Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4832 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4832 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23223/2021 R.G. proposto da:
STUDIO ASSOCIATO COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
nonché
NOME COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- nonché
NOME COGNOME domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro
tempre, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA – SEZ.DIST. CATANIA n. 1272/2021 depositata il 08/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
All’esito di indagini bancarie, per l’anno di imposta 2010, l’Ufficio recuperava a tassazione il maggior reddito accertato nei confronti dello Studio RAGIONE_SOCIALE. Nello specifico, le indagini si incentravano sui movimenti nei conti correnti intestati allo studio, dove confluivano i flussi finanziari dell’attività professionale ed anche i relativi compensi. Il confronto endoprocedimentale rendeva chiarezza di alcune riprese che erano annullate, rimodulando al ribasso la pretesa impositiva. Senonché le posizioni rimanevano distanti, donde erano emessi gli atti impositivi nei confronti dello Studio associato e, per l’effetto, dei singoli soci in proporzione alla percentuale di partecipazione. La parte privata adiva il giudice di prossimità, trovando parziale accoglimento delle proprie ragioni, donde interponevano appello tanto la parte privata che la parte pubblica, ciascuna per i capi di propria soccombenza. I ricorsi prendevano due numeri di ruolo distinti e non erano riuniti, non ostanti le richieste in tal senso, sfociando in due distinte sentenze, gemelle, di parziale accoglimento dell’appello erariale, entrambe oggetto di ricorso per cassazione su impulso della parte privata. In questa sede è all’esame la sentenza n. 1272/05/2021 che ha definito l’appello principale promosso dall’Agenzia e incidentale dal privato.
Ricorre la parte contribuente svolgendo sei motivi di censura, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti sei strumenti di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 29, 49 e 61 del decreto legislativo numero 546 del 1992, nonché dell’articolo 335 del codice di rito civile. Nella sostanza si lamenta l’omessa riunione di due diverse impugnazioni, in causa inscindibile, proposte avverso la medesima sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo si prospetta censura i sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 132 del medesimo codice, protestando nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente, laddove la commissione di secondo grado non indica, neppure vagamente, il criterio seguito al fine di distingue fra i versamenti bancari per i quali sarebbe stato assolto l’onere probatorio da parte dei contribuenti e per quali invece no.
Con il terzo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 del medesimo codice ovvero omessa pronuncia in ordine alla eccezione di insufficienza motivazionale degli atti impositivi.
Con il quarto motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 32, 38 e 39 del DPR numero 600 del 1973 e dell’articolo 54 del DPR numero 633 del 1972 ovvero ricostruzione della capacità contributiva attraverso una contestazione ‘per masse’.
Con il quinto motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per
omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nella sostanza si lamenta che i ricorrenti nei propri atti introduttivi del giudizio avessero sollevato l’eccezione di nullità e illegittimità degli avvisi di accertamento sottoscritti per delega da funzionario diverso dal direttore dell’Ufficio, lamentando l’inconsistenza della documentazione probatoria fornita dall’Ufficio.
Con il sesto ed ultimo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 del codice civile, dell’articolo 54, secondo comma, del DPR numero 633 del 1972, e dell’articolo 39 del DPR numero 600 del 1973 per non corretta applicazione del canone di riparto dell’onere della prova.
In via preliminare di rito dev’essere esaminata l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa erariale, laddove rileva che il ricorso chieda la cassazione della sentenza numero 5323/05/2018, attinente ad altro ricorso, anziché la numero 1272/05/2021 che riguarda il ricorso qui all’esame.
Dall’esame dell’atto si evince che in epigrafe sia individuata correttamente la sentenza impugnata e diffusamente esposta la corretta fattispecie nella parte narrativa e motiva dell’atto donde può ritenersi mero lapsus calami l’errata indicazione della sentenza nelle conclusioni dell’atto, anche in ossequio al principio di conservazione dell’atto che vede l’inammissibilità come sanzione residuale (cfr. Cass. S.U. n. 8950/2022). Il ricorso può pertanto essere scrutinato.
Il primo motivo non può essere accolto. Nella sostanza si lamenta l’omessa riunione di due diverse impugnazioni, in causa inscindibile, avverso la medesima sentenza.
Invero, la doglianza non è sostenuta da interesse ad agire, non vedendosene l’attualità che lo sostenga. Ed infatti, in disparte la natura inscindibile o litisconsortile necessaria, il contraddittorio non è leso quando si sia proceduto -come nel caso in esame- a
trattazione contestuale ed unitaria dei giudizi, secondo il principio del simultaneus processus (cfr. Cass. S.U. n. 14815/2008, Cass. V, n. 3789/2018). Donde il motivo non merita accoglimento.
Neppure il secondo motivo può essere accolto. Si lamenta motivazione apparente, laddove la commissione di secondo grado non indica, neppure vagamente, il criterio seguito al fine di distingue fra i versamenti bancari per i quali sarebbe stato assolto l’onere probatorio da parte dei contribuenti e per quali invece no.
Il motivo non si misura con il limite del sindacato motivazionale riservato a questa Suprema Corte di legittimità, traducendosi in un inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito. Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018).
Sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019).
Pertanto, il secondo motivo è inammissibile.
10. Il terzo motivo non può essere accolto. Vi si lamenta l’insufficienza motivazionale degli atti impositivi. Sul punto la giurisprudenza di questa Suprema Corte di legittimità è ormai consolidata. Ed infatti, in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie avviso di rettifica di modello unico, la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza dell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. (Sez. V, n. 30560 del 2017 (Rv. 646303 – 01; in termini analoghi Sez. V, n. 28060 del 2017, Rv. 646225). Come meglio si dirà trattando del motivo che segue, preme comunque fin da subito precisare che in tema di indagini bancarie ai sensi dell’articolo 32 del DPR numero 600 del 1973, l’onere della prova a carico dell’Ufficio è assolto con i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, senza quindi particolare onere di motivazione dell’atto impositivo che ne scaturisce.
Il terzo motivo deve quindi essere respinto.
11. Il quarto ed il sesto motivo possono essere trattati congiuntamente per evidenti elementi di connessione che li legano, attenendo alle modalità di indagine ed all’onere della prova. Con il quarto motivo, infatti, si critica la ricostruzione della capacità contributiva ‘per masse’, cioè per aggregazioni di movimentazioni bancarie, mentre con il sesto motivo si critica il riparto dell’onere della prova.
11.1. Occorre premettere che da tempo è consolidato l’orientamento per cui le movimentazioni bancarie si presumono operazioni connesse alla produzione di reddito, di talché l’Ufficio non è tenuto a dimostrare altro, mentre spetta al contribuente fornire la prova analitica per singola posta del suo carattere non imponibile o già computato.
In particolare, occorre richiamare quanto già statuito in più occasioni e qui di seguito nuovamente esposto, anche alla luce dell’intervento del Giudice delle leggi.
Infatti, in tema d’imposte dirette, la presunzione legale (relativa) di disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari ex art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di redditi d’impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, indipendentemente dalla categoria reddituale a cui siano riferibili i proventi accertati, fermo restando che, in considerazione della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo esclusivamente nei confronti dei titolari di redditi d’impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti (così Cass. T., n. 35618/2023), pertanto, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (cfr. Cass. V, n. 29572/2018). Peraltro, trattandosi qui dell’anno di imposta 2010, giova precisare che in tema di prelevamenti e versamenti sui conti correnti bancari, gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014 – che ha ritenuto irragionevole e
contraria al principio di capacità contributiva la presunzione che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo sia a sua volta produttivo di reddito – retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (cfr. Cass. V, n. 2250/2021).
11.2. Nel caso concreto, trattandosi di studio professionale, restano rilevanti i versamenti, nei termini di cui sopra. Peraltro, lo stesso Ufficio ha rimodulato i versamenti tenendo conto di quanto ricevuto quale provvista per assolvere gli oneri tributari nei confronti dei clienti.
Tuttavia, attesa la già richiamata generalità di rilevanza delle indagini bancarie, occorre ricordare che già da tempo è stato affermato come l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, ai sensi degli artt. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo, atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (cfr. Cass. V, n. 5135/2017), precisandosi anche di recente che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli
elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (così Cass. T., n. 2928/2024).
11.2.1. In definitiva, nel caso in esame, le risultanze dei conti correnti costituiscono motivazione dell’atto impositivo e spettava alla parte contribuente superare la presunzione legale (semplice) per cui ogni movimento bancario è indice di attività imponibile. La diffusa motivazione della sentenza in scrutinio, analitica per l’associazione e ciascun associato, esamina e bilancia il diverso apporto probatorio, giungendo ad un risultato che esula dal perimetro di cognizione di questa Suprema Corte di legittimità.
I motivi quarto e sesto non possono quindi essere accolti.
12. Rimane da esaminare il quinto motivo, dove si lamenta omissione di pronuncia circa la censura di illegittima sottoscrizione dell’atto impositivo da parte di soggetto delegato da persona diversa dal Direttore dell’Ufficio. Precisamente (pag. 13, secondo cap overso del ricorso per cassazione), la parte contribuente lamenta che i documenti offerti in risposta all’eccezione siano inconferenti. Il motivo, così come proposto, è in parte inammissibile, in parte infondato. Occorre richiamare il principio generale per cui non è omissione di pronuncia la statuizione incompatibile con le richieste di parte e che la delega di firma non è delega di funzione, attenendo a modalità organizzative interne, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015.
Nel dettaglio, è stato affermato che non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della
sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).
12.1. Per altro verso, La delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni, in quanto realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna con l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che l’attuazione di detta delega di firma – risultando inapplicabile la disciplina dettata per la delega di funzioni di cui all’art. 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 avviene anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato che consente la successiva
verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (così, Cass. T., n. 21839/2024, ma già Cass. V, n. 8814/2019).
Il motivo non può dunque essere accolto.
In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. cinquemila/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.