Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2604 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2604 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 25122/2015 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 4846/65/014, depositata in data 18 settembre 2014, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Mantova, con sentenza n. 43 del 24 febbraio 2010, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto tre atti di contestazione relativi agli anni 2005, 2006 e 2007, relativi all’omessa regolarizzazione di fatture di acquisto emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE per prestazioni di smaltimento di combustibile da rifiuti «CDR», con applicazione di aliquota Iva agevolata del 10%, anziché in misura ordinaria, considerato che tali prestazioni non rientravano nella tabella A, parte terza, punto 127 sexiesdecies , del d.P.R. n. 633 del 1972.
La Commissione tributaria regionale, adita dalla società contribuente, ha accolto l’appello, dichiarando l’illegittimità degli avvisi di accertamento relativi agli anni 2006 e 2007 e l’estinzione del giudizio con riferimento all’avviso di accertamento per l’anno 2005 per definizione agevolata della lite, sulla base RAGIONE_SOCIALE seguenti considerazioni:
-) la condizione per la fruizione della aliquota ridotta sulla attività di gestione dei rifiuti era che questi potessero essere qualificati come rifiuti urbani, secondo la definizione data dall’art. 7, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, o anche rifiuti speciali ai sensi dell’art. 7, comma 3, lettera g) del decreto legislativo n. 22 del 1997;
-) l’agevolazione riguardava, dunque, anche la componente secca residuale dei rifiuti solidi urbani in impianti di termovalorizzazione;
-) non era corretta neppure la sanzione applicata dall’Ufficio in ragione dell ‘ incertezza interpretativa della norma ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, tenuto conto che nel tempo ci erano state una miriade di norme correttive e sostitutive, pseudo esplicative, decreti, risoluzioni, che avevano provocato ancora più confusione nella fattispecie di fatto identificata dai codici CER (catalogo Europeo dei Rifiuti) 19 e 20.
L ‘RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 127 sexiesdecies, tabella A, del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 184, comma 3, del decreto legislativo n. 152/2006 e degli artt. 6, comma 1 lett. d), l) e m) e 7 comma 3, lettera 1 bis , del decreto legislativo n. 22 del 1997. La Commissione Tributaria Regionale, senza peraltro motivare, dopo aver richiamato una serie di norme di legge aveva affermato, errando, che ai combustibili derivati dai rifiuti (CDR) era applicabile l’aliquota agevolala del 10%. Ed invero, per il periodo di vigenza dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «Decreto Ronchi», abrogato dall’art. 264 del decreto legislativo n. 152 del 2006″), il «CDR» era previsto all’art. 7, comma 3, lettera 1 bis , tra i rifiuti speciali e non rientrava, pertanto, nella tipologia di rifiuto indicato nella voce 127 sexdecies (che annoverava i rifiuti di cui all’art. 7, comma 3 lett. g); ma anche con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 de 2006 (che aveva trasposto la disposizione di cui
all’art. 7 del decreto legislativo n. 22 del 1997 nell’art. 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006), lo smaltimento del «CDR» restava assoggettato all’aliquota ordinaria del 20%, in quanto con l’art. 184, nella sua nuova formulazione, il «CDR» trovava esplicita collocazione, al comma 3, lett. m) (tra i rifiuti cd. «speciali»), era quindi distinto e separato dai rifiuti indicati alla lett. g) richiamata, in via indiretta dalla tabella A allegata al d.P.R. n. 633 del 1972. Infatti, dal punto di vista fiscale, la norma agevolativa prendeva in considerazione, tra i rifiuti speciali, solo quelli di cui all’art. 184, terzo comma, lett. g), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e le tipologie di rifiuti catalogate con lettere diverse, quindi, non potevano beneficiare di alcuna aliquota agevolata. 2. Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e dell’art. 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000. La Commissione tributaria regionale aveva erroneamente statuito sull’applicazione dell’esimente in assenza di specifica domanda formulata dalla società contribuente e la pronuncia d’ufficio violava il principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato con una palese extrapetizione.
2.1 Il secondo motivo, la cui trattazione è prioritaria, è infondato.
2.2 Deve premettersi che l’incertezza normativa oggettiva è prevista, come causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, da varie disposizioni:
-) l’art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), della legge n. 130 del 2022 , che prevede che « La corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni
alle quali si riferisce » ;
-) l’art. 6, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, per il quale « Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza RAGIONE_SOCIALE richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento » ;
-) l’art. 10, comma 3, della legge n . 212 del 2000, come modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 106 del 2005, convertito con modificazioni, dalla legge n. 156 del 2005, secondo cui « Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria » .
2.3 Questa Corte ha, innanzi tutto, precisato che « In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere RAGIONE_SOCIALE commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza su portata e ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE norme cui la violazione si riferisce -potere riconosciuto dall’art. 39 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (applicabile “ratione temporis”), tenuto fermo dall’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più RAGIONE_SOCIALE portata, dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente » (Cass., 24 luglio 2013, n. 18031) e che « Sia nel vigore dell’articolo 39 bis del D.P.R. n. 636
del 1972, sia in forza dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, l’incertezza interpretativa che giustifica il provvedimento con il quale il giudice tributario dichiari non applicabili le sanzioni non penali deve essere oggettiva e non soggettiva, atteso che la norma espressamente richiede si verifichino obiettive condizioni di incertezza » (Cass., 8 agosto 2005, n. 16707).
2.4 Ancora questa Corte ha affermato che « L’ar t. 39 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, aggiunto dallo art. 26 del d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739 con effetto dall’1 gennaio 1982, ai sensi del quale la commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali quando la violazione sia giustificata da obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e l’ambito RAGIONE_SOCIALE disposizioni cui si riferisce, è di immediata operatività in tutte le fasi del procedimento, e, quindi, anche in sede di rinvio, ove si debba ancora statuire sulla sussistenza della violazione stessa. La relativa applicazione, che è discrezionale solo per quanto attiene alla valutazione di dette condizioni d’incertezza, rientra nei compiti d’ufficio del giudice tributario, di modo che non esige un’istanza del contribuente, fermo restando che, se tale istanza sia stata formulata, il diniego del beneficio non può essere implicito e richiede un’espressa indagine sulle indicate condizioni » (Cass., 10 aprile 1990, nn. 2979, 2980 e 2981; Cass., 23 giugno 1993, n. 6951).
2.5 E’ stato, poi, evidenziato che « Il predetto art. 39 bis, quando prevede la declaratoria di non applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni non penali per inosservanze spiegabili sulla scorta di obiettive incertezze normative, conferisce direttamente al giudice tributario il relativo potere, senza esigere una domanda di parte (la quale, se avanzata, ha natura di mera sollecitazione). Tale potere, in quanto assegnato alle commissioni tributarie senza delimitazioni riferibili al grado ed allo stato del processo davanti ad esse, deve ritenersi esercitabile anche nel giudizio
di rinvio, sempre che nella relativa fase processuale sia pertinente la relativa problematica e non sussistano preclusioni » (Cass., 11 marzo 1995, n. 2820;
2.6 Inoltre è stato detto che « La richiesta di applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 bis, avanzata per la prima volta in appello non è inammissibile, atteso che la richiesta di escludere l’applicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie, quando la violazione è giustificata da obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni alle quali si riferisce, essendo diretta a sollecitare un potere di cui le Commissioni Tributarie possono avvalersi anche d’Ufficio, non può ritenersi domanda nuova in senso stretto (non proponibile nel giudizio di appello ex art. 345 c.p.c.). Detto potere RAGIONE_SOCIALE Commissioni Tributarie è, peraltro, discrezionale per quanto attiene alla valutazione RAGIONE_SOCIALE condizioni obbiettive di incertezza normativa e, pertanto, il suo esercizio (o il mancato esercizio) non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato” (Cass. n.4053/2001; n. 2820/1995; n. 9240/1990) » (Cass., 27 marzo 2006, n. 6943, in motivazione).
2.7 Ancor più di recente, questa Corte ha specificato che la natura dell’incertezza, la natura normativa del suo oggetto e la funzione dell’ordinamento giuridico e della sua normazione orientano verso una concezione dell’incertezza normativa come una situazione oggettiva, che è rilevante giuridicamente in quanto sia riferita soggettivamente ai soli Giudici (e non anche al generico contribuente o ai contribuenti che pure, per la loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata o all’ Ufficio tributario, perché il titolare del potere d’imposizione tributaria deve svolgere continuamente un’attività d’interpretazione normativa, del cui risultato si deve dichiarare certo a prescindere dalle difficoltà incontrate, con la conseguenza che l’ufficio tributario non disapplicherà mai, di sua iniziativa, le sanzioni amministrative tributarie) e che l’unico soggetto che, al fine voluto dal
legislatore, può ritenersi collegato giuridicamente all’incertezza normativa come situazione oggettiva è, dunque, il Giudice, perché il Giudice è il solo soggetto dell’ordinamento giuridico che, di fronte alla mancata stipulazione di qualsiasi convenzione tra i soggetti destinatari della norma, ha il potere di accertare se, prima che ci si rivolga a lui, davvero esistano le condizioni perché una convenzione non possa essere ragionevolmente stipulata e, quando il giudice si trovi in una situazione giuridica oggettiva di incertezza normativa tributaria, è circostanza che spetta allo stesso giudice di valutare, perché tale attività rientra nello svolgimento del suo fondamentale compito di creare certezza (Cass., 28 novembre 2007, n. 24670, in motivazione). 2.8 Si tratta i principi che vanno ribaditi in questa sede, non ritenendo questo Collegio di aderire al principio pure affermato da questa Corte secondo cui « la disapplicazione da parte del giudice RAGIONE_SOCIALE sanzioni per violazioni di norme tributarie, qualora abbia accertato che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa, è possibile, anche in sede di legittimità, solo se domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati » . (Cass., 24 ottobre 2008, n, 25676; Cass., 12 novembre 2014, n. 24060; Cass., 14 luglio 2016, n. 14402; Cass., 26 giugno 2019, n. 17195; Cass., 3 giugno 2021, n. 15406).
2.9 Il motivo pertanto deve essere rigettato in applicazione del seguente principio di diritto: « Il potere di disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni per violazioni di norme tributarie è esercitabile d’ufficio dal giudice tributario, qualora accerti che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa , e non postula una domanda di parte, la quale, se avanzata, ha natura di mera sollecitazione ».
Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
3.1 In proposito, va ricordato che « L’accertamento dell’interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l’intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all’utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito » (Cass., Sez. U., 22 novembre 2022, n. 34388) e che « l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del RAGIONE_SOCIALE principio dell’interesse ad agire, sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ., va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata » (Cass., 29 maggio 2018, n. 13395; Cass., 4 aprile 2004, n. 6546; Cass., 23 maggio 2008, n. 13373).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato.
4.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese, non avendo la società intimata svolto difese.
4.2 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della
prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, in data 5 dicembre 2023.