Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19714 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
Avviso di accertamento -Irpef, Iva, Irap -indagini bancarie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8758/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato ,
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. SICILIA, n. 160/2016, depositata il 19/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un controllo nei confronti di NOME COGNOME, relativo agli anni di imposta dal 2006 al 2008, riscontrava che quest’ultimo aveva una capacità di spesa e incrementi patrimoniali non supportati dai redditi dichiarati, anche tenendo conto dell’eventuale apporto degli altri componenti della c.d. famiglia fiscale. Per l’effetto, acquisita documentazione fiscale e finanziaria, prima notificava al contribuente un questionario per consentirgli di fornire chiarimenti e successivamente notificava tre atti impositivi. Per il 2008, oggetto del presente giudizio, l’Ufficio accertava un maggior imponibile ai fini Irpef, Irap ed Iva.
Avverso l’atto impositivo il contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Palermo che lo dichiarava inammissibile in quanto tardivo. La CTR, pronunciandosi sull’appello del contribuente, con la sentenza di cui all’epigrafe, ritenuto ammissibile il ricorso, lo accoglieva solo parzialmente, rideterminando l’imponibile in misura inferiore rispetto a quanto accertato dall’Ufficio.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti del contribuente che si difende a mezzo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto giustificate le movimentazioni dei conti correnti bancari, oggetto di contestazione, sulla scorta delle mere dichiarazioni di congiunti e conoscenti prodotte nel giudizio. Osserva che le norme che governano gli accertamenti fondati su indagini bancarie pongono a carico del contribuente l’onere della prova e che quest’ultimo non può ritenersi
soddisfatto mediante allegazioni di mere dichiarazioni o mediante il riferimento a circostanze generiche, occorrendo una prova specifica. Deduce, per l’effetto, l’errore commesso dalla CTR nel ritenere, per un verso, che il contribuente avesse provato le proprie allegazioni producendo la documentazione che era riuscito a reperire -consistente, in realtà, in mere dichiarazioni di terzi -e, per altro verso, che le contestazioni dell’Ufficio fossero generiche e prive di motivazione. Ribadisce, pertanto, che la dichiarazione di liberalità resa dalla madre del contribuente era insufficiente ad assurgere a ragno di prova, così come le ulteriori giustificazioni rese quanto ai prelievi asseritamente effettuati a titolo personale; ai versamenti asseritamente derivanti da disponibilità personali o da precedenti prelievi personali.
2 . Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibi lità sollevata in controricorso dal contribuente il quale assume che il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, attinge la valutazione di merito, sottratta al controllo di legittimità, ed è privo del requisito dell’autosufficienza.
2.1. Le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., quale corollario del requisito di specificità dei motivi -anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 -non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18/03/2022, n. 8950).
2.2. Il ricorso contiene tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte ed attinge il nucleo centrale della decisione impugnata che ha ritenuto parzialmente giustificare le movimentazioni recuperate a tassazione.
2.3. Le censure mosse, infine, non hanno natura meritale in quanto attingono la portata dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 , con particolare riferimento alla ripartizione dell’onere della prova ed all’indagine demandata al giudice in presenza di accertamento di un maggior reddito derivante da movimentazioni bancarie non giustificate.
Il motivo è anche fondato.
3.1. Va innanzitutto rammentato che la presunzione legale della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti (tra le più recenti Cass. 0/04/2024, n. 9403).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, in virtù della presunzione stabilita dall ‘art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 -che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno considerati come elementi positivi di reddito se
questo non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (Tra le più recenti, Cass. 28/04/2022, n. 13236, Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 03/03/2021, n. 5788).
A propria volta, il contribuente che voglia superare la presunzione ha l’onere di fornire, non una prova generica, bensì una prova analitica, idonea a dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione. Tale prova può essere data in due modi: o dimostrando che ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni; oppure dimostrando che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili (Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 18/09/2013, n. 21303).
Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che è onere del contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (Cass. 30/12/2015, n. 26111).
Questa conclusione non contrasta con l’art. 2697 cod. civ. in quanto l’emersione di movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle dichiarazioni del contribuente è un fatto in relazione al quale solo quest’ultimo può dimostrare che i conti stessi non siano fiscalmente rilevanti o che, comunque, non diano luogo a recuperi (Cass. 19/02/2001, n. 2435).
3.2. Quanto al valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi, questa Corte ha chiarito che anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta -in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost. -la possibilità d’introdurre nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi
in sede extraprocessuale, e, quindi, anche dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà. Queste, tuttavia, hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate -non potendo costituire da sole il fondamento della decisione -nel contesto probatorio emergente dagli atti; spetta, pertanto, al giudice tributario il potere-dovere di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni, comportando la corretta applicazione del principio della libera valutazione delle prove, l’obbligo di confrontare le prove raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con eventuali altri elementi acquisiti. (Cass. 30/10/2024, n. 28022, Cass. 27/02/2020, n.5340, cit.; conformi Cass. Cass. 16/03/2018, n. 6616 e Cass. 21/01/2015, n. 960). Tali documenti, e le risultanze da essi emergenti, al pari delle dichiarazioni di terzi raccolte e prodotte dall’Ufficio, rilevano quindi quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. 16/03/2018, n. 6616; Cass. 07/4/2017, n. 9080; Cass. 05/04/2013, n. 8639).
3.3. La sentenza non è conforme a questi principi.
La CTR si è limitata ad affermare che il contribuente aveva fornito la documentazione che era riuscito a reperire -ivi incluse, secondo quanto riferito nella parte espositiva, dichiarazioni rese da terzi, sostitutive di atto notorio -senza procedere ad un controllo dettagliato delle giustificazioni fornite, con riferimento ad ogni movimentazione contestata dall’Ufficio e senza attribuire alle dichiarazioni rese da terzi il valore meramente indiziario loro proprio. Così motivando, tuttavia, ha male interpretato la portata dell’onere probatorio gravante sul contribuente ed ha concluso affermando che l’accertamento andava ridotto alla sola somma di euro 21.825,00, che riteneva l’unica rimasta
priva di giustificazione, senza precisare quale fosse la prova contraria offerta con riferimento alle ulteriori movimentazioni intercettate dall’Ufficio e come quest’ultima dovesse essere valutata.
Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025.