentenza sarebbe affetta da radicale vizio di nullità per l’apparenza della motivazione in riferimento all’eccepita inammissibilità dei ricorsi originari della contribuente.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali
elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). Si è anche affermato che, in sede di gravame, non è viziata la decisione quando motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, abbia espresso, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
RGN 13360/2018 Consigliere rel. NOME Nel caso di specie il giudice regionale ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi proposti dalla contribuente avverso gli atti impositivi, chiarendo che la condotta di questa non esprimeva in modo
inequivoco la volontà di rinunciare al contraddittorio endoprocedimentale, così che alcuna interruzione dei termini di sospensione si era verificata.
Ebbene, va rilevato che il motivo non è neppure comprensibile per come articolato, e cioè che cosa debba intendersi per tardività della proposizione dei ricorsi a seguito della rinuncia al procedimento di adesione instaurato con istanza ex art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218 del 1997, atteso che l’ufficio non ha affatto chiarito quando sono stati notificati gli avvisi di accertamento e quando sono stati proposti i ricorsi -ciò cui era obbligato ai fini della specificità del ricorso-. In ogni caso, se la cd. rinuncia alla definizione per adesione è ricondotta alla dichiarazione resa il 27 aprile 2015 dalla contribuente, secondo cui l’accordo con l’ufficio non era raggiunto perché essa insisteva nelle proprie ragioni, si tratta intanto di un motivo fondato su un ragionamento eccentrico e logicamente errato, dovendo altrimenti reputarsi che ogni volta che risulti la mancata definizione adesiva del rapporto giuridico d’imposta dall’ultimo contatto tra ufficio e contribuente , per ciò stesso dovrebbe ritenersi che si interrompono i termini di legge, il che non risponde né al tenore della disciplina, né ad una interpretazione logica della stessa; in secondo luogo le affermazioni della contribuente rispondevano al suo buon diritto di non concordare con la proposta definitoria offerta dall’amministrazio ne finanziaria, ma ciò non assume alcun significato, potendo l’ufficio sempre procedere, in fase di accertamento con adesione, ad una ulteriore proposta definitoria. Allora, il giudizio espresso dal collegio d’appello, che ha affermato come quella condotta non esprimeva in modo inequivocabile la volontà di interrompere il procedimento di accertamento con adesione, rappresentava una pertinente valutazione della questione, e con essa una motivazione sintetica ma esaustiva.
Nessuna apparente motivazione va dunque individuata nell’argomentazione della commissione regionale e per conseguenza il primo motivo va rigettato.
Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione regionale avrebbe erroneamente pronunciato ultra petita , per aver esaminato un ‘capo’ della sentenza di primo grado, mai dedotto od impugnato dalla parte interessata.
Anche questo motivo è privo di pregio, atteso che la difesa articolata dalla contribuente in sede d’appello era con evidenza indirizzata ad investire l’intero plesso motivazionale della sentenza del giudice di primo grado per quanto ad essa sfavorevole. Nell’appello le censure comprendevano pertanto anche i l passaggio riportato nel ricorso dell’ufficio all’ultimo capoverso di pag. 13. Si tratta peraltro di un passaggio della decisione non già destinato a definire un cd. capo di sentenza, ma semplicemente di una argomentazione giuridica a sostegno delle statuizioni finali sulla fondatezza delle prove. Esso, dunque non riguardava neppure un ‘ fatto ‘ specifico, potendo al più solo quest’ultimo considerarsi oggetto di acquiescenza, qualora non espressamente contestato. Il secondo motivo segue dunque la sorte del primo.
Con il terzo motivo l’Amministrazione finanziaria si è doluta della violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La commissione regionale avrebbe erroneamente ritenuto che le presunzioni poste a base dell’accertamento, fondate sugli esiti della verifica bancaria, non avessero valo re perché l’ufficio non aveva mai provato l’effet tivo esercizio dell’attività imprenditoriale della contribuente.
Con il quarto motivo l’ufficio ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La Commissione regionale avrebbe violato le regole applicative delle prove pres untive e quelle di riparto dell’onere probatorio.
I motivi, da trattare unitariamente perché connessi. Sono fondati.
Va rammentato che, secondo consolidata giurisprudenza, la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’ Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria; la legittimità della utilizzazione degli elementi risultanti dalle movimentazioni bancarie non è neppure condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio (Cass., 15 maggio 2013, n. 11624; 27 febbraio 2019, n. 5777).
Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e
RGN 13360/2018
gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass., 27 giugno 2011, n. 14041; 26 aprile 2017, n. 10249; 29 luglio 2016, n. 15857; 20 marzo 2019, n. 7758). Non è dunque sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass., 18 settembre 2013, n. 21303; 11 marzo 2015, n. 4829). Quello che viene richiesto al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dalla Amministrazione, è la analiticità della prova allegata. La sua specificità ed analiticità consente infatti di superare la presunzione di attribuzione dei versamenti e dei prelevamenti emergenti dal conto corrente dell’imprenditore -e dei versamenti del professionista-, perché alla specificità della prova contraria deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato dal contribuente ( ex multis , Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700).
Pertanto, dalla stessa lettura delle norme, secondo la consolidata interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità sull ‘art. 32 cit., così come su ll’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i dati emergenti dall’esame delle movimentazioni bancarie sui conti correnti , a cui l’Amministrazione finanziaria abbia avuto accesso, sono presuntivamente riconducibili ad operazioni economiche del contribuente, e come tali confluiscono direttamente nel suo imponibile. Peraltro, questa presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38 del d.P.R. n. 600 cit., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2 della medesima disciplina (cfr. Cass., 16
novembre 2018, n. 29572; 20 dicembre 2023, n. 35618; 8 aprile 2024, n. 9403).
Si tratta sempre, tuttavia, di presunzione legale relativa, che può essere contrastata dalla prova contraria allegata dal contribuente, cui la norma medesima riconosce il diritto di allegazione delle prove contrarie, così attuandosi una mera inversione dell’onere probatorio, anche logica e corretta, perché è indiscutibile che la dimostrazione della estraneità di una movimentazione bancaria ad operazioni economiche afferenti l’attività del contribuente richiede che chi ne è onerato si trovi in una posizione di ‘vicinanza’ alla prova, e pertanto può più agevolmente dimostrare il contrario di quanto presunto. Una volta allegata la prova contraria, al giudice si imporrà una valutazione altrettanto analitica degli elementi probatori ricondotti nel processo dal contribuente.
Ebbene, nel caso di specie la motivazione del giudice regionale ha disatteso i principi di diritto dispensati da questa Corte in materia. La Commissione regionale si è infatti limitata ad apprezzare la circostanza che l’ufficio non avesse allegato una prova dell’attività esplicata dalla contribuente, troncando pertanto ogni ulteriore vaglio delle prove presuntive legali (relative) raccolte in sede di verifica dall’ufficio accertatore.
Si tratta di conclusioni doppiamente errate, sia perché quel collegio ha ignorato che le regole probatorie relative agli accertamenti bancari rilevano per qualunque contribuente, anche se non se ne comprende con immediatezza l ‘attività lavorativa e la fonte del reddito, sia perché, secondo il riparto dell’onere probatorio, il contribuente ben potrà dimostrare l’irrilevanza di quelle operazioni o la loro corretta appostazione nelle dichiarazioni dei redditi già presentate.
I suddetti motivi vanno dunque accolti e per l’effetto la sentenza va cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Toscana, che in diversa composizione, oltre a liquidare le spese del processo di legittimità, provvederà al riesame dell’appello facendo applicazione dei principi di diritto illustrati.
P.Q.M.
Accoglie il terzo ed il quarto motivo, rigetta il primo ed il secondo. Cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della
RGN 13360/2018 Consigliere rel. NOME
Toscana, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 12 settembre 2024