Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29096 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29096 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/11/2025
Ires-Irpef-Indagini bancarie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3324/2024 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di ex socia della estinta società RAGIONE_SOCIALE, con l’AVV_NOTAIO ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore ;
–
intimata
–
per la cassazione della sentenza resa dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, n. 7159/10/2023, pronunciata il 17/07/2023 e depositata il 30/08/2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal relatore consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME impugnavano con separati ricorsi gli avvisi di accertamento con cui erano stati loro contestati, per l’anno d’imposta 2012, rispettivamente maggiori Ires, Irap e Iva nonché maggior Irpef distribuita all’unica socia , all’esito di indagini bancarie sui conti correnti della società, di NOME COGNOME e del coniuge di quest’ultima , NOME COGNOME.
La Commissione tributaria provinciale di Messina rigettava i ricorsi con separate sentenze.
2. La società e la socia proponevano distinti atti di appello; la Corte di giustizia di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, ove NOME COGNOME si costituiva anche quale ex unica socia della società estinta e quindi quale successore, riuniti gli appelli, li rigettava.
In particolare, la Corte di giustizia, dopo aver respinto alcune doglianze preliminari, riteneva che, ai fini della verifica della movimentazione bancaria dell’imprenditore o del professionista, possono venire in rilevo anche i conti intestati a terzi soggetti, a maggior ragione i familiari, quando dagli elementi indiziari raccolti, si possa ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, oppure per imbastire una vera e propria gestione extracontabile a scopo di evasione fiscale o, più in generale, a ricevere, in maniera irregolare, proventi dell’impres a, e che nel caso di specie tali elementi erano presenti alla luce della confusione contabile e dell’ingerenza del marito della contribuente nella gestione della società, mentre le parti private non avevano dato prova contraria atta a dimostrare l’assoluta autonomia e indipendenza della gestione dei singoli conti correnti rispetto alla gestione societaria.
Ciò premesso, evidenziava che in virtù della presunzione di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600/19 73 (e di cui all’art. 51 , comma 2, d.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA) -che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729
c.c. per le presunzioni semplici -i versamenti ed i prelevamenti effettuati su conti correnti bancari riferibili all’impresa vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività imprenditoriale, salvo che questi non dimostri di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile, oppure la loro estraneità alla produzione del reddito, mentre « l’appellante, né in sede di contraddittorio, né -ammesso che la prova fosse legittima -successivamente, in sede giurisdizionale, ha spiegato la provenienza, la natura e la destinazione degli importi sopra descritti. In sede di contraddittorio, come sopra elencato, si è genericamente fatto riferimento ad una provvista fornita da terzi, senza spiegare e tanto meno documentare la stessa. Ancor più vaghe e elusive le osservazioni offerte in sede giurisdizionale, ove si fa riferimento a generici proventi di un’attività di tabaccaio, senza, tuttavia, che le singole poste e le relative movimentazioni siano state documentate (tale, certamente, non può essere un prospetto privo di qualunque valore probatorio, e, comunque, per nulla riferibile alle operazioni contestate)». Concludeva ritenendo l’esistenza di una sistematica attività di evasione fiscale «pienamente confermata dalle anomalie riscontrate, oltre che dal constatato sistematico ricorso a manodopera non denunciata e, evidentemente, retribuita in nero, anomalie che ben avrebbero legittimato il ricorso ad una assai più ampia ricostruzione induttiva dei ricavi e dei redditi».
Contro tale sentenza NOME COGNOME, in proprio e quale ex socia della RAGIONE_SOCIALE, propone ricorso affidato a tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE non svolge attività difensiva.
Prodotta documentazione ai sensi dell’art. 372 c.p.c., i l ricorso è stato fissato ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c. per l’adunanza del 10/09/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre dare atto che, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., parte ricorrente ha tempestivamente depositato documentazione costituita dalla sentenza n. 8031/2023 depositata in data 4/10/2023, emessa dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, per analoga vicenda relativa alla società per l’anno d’imposta 2014, invocando, alla luce del passaggio in giudicato della stessa, risultante da specifica attestazione in tal senso, l’autorità di giudicato nel giudizio in esame.
1.1. L’istanza è infondata.
In primo luogo, l’esistenza del giudicato non è compiutamente provata, non emergendo dagli atti prodotti la sicura identità di tutti gli elementi della questione di fatto, con riferimento alla identità dei conti correnti, dell’attività di indagine sui medesimi e della mo tivazione sull’estensione della stessa ai conti di terzi.
Ma soprattutto la CTR, nella decisione prodotta ed in mancanza di produzione del relativo ricorso, appare evidenziare un vizio di motivazione dell’atto che, come è noto, è inidoneo a determinare giudicato per altro anno di imposta (Cass. n. 34656/2019).
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., la ricorrente deduce la violazione dell’art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 51, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 633/1972, per avere i g iudici dell’appello affermato che la normativa in tema di indagini bancarie introduce una presunzione legale, a fronte della quale il contribuente è onerato della prova contraria laddove invece il dato testuale RAGIONE_SOCIALE disposizioni applicate depone nel senso che si tratti di elementi presuntivi semplici e quindi dei quali occorre riscontrare gravità, precisione e concordanza.
2.1. Il motivo è infondato, in quanto, senza addurre alcun argomento contrario, si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale gli artt. 32, comma 1,
n. 2) del d.P.R. n. 600/1973 e 51, comma 2, n. 2) del d.P.R. n. 633/1972 pongono una presunzione legale in favore dell’Erario, in virtù della quale all’Amministrazione Finanziaria è consentito riferire ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente (cfr. Cass. n. 21249/2025; Cass. n. 161/2025; Cass. n. 28121/2022; Cass. n. 13112/2020; Cass. n. 16600/2018).
La presunzione, che in quanto di natura legale non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729, primo comma, c.c. per le presunzioni semplici, può essere superata dal contribuente soltanto mediante una prova analitica e specifica della non imponibilità RAGIONE_SOCIALE singole movimentazioni bancarie (cfr. Cass. n. 3782/2025; Cass. n. 22321/2024; Cass. n. 34876/2023).
3. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., si deduce la violazione dell’art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 600/1973; dell’art. 51, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 633/1972; dell’art. 2729 c.c.; dell’art. 7, comma 5 -bis , del d.lgs. n. 546/1992, per avere i g iudici dell’appello ritenuto riferibili alla società i conti correnti intestati alla socia ed al coniuge di NOME, in assenza dei presupposti ritenuti necessari a tal fine dal diritto vivente; la giurisprudenza di legittimità infatti ritiene che ciò sia possibile a condizione che risulti provata dall’amministrazione finanziaria la natura fittizia dell’intestazione o comunque la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, anche tramite presunzioni semplici, purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, da valutare sia singolarmente che complessivamente, non essendo sufficiente il mero vincolo di parentela o di coniugio.
Nel caso di specie la Corte di secondo grado avrebbe quindi errato laddove ha ritenuto: a) la riferibilità alla società dei conti di COGNOME RAGIONE_SOCIALE unicamente sulla base della qualità di socia unica e
amministratore della società, in assenza di ulteriori elementi indiziari; b) la riferibilità alla società dei conti del marito, COGNOME NOME, in base a circostanze che non possiedono i requisiti di gravità, precisione e concordanza, tali non essendo né la delega in suo favore per rappresentare la società in corso di verifica né la dichiarazione resa dal COGNOME di avere versato sul proprio conto provviste fornitegli dalla moglie (essendo tali trasferimenti del tutto frequenti nell’ambito dei rapporti di coniugio) né la circostanza che il COGNOME abbia dichiarato redditi inferiori alle movimentazioni rilevate sui propri conti, proprio perché tali movimentazioni risentivano dei già richiamati trasferimenti provenienti dalla moglie.
3.1. Il motivo non è fondato.
In tema di accertamento IVA relativo a società di capitali, l’art. 51, secondo comma, n. 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo vigente ratione temporis ), ed analogamente l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, in tema di imposte dirette, nel prevedere che gli Uffici finanziari e la Guardia di finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non pongono alcuna limitazione all’attività di indagine, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società RAGIONE_SOCIALE somme movimentate sui conti intestati all’amministratore, ai soci o ai loro familiari, ben possono essere giustificati da elementi sintomatici evidenziati dalla peculiare fattispecie, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le somme rinvenute sui conti dell’amministratore, o del di lui coniuge (e socio), non siano allo stesso riferibili. Si è precisato, quindi, che la disposizione non limita l’acquisizione della documentazione ai soli conti bancari formalmente intestati al contribuente sottoposto ad accertamento, sicché si deve ritenere estesa anche ai conti correnti intestati a terzi soggetti, ma alla
condizione che, pur in mancanza della formale titolarità, il conto sia nella disponibilità di fatto del contribuente sottoposto a verifica fiscale.
L’onere probatorio relativo alla presenza di tali condizioni formale intestazione ovvero disponibilità di fatto del conto -compete all’Ufficio; ove il medesimo sia stato assolto, opera la presunzione legale stabilita dall’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 secondo cui i versamenti e i prelievi devono essere considerati proventi dell’attività svolta dall’interessato, con spostamento dell’onere probatorio sul contribuente, al quale spetta fornire la prova contraria, dimostrando che si tratti di somme comprese nella determinazione del reddito o che non abbiano rilevanza reddituale. Pertanto, in caso di conti bancari di cui sia formalmente titolare il contribuente, la presunzione che gli importi versati siano frutto di compensi è immediatamente applicabile; nel caso di conti intestati a terzi, l’Ufficio, al fine di avvalersi della presunzione legale in oggetto, deve fornire la previa prova, anche per presunzioni (purché qualificate), che il conto bancario intestato a terzi sia nell’effettiva d isponibilità del contribuente, al quale pertanto sono attribuibili le movimentazioni fiscalmente rilevanti (Cass. n. 5529/2025; Cass. n. 25663/2022; Cass. n. 32974/2018; Cass. n. 5849/2012; Cass. n. 11145/2011; Cass. n. 374/2009).
La prova a carico dell’ufficio può avere anche carattere presuntivo purchè qualificato; Cass. n. 32974/2018 ha precisato pertanto che l’esistenza di stretti vincoli familiari (nella specie era un rapporto di coniugio) tra il contribuente accertato ed il terzo titolare del conto, per assurgere a prova presuntiva qualificata della riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato RAGIONE_SOCIALE movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, deve essere accompagnata dalla indicazione di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è
incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettiva del contribuente accertato.
Ora, nel caso di specie, la CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, dando conto, con adeguata motivazione, degli elementi che inducevano a ritenere come riferibili alla società i conti della sua socia e amministratrice unica e del marito di NOME, direttamente interessato nello svolgimento dell’attività di impresa; ha infatti evidenziato che «la società, costituita per gestire un’attività di impresa consistente in un esercizio per la somministrazione di alimenti, oltre ad essere unipersonale (con socio unico COGNOME NOME, che ne era anche amministratore), veniva gestita in maniera assolutamente familiare, come riscontrato dai verificatori, con il diretto coinvolgimento personale della COGNOME e del coniuge di NOME COGNOME NOME. Del resto, la contaminazione tra i conti e le attività era confermata dal medesimo COGNOME, il quale, per giustificare taluni versamenti su conto intestato allo stesso, faceva riferimento ad una non meglio giustificata provvista fornita dalla moglie. Lo stesso COGNOME, inoltre, a conferma del diretto e pieno coinvolgimento nell’attività societaria e di impresa, veniva formalmente delegato dalla COGNOME a rappresentare la società nel corso RAGIONE_SOCIALE operazioni di verifica. Lo stesso COGNOME, del resto, dichiarava redditi significativamente inferiori alla movimentazione finanziaria rilevata sui conti intestati al medesimo, con la ovvia conseguenza che detta movimentazione non poteva essere riferibile ad attività lecitamente svolte dallo stesso e regolarmente dichiarate. Appare, pertanto, pienamente ragionevole ritenere che tra i conti della società, quelli della socia unica ed amministratore e quelli del coniuge di NOME, direttamente e pienamente coinvolto nella gestione della società, nonché privo di autonome rilevanti fonti di reddito, vi fosse una situazione di confusione, tale da indurre a concludere che parte dei
proventi formalmente riferibili alla società venissero versati sui conti della socia e del marito di NOME».
Il motivo, invero, neanche censura il principio di diritto affermato ed applicato dalla CTR ma mira a censurare la idoneità presuntiva degli elementi evidenziati dalla stessa a sostegno della riconducibilità dei conti formalmente intestati alla socia e amministratrice unica, NOME COGNOME, e al di lei coniuge.
Tale doglianza incontra però il limite entro cui possa, in sede di legittimità, censurarsi la violazione RAGIONE_SOCIALE norme in tema di presunzioni, ammissibile quando il giudice di merito abbia ritenuto un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 c.c., fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti o viceversa attribuito efficacia a fatti privi di tali caratteristiche, e, quindi, incorrendo per tale ragione in una sua falsa applicazione.
Ma il motivo, sul punto, si risolve in un’astratta e generica critica all’operato della Corte di giustizia e alle sue valutazioni di merito.
4. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., si deduce la violazione degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4), del d .lgs. n. 546/1992; dell’art . 132, secondo comma, n. 4), c.p.c.; dell’art. 118 disp. att. c.p.c. ; dell’art. 115, primo comma, c.p.c., per avere i g iudici dell’appello ritenuto inidonea la documentazione prodotta e le giustificazioni addotte dal contribuente, sulla base di una motivazione apparente ed emessa in violazione del principio di non contestazione; infatti: 1) gli accrediti non giustificati di cui ai conti correnti della COGNOME erano dovuti al fatto che si trattava di conti che erano usati sia ai fini privati, sia ai fini commerciali della signora COGNOME, in quanto titolare di un tabacchino con incassi annui di circa un milione di euro; 2) gli accrediti non giustificati di cui ai conti
correnti del COGNOME derivavano da provviste fornite dalla moglie con i predetti utili. Si evidenzia che a supporto della doglianza veniva prodotto in giudizio il registro degli incassi dell’attività di tabaccheria condotta da NOME COGNOME.
4.1. Il motivo va respinto in riferimento a tutte le censure che esso esprime.
In primo luogo, va osservato che la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4, c .p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass. Sez. U. n. 8053/2014; successivamente tra le tante Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 6626/2022). In particolare si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico
seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
In secondo luogo, come già evidenziato, la natura di presunzione legale degli esiti degli accertamenti bancari, di cui agli artt. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, può essere superata dal contribuente solo attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa RAGIONE_SOCIALE prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza RAGIONE_SOCIALE relative risultanze (Cass. n. 13112/2020; Cass. n. 10480/2018). In tale materia, quindi, l’analiticità della motivazione del giudice si correla alla necessaria analiticità RAGIONE_SOCIALE deduzioni difensive.
Nel caso di specie, la CTR, dopo aver dato conto, nella parte iniziale della motivazione, di quali fossero i versamenti oggetto di causa, ha evidenziato che «nella specie l’appellante, né in sede di contraddittorio, né -ammesso che la prova fosse legittima -successivamente, in sede giurisdizionale, ha spiegato la provenienza, la natura e la destinazione degli importi sopra descritti. In sede di contraddittorio, come sopra elencato, si è genericamente fatto riferimento ad una provvista fornita da terzi, senza spiegare e tanto meno documentare la stessa. Ancor più vaghe e elusive le osservazioni offerte in sede giurisdizionale, ove si fa riferimento a generici proventi di un’attività di tabaccaio, senza, tuttavia, che le singole poste e le relative movimentazioni siano state documentate (tale, certamente, non può essere un prospetto privo di
qualunque valore probatorio, e, comunque, per nulla riferibile alle operazioni contestate)».
Tale motivazione non solo esiste graficamente ma, attenendosi ai predetti principi, dà adeguatamente conto della natura generica RAGIONE_SOCIALE deduzioni difensive e della loro inidoneità a costituire la sopra cennata prova analitica che si trattasse di somme di natura non reddituale o già oggetto di imposizione.
Né il motivo appare fondato laddove, nella sua ultima parte, evidenzia una violazione del principio di non contestazione, segnalando che « nel corso del processo l’Ufficio non ha contestato l’attendibilità in termini dimostrativi della documentazione prodotta e RAGIONE_SOCIALE giustificazioni fornite dal contribuente».
In primo luogo, tale censura appare inammissibile in quanto, ai fini del rispetto del principio di specificità, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della difesa avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass. n. 15058/2024; Cass. n. 10761/2022), il che nel caso di specie non è avvenuto, facendo riferimento la parte genericamente al «corso del processo», e ciò tanto più tenuto conto della circostanza che la sentenza non indica che tra i motivi di appello della contribuente vi fosse questione sulla non contestaz ione da parte dell’amministrazione nel corso del giudizio di primo grado.
In secondo luogo, la ricorrente sembra riferire tale principio non ai fatti ma alla loro valutazione, evidentemente in riferimento alla prova liberatoria sopra descritta, il che non solo esula dal campo di
applicazione del principio di non contestazione (che ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti: Cass. n. 6172/2020; Cass. n. 35037/2021) ma appare anche non tenere conto del consolidato principio di questa Corte secondo il quale «il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui in ogni caso un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre ‘le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente’, indicando ‘le prove di cui intende valersi’ e proponendo ‘altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio’, non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto» (così, da ultimo, Cass., n. 6268/2023, che richiama Cass. n. 2196/2015, e, tra le tante, nello stesso senso, Cass. n. 34707/2022; Cass. n. 5429/2023; Cass. n. 25518/2023).
5. Concludendo, il ricorso va respinto.
Non occorre provvedere sulle spese in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva dell’RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME