Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5527 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5527 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
Irpef, Iva ed Irap, 2008 avviso di accertamento indagini bancarie -conti intestati a terzi – doppia attività -imputazione dei redditi.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29898/2017 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO SEZIONE STACCATA LATINA, n. 4315/2017, depositata il 14/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r., ha rigettato l’appello del contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Latina che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso spiegato avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2008, erano stati recuperati a tassazione maggiori redditi.
L’Ufficio procedeva ad indagini bancarie su conto correnti intestati al contribuente ed anche a suoi familiari e recuperava a tassazione le operazioni ritenute non giustificate imputando le medesime a maggiori redditi derivanti dall’esercizio dell’attività di intermediazione immobiliare.
Considerato che:
Con il primo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 51, comma 2, n 2) d.P.R. 226 ottobre 1972 n. 633.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che aveva la «disponibilità operativa» dei conti correnti intestati ai familiari (precisamente la sorella, il cognato e le nipoti) e che tale circostanza giustificava l’attribuzione di tutte le movimentazioni a proprio reddito. Osserva che per i conti correnti intestati a terzi è necessario che l’Amministrazione dimostri la fittizia intestazione e la riconducibilità delle movimentazioni ivi registrate al soggetto sotto verifica. Precisa che, sebbene avesse la delega ad operare sui conti dei propri parenti, non ne aveva mai fatto uso; che detti ultimi non erano prestanomi, in quanto, a propria volta, titolari di proprie attività economiche.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione degli artt. 32 e 55 t.u.i.r. e dell’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 .
Censura la sentenza per aver ritenuto legittimo l’accertamento nella parte in cui aveva imputato tutti i redditi ricostruiti all’attività di intermediazione immobiliare, sebbene la propria attività prevalente fosse quella di imprenditore agricolo, soggetta ad una tassazione più favorevole, e per aver ritenuto che avrebbe dovuto dare motivazioni precise e concrete sulle cause delle movimentazioni. Osserva che, in realtà, era onere dell’Amministrazione provare l’imputabilità del reddito all’attività di interm ediazione, anziché a quella agricola, o in quota parte tra le due; ciò soprattutto perché l’attività agricola era svolta con notevole dispiego di mezzi, mentre quella di intermediazione era saltuaria ed occasionale.
Il primo motivo non è fondato.
3.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che gli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari; si è aggiunto che all’utilizzabilità dei dati non è di ostacolo il divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (Cass. 16/06/2017, n. 15003, Cass. 01/02/2016, n. 1898, Cass, 21/12/2007, n. 27032). Per altro, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto
noto attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto ignorato, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni (Cass. 07/12/2020, n. 27982).
Si è precisato in proposito che la disposizione non limita l’acquisizione della documentazione ai soli conti bancari formalmente intestati al contribuente sottoposto ad accertamento, sicché si deve ritenere estesa anche ai conti correnti intestati a terzi soggetti, ma alla condizione che, pur in mancanza della formale titolarità, il conto sia nella disponibilità di fatto del contribuente sottoposto a verifica fiscale. L’onere probatorio relativo alla presenza di tali condizioni formale intestazione ovvero disponibilità di fatto del conto -compete all’Ufficio, ed al suo assolvimento consegue l’operatività della presunzione legale stabilita dall’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R n. 600 del 1973 secondo cui i versamenti e i prelievi devono essere considerati proventi dell’attività svolta dall’interessato, con spostamento dell’onere probatorio sul contribuente, al quale spetta fornire la prova contraria, dimostrando che si tratti di somme comprese nella determinazione del reddito o che non abbiano rilevanza reddituale. Pertanto, in caso di conti bancari di cui sia formalmente titolare il contribuente, la presunzione che gli importi versati siano frutto di compensi è immediatamente applicabile; nel caso di conti intestati a terzi, l’Ufficio, al fine di avvalersi della presunzione legale in oggetto, deve fornire la previa prova, anche per presunzioni (purché qualificate), che il conto bancario intestato a te rzi sia nell’effettiva disponibilità del contribuente, al quale pertanto sono attribuibili le movimentazioni fiscalmente rilevanti (Cass. 31/08/2022, n. 25663, Cass. 20/12/2018, n. 32974; Cass. 13/04/2012, n. 5849; Cass. 12/01/2009, n. 374).
3.2. La C.t.r. si è attenuta a questi principi atteso che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non ha posto a suo
carico l’onere di provare che i conti oggetto di indagine non fossero al medesimo riconducibili; al contrario, ha dato puntualmente conto delle ragioni per le quali poteva ritenersi che questi, se pure intestati a terzi, fossero riconducibili al contribuente. In primo luogo ha rilevato che non si trattava di conti fittizi, ma di conti intestati a terzi dei quali il contribuente aveva la disponibilità operativa; di seguito, per ciascuno dei conti presi in esame, ha esposto le motivazioni sottese al decisum, precisando che gli stessi erano intestati al coniuge NOME COGNOME che nell ‘ anno di imposta in questione aveva dichiarato soltanto redditi da fabbricati; alle nipoti NOME e NOME COGNOME che nel 2009 non avevano dichiarato redditi e per i quali vi era esplicita ammissione del contribuente; alla sorella NOME che non aveva presentato dichiarazione dei redditi; al cognato NOME COGNOME sul cui conto erano state riprese a tassazione le sole movimentazioni eseguite dal contribuente atteso che anche l’intestatario era titolare d partita iva.
4. Il secondo motivo è infondato.
4.1. I n virtù della presunzione stabilita dall’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, -che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici -sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente, o a lui riconducibili, vanno considerati come elementi positivi di reddito se questi non dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (Tra le più recenti, Cass. 28/04/2022, n. 13236, Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 03/03/2021, n. 5788).
A propria volta, il contribuente che voglia superare la presunzione ha l’onere di fornire non una prova generica, bensì una prova analitica, idonea a dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione. Tale prova può
essere data in due modi: o dimostrando che ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni; oppure dimostrando che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili (Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 18/09/2013, n. 21303).
Quanto alle modalità tramite le quali assolvere all’onere probatorio, si è precisato che è onere del contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (Cass. 30/12/2015, n. 26111).
Secondo questa Corte, inoltre, l’utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, non è subordinata alla previa dimostrazione che il contribuente rivesta la qualifica di imprenditore: infatti, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta di impresa (o arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari non sono fiscalmente rilevanti (Cass. 23/09/2021, n. 25812, Cass. 28/02/2017, n. 5135; Cass. 13/10/2011, n. 21132, Cass. 23/04/2007, n. 9573).
In quest’ottica si è altresì precisato che la norma in esame stabilisce in maniera chiara ed incondizionata che i dati e gli elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, sia ai fini del quantum che ai fini dell ‘an . La ricostruzione della qualifica del contribuente non costituisce necessariamente un prius rispetto alla quantificazione della materia imponibile; tanto più ove si consideri che l’onere di provare che gli elementi acquisiti non si riferiscono ad operazioni imponibili grava sul contribuente, per espressa disposizione. Il legislatore, infatti, ha stabilito una presunzione di inerenza dei
movimenti risultanti dai conti ad operazioni imponibili, che può essere superata soltanto dalla prova contraria offerta dal contribuente.
Questa conclusione non contrasta con l’art. 2697 cod. civ. in quanto l’emersione di movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle dichiarazioni del contribuente è un fatto in relazione al quale solo quest’ultimo può dimostrare che i conti stessi non siano fiscalmente rilevanti o che, comunque, non diano luogo a recuperi (Cass. 19/02/2001, n. 2435).
4.2. La C.t.r., dopo aver correttamente ritenuto che era onere del contribuente fornire giustificazione di ogni movimentazione e che l’assunto secondo cui si trattava di redditi derivanti dall’attività agricola non era provato, ha comunque rilevato che l’Uffi cio aveva adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali ciò andava escluso avendo fatto rifermento alla congruità del reddito dichiarato per l’attività agricola, in relazione al valore de terreni, al volume ed alla redditività degli investimenti; elementi, questi, non contestati.
4.3. Con il ricorso, la ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto a debito.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2024.