Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20847 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20847 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15649/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Milano
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente – avverso la sentenza n. 3696/21/2018 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 5.9.2018, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 4.6.2025 dal Cons. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la controricorrente Agenzia delle Entrate l’Avvocatura dello Stato in persona dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
IRPEF- avviso di accertamentoindagini bancarie- art. 12, comma 7, l. 212/2000 –
1.COGNOME NOME impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Milano per l’anno di imposta 2010, a seguito di indagini bancarie autorizzate dalla Direzione Regionale, con il quale veniva accertato un maggior reddito Irpef, con conseguente recupero delle maggiori imposte a titolo di Irpef, addizionale Irpef comunale ed addizionale Irpef regionale, oltre sanzioni ed interessi.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, rigettava il ricorso.
3.La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), adita dal soccombente, riassunti i motivi di appello, respingeva il gravame.
4.Avverso la precitata sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso, affidato a sei motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione d ell’art. 32, comma 4 d.P.R. 600/73 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c. », il ricorrente lamenta che la C.T.R, avrebbe dovuto rigettare l’eccezione di inammissibilità della produzione della documentazione richiamata nell’atto di appello, già prodotta in primo grado, sollevata dall’Agenzia delle Entrate, posto che costituiva causa non imputabile la difficoltà di reperire la mole di documentazione necessaria ed inoltre in quanto l’Ufficio non aveva richiesto alcuno specifico documento nel corso degli incontri, sicchè avrebbe dovuto ammettere i due estratti di conto corrente indicati a pagina 43 del ricorso di primo grado.
1.1. Il motivo è infondato.
Il ricorrente non ha indicato nel ricorso di primo grado nè si è tampoco offerto di provare l’impedimento, dovuto a forza maggiore o ad altra causa non imputabile, a produrre documentazione giustificativa in sede amministrativa, ai sensi del comma 4 dell’art.
32 del d.p.r. 600/73. La semplice difficoltà di reperire i documenti non integra di per sè forza maggiore o comunque causa non imputabile. Inoltre, come correttamente affermato dalla C.T.R., pretendere che l’ufficio debba indicare al contribuente che tipo di documenti produrre per giustificare i singoli movimenti bancari produrrebbe l’effetto di invertire l’onere della prova, in contrasto con la scelta espressa dal legislatore. La C.T.R., nel ritenere inammissibile la produzione documentale, si è pertanto conformata al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la mancata esibizione, in sede precontenziosa, di atti e documenti in risposta agli inviti dell’Amministrazione finanziaria, ex art. 32, comma 1, nn. 3 e 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, impedisce di prenderne in considerazione il contenuto a favore del contribuente ed è sanzionata con la loro inutilizzabilità, che consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, fatta salva la possibilità dello stesso contribuente di depositare la documentazione in sede giurisdizionale in allegato all’atto introduttivo e di dichiarare di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile» (da ultimo, ex multis , Cass. n. 20028/2025, Cass. n. 26133 del 07/10/2024; Cass. n. 16757 del 14/06/2021.
2.Con il secondo motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 della legge 212/2000, in combinato disposto con l’art. 32, comma 1, n. 7 del d.p.r. 600/73, nonché con l’art. 70 del d.p.r. 600/73 e con gli articoli 41 e 52 della Carta di Nizza, art. 6 CEDU e con gli articoli 111, 117, 3, 24 e 27 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» , il ricorrente rimprovera alla C.T.R. di non aver valorizzato l’obbligo di imparzialità dell’azione amministrativa sancito dalla Costituzione e di essersi contraddetta, avendo, da un lato, affermato che la
produzione documentale di primo grado non era consentita, ai sensi del comma 4 dell’art. 32 e, dall’altro, che esso appellante non aveva fornito la prova di resistenza.
Il motivo è infondato.
2.1.L’avviso di accertamento impugnato non è stato emesso a seguito di accesso, ispezione o verifica fiscale presso i locali del contribuente, ma si è trattato di un accertamento cosiddetto ‘a tavolino’, preceduto dall’invio di un questionario con richiesta di esibizione di documentazione, per come incontestato.
La C.T.R. ha adeguatamente motivato in merito all’inapplicabilità dell’obbligo di cui all’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, in conformità con il consolidato orientamento di questa Corte in tema di contraddittorio endoprocedimentale in caso di accertamenti ‘a tavolino’. Infatti, questa Corte ha più volte statuito, a partire dalla sentenza a Sezioni unite n. 24823/2015, che in tema di tributi armonizzati (es. IVA), la eventuale violazione del diritto di difesa non comporta, per il principio di effettività, che una decisione adottata in spregio dei diritti della difesa venga annullata in ogni caso, ma solo laddove detta violazione avrebbe eziologicamente determinato l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo. Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. «prova di resistenza»: CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C130/13, punti 78 e 79). E’, quindi, necessario che il contribuente deduca che il rispetto ex ante del contraddittorio avrebbe messo il contribuente in condizione di giungere a un diverso esito in sede di emissione dell’atto impositivo e solo in caso di prova di tale circostanza e di quali sarebbero questi diversi esiti, la violazione dei diritti della difesa comporterebbe l’annullamento
dell’atto impositivo medesimo (CGUE, 18 giugno 2020, RQ, C -831/18 P, punto 105; CGUE, 4 giugno 2020, CS C.F., C-430/19, punto 35; CGUE, 4 giugno 2020, SEAE, C-187/19 P, punto 69; CGUE, 20 dicembre 2017, Prequ, C27616, punto 62; ex multis , Cass., Sez. V, 15 dicembre 2022, n. 36852).
Quanto, invece, alle imposte dirette, di cui si controverte nel caso in esame, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale vigente ratione temporis , un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823).
2.2.In secondo luogo, non si ravvisa alcuna reale contraddizione relativamente alla mancata offerta della prova di resistenza, riferita alla questione dell’obbligo del contraddittorio, posto che tale onere, per come chiarito nella sentenza delle Sezioni Unite n. 24823/2015, richiamata dalla stessa C.T.R., riguarda esclusivamente i tributi armonizzati, estranei all’oggetto del contendere, atteso che nella fattispecie si controverte solo di IRPEF e relative addizionali.
Nessuna contraddizione si ravvisa poi nel ritenere non assolto l’onere della prova in merito alle movimentazioni bancarie oggetto di contestazione per effetto dell’inammissibilità della produzione documentale effettuata in primo grado, trattandosi all’evidenza di un ragionamento perfettamente logico e consequenziale.
3.Con il terzo motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, commi 1 e 3 d.p.r. 600/72», si deduce che la C.T.R. ha errato a ritenere idoneamente provato il conferimento della delega al sottoscrittore dell’atto impugnato, posto che la delega era stata rilasciata da soggetto che non rivestiva la qualifica di Direttore provinciale, ma quella diversa di Capo Ufficio Controlli, a ciò delegato dal Direttore Provinciale. Dunque la C.T.R. aveva soltanto supposto che il Delegante Direttore provinciale avesse effettivamente delegato il dott. NOME COGNOME a sottoscrivere
l’atto. Inoltre, nell’atto prodotto non erano indicate le ragioni della delega e il termine di validità.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, il ricorrente, in violazione del canone dell’ autosufficienza sancito dall’art. 366 c.p.c., non trascrive integralmente il contenuto dell’atto di conferimento delle deleghe prot. n. 2015/140347 citato, precludendo a questa Corte la preliminare verifica del suo contenuto effettivo.
Inoltre, non prende posizione sull’affermazione della C.T.R. secondo cui era stata prodotta, oltre alla copia della delega di firma sopra citata, anche ‘ la documentazione attestante la delega al Capo Ufficio Controlli ‘ ossia al soggetto delegante.
In ogni caso, si intende dare continuità all’indirizzo di questa Corte, secondo cui la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, ha natura di delega di firma e non di funzioni -poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa ( Cass. 19/04/2019, n. 11013; in senso conforme, Cass. 08/11/2019, n. 28850, anche in relazione alla necessità di tenere distinta l’ipotesi disciplinata nell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 rispetto alla delega di funzioni di cui all’art. 17, comma 1 -bis, d.lgs. n. 165 del 2001). Inoltre, in relazione ai limiti di durata della delega occorre richiamare quanto precisato da questa Corte nella sentenza n. 8814/2019, secondo cui la delega per la sottoscrizione
dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto.
4.Con il quarto motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente, in combinato disposto con l’art. 32 del D.P.R. 600/73 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», si addebita alla C.T.R. di aver erroneamente ritenuto non necessaria l’esibizione o produzione dell’autorizzazione della Direzione Regionale della Lombardia asseritamente rilasciata in data 30.5.2013, citata nell’atto impugnato, senza considerare che la mancata allegazione di tale autorizzazione aveva impedito di conoscere le motivazioni che avevano spinto l’amministrazione a compiere gli accertamenti bancari nei suoi confronti, integrando pertanto un difetto di motivazione dell’atto impugnato.
Il motivo è infondato.
4.1. Il potere di svolgere accertamenti bancari trova fondamento direttamente nella legge ossia nell’art. 32 del d.p.r. 600/73, sicchè non è necessario addurre alcuna motivazione sul punto per giustificare l’avvio dei controlli. La decisione qui scrutinata è conforme al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui in tema di indagini bancarie esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti interni tra uffici; pertanto, dalla sua mancata allegazione ed esibizione non discende l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, poiché l’illegittimità dell’atto può derivare solo
dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4853; Cass. 28 maggio 2018, n. 13353, Cass. 9645/2024, Cass. 12721/2025, (Cass. 10675/2010, 16874/2009 ecc.), pregiudizio concreto non allegato nel caso in esame.
5. Con il quinto motivo, rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 del decreto legislativo n. 74/2000 ( divieto di ne bis in idem), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.» il ricorrente addebita alla C.T.R. di non aver considerato che nell’avviso di accertamento si dava atto dell’intenzione di notiziare la Procura della Repubblica, integrando la condotta del contribuente uno dei reati previsti dal decreto legislativo n. 47/2000, sicchè errata era l’affermazione secondo cui ‘ non era stata prodotta alcuna documentazione relativamente al procedimento penale’.
La doglianza è infondata.
L’operatività del divieto di ne bis in idem , di matrice eurounitaria, presuppone la sussistenza di vari requisiti, fra cui la definitività di uno dei due procedimenti (penale o tributario) ed il ricorrente non ha pacificamente allegato né documentato che il procedimento penale fosse stato instaurato nè tanto meno giunto ad una sentenza di condanna.
6.Con il sesto ed ultimo motivo, deduce « violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/92 in combinato disposto con gli art. 2697, 2727, 2729 c.c., con l’art. 32, comma 7 e 33, commi 2 e 3 del d.p.r. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Il motivo è inammissibile.
6.1.Come già statuito a proposito del primo motivo di ricorso, la C.T.R. ha legittimamente ritenuto inutilizzabile la documentazione prodotta dall’appellante in primo grado, ragione per cui tali documenti non possono rientrare in gioco attraverso la deduzione della violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, che la
C.T.R. ha invece pedissequamente osservato, esaminando e valutando solo la documentazione ritualmente e tempestivamente prodotta dal contribuente (punti 2.8 e 2.9 della motivazione), in ossequio ai principi sul riparto dell’onere della prova esattamente richiamati.
E’ stato infatti in proposito più volte chiarito (da ultimo, Cass. 12721/2025) che la presunzione ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Ufficio di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, cui è fatta salva la prova contraria (Cass. 15 maggio 2013, n. 11624; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5777). Peraltro, quanto al concreto atteggiarsi dell’onere probatorio, quello dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 cit., attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica per ogni singolo versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (Cass. 27 giugno 2011, n. 14041; Cass. 26 aprile 2017, n. 10249; Cass. 29 luglio 2016, n. 15857; Cass. 20 marzo 2019, n. 7758) Non è dunque sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. 18 settembre 2013, n. 21303; Cass. 11 marzo 2015, n. 4829).
7.Il ricorso va conclusivamente rigettato.
8.Spese secondo soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4.6.2025.