Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6244 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6244 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
Oggetto: imposta
giochi e scommesse –
sanzioni – incertezza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 216/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante pro tempore in qualità di soggetto considerato obbligato in solido nei confronti del Sig. NOME COGNOME titolare della ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, anche in via disgiuntiva tra di loro, dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME, Prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME (ciascuno con i rispettivi indirizzi PEC che seguono: EMAIL, EMAIL;
EMAIL;
EMAIL)
ed elettivamente domiciliata presso i primi tre, Studio Legale COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in INDIRIZZO 00198 Roma, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAIL
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2549/02/2022 depositata in data 03/06/2022; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
l ‘odierna ricorrente impugnava l’avviso di accertamento notificatole per tributi dovuti in ordine a operazioni di gioco poste in essere nell’anno 2008;
la CTP rigettava il ricorso;
appellava la contribuente;
-con la sentenza impugnata il giudice dell’appello ha confermato la statuizione di primo grado;
ricorre questa Corte la contribuente con atto affidato a sette motivi di doglianza;
-l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso;
Considerato che:
-in via preliminare e pregiudiziale si eccepisce quale primo motivo di ricorso la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 ss. TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del D. Lgs. no. 504/98, come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66, della Legge di Stabilità 2011, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) CPC; è proposta la sollevazione d’ufficio di rinvio pregiudiziale ex art. 267, co. 3, TFUE, anche a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 26.02.2020 ;
-il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 D. Lgs. no. 504/98, e 1, co. 66, lett. b), della Legge di Stabilità 2011, nonché degli artt. 136 Cost. e 30, co. 1, Legge no. 87/53, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) CPC, per effetto della intervenuta sentenza no. 27/2018 della Corte Costituzionale, come argomentato da pagina 35 a pagina 40 nel prosieguo del presente ricorso;
-il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 del DPR no. 600/73 in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) CPC, per avere la CTR, nel ritenere il bookmaker estero unico obbligato al pagamento del tributo de quo, modificato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base del medesimo Avviso di Accertamento;
-il quarto motivo si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, lett. b) della Legge no. 288/98, e degli artt. 1326, 1327 e 1336 CC, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) CPC, nella parte in cui la CTR ha ritenuto sussistente il profilo territoriale del presupposto di applicazione del tributo;
-il quinto motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 della Legge no. 4 del 07.01.1929, dell’art. 12 della Legge no. 212/2000, del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., e del principio di necessità del contradditorio endoprocedimentale a tutela del diritto di difesa secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per avere la CTR ritenuto legittimo l’Avviso di Accertamento nonostante le mancata notifica del PVC al co-obbligato in via solidale, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) CPC. In via di subordine, propone la sollevazione anche d’ufficio di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE;
-il sesto motivo si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 D. Lgs. no. 504/98, e 1, co. 66, lett. b), della Legge di Stabilità 2011, degli artt. 136 Cost. e 30, co. 1, Legge
no. 87/53, nonché degli artt. 6, co. 2, e 7, co. 4, del D. Lgs. no. 472/97, in relazione all’art. 360, co. 1 no. 3), CPC per avere la CTR ritenuto non applicabile l’esimente di cui all’art. 6, co. 2, del D. Lgs. no. 472/97 alla sanzione irrogata dall’AAMS;
-il settimo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 del D. Lgs. no. 504/98, 1, co. 66, lett. b), della Legge no. 220/2010 e 64, co. 3, del DPR no. 600/73, in relazione agli artt. 3, co. 1, e 53, co. 1, Cost. a valle della sentenza no. 27/2018 della Corte Costituzionale, in relazione all’art. 360, co. 1, no. 3) CPC;
-il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il settimo motivo sono manifestamente infondati;
-come questa Corte ha già precisato in molteplici pronunce il quadro normativo di riferimento (art. 1, comma 2, della legge n. 288 del 1998; art. 3 del decreto legislativo n. 504/88; art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010; art. 16 del D.M. 1 marzo 2006 n. 111; art. 1, comma 644, lett. g), della legge n. 190 del 2014), è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale (cfr. Cass., 31 marzo 2021, nn. 8907- 8911; Cass., 1 aprile 2021, nn. 9079-9081; Cass., 2 aprile 2021, nn. 9144-9153; Cass., 2 aprile 2021, n. 9160; Cass., 2 aprile 2021, n. 9176; Cass., 2 aprile 2021, n. 9184, Cass., 12 aprile 2021, nn. 9528 e 9537 e, più di recente, Cass., 26 maggio 2022, n. 17082; Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184; Cass., 7 marzo 2023, n. 6761). In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti
dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio) ed ha riconosciuto che il legislatore con l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato la Corte Costituzionale, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il giudice delle leggi ha rimarcato che il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicché, ha specificato, quanto al ricevitore, che l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Né, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il
bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione. Sulla base delle suddette considerazioni, la Corte Costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla legge n. 220 del 2010. I giudici delle leggi hanno anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 (nel caso in esame rileva l’anno 2008), non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a),
della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. A diversa conclusione, si perviene per le annualità dal 2011 e con riferimento alla posizione del ricevitore, dovendosi osservare che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte «in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011» con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., «giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010». A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011», quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di
soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto (cfr. Cass., 8 febbraio 2023, n. 1184, in motivazione). Con specifico riferimento, poi, al presupposto territoriale del tributo si è già precisato da questa Corte, con le pronunce citate, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività, queste, tutte svolte in Italia (cfr. tra le tante Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in motivazione). Alla luce delle esposte argomentazioni, la prospettazione della società ricorrente non merita accoglimento, sia sotto il profilo della nullità dell’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2008, in quanto rileva in questa sede la posizione del bookmaker, perché, come già precisato, i giudici delle leggi hanno posto fondamento della pronuncia di incostituzionalità la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo
di concessione ed hanno dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. Sulla base delle suddette considerazioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo, infatti, come già precisato, non si può procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla legge n. 220 del 2010. I giudici delle leggi, tuttavia, hanno chiarito che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lettera b), della legge n. 220 del 2010, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione dell’art. 3 decreto legislativo n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lett. a), della legge n. 220 del 2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. Inoltre, i giudici delle leggi, nell’affermare che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che le ricevitorie operanti per conto di bookmaker privi di concessione hanno l’obbligo di versare il tributo e le relative sanzioni, hanno equiparato, ai fini tributari, il «gestore
per conto terzi», ovvero il titolare di ricevitoria, al «gestore per conto proprio», ossia al bookmaker, ed hanno precisato che entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, il titolare della ricevitoria svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker, con l’ulteriore specificazione che l’attività gestoria del ricevitore va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale, mentre il bookmaker è quello che effettivamente gestisce il servizio delle scommesse, anche attraverso il contratto stipulato con il ricevitore, e sul quale il titolare della ricevitoria, attraverso la regolazione delle commissioni ha la possibilità di trasferire il carico tributario. I giudici delle leggi, dunque, concludono affermando che i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, comunque concorrono, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo. Correttamente, dunque, i giudici di secondo grado hanno affermato che il legislatore ha considerato un presupposto di imposta riferibile sia al bookmaker, che al CTD, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti all’adempimento dell’obbligazione impositiva in via solidale paritetica, avendo la Corte Costituzionale, diversamente da quanto affermato dalla società ricorrente, chiaramente riferito il presupposto oggettivo dell’imposta sia al bookmaker, che al CTD, con la conseguenza che entrambi i soggetti sono tenuti a
rispondere solidalmente dell’obbligazione tributaria. Ciò che rende priva di rilievo, ai fini che qui interessano, la circostanza che la verifica fiscale, l’accertamento e le violazioni contestate abbiano avuto per oggetto le ricevitorie, tenuto anche conto, peraltro, che l’avviso di accertamento è stato notificato sia al bookmaker, che al CTD. Ciò posto, la società ricorrente ha chiesto, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 26 febbraio 2020, il rinvio pregiudiziale ex art.267, secondo comma, T.F.U.E. e/o rinvio interpretativo alla Grande Sezione, ex art. 104, secondo comma, del Reg. Proc. della Corte di Giustizia, in combinato disposto con l’art. 158 del predetto regolamento, e dell’art. 16 dello Statuto della Corte di giustizia, per l’interpretazione degli artt. 56, 57 e 52 del T.F.U.E. L’istanza in argomento va disattesa. Deve premettersi che la Corte di Giustizia ha deciso, con sentenza 26 febbraio 2020, causa C-788/18, la questione avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma (Italia), con ordinanza del 15 ottobre 2018, pervenuta in cancelleria il 14 dicembre 2018, nel procedimento RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e ha stabilito che «L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse». I giudici unionali, in particolare, rispondendo al primo e al secondo quesito («se l’articolo 56 TFUE osti ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle
scommesse i CTD stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro») hanno premesso che: 1) la libera prestazione dei servizi, di cui all’articolo 56 TFUE, esigeva non soltanto l’eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione quando era idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi analoghi (sentenza del 22 ottobre 2014, COGNOME e COGNOME, C-344/13 e C-367/13, EU:C:2014:2311, punto 26); 2) la Corte aveva approvato nel settore dei giochi d’azzardo il ricorso al sistema delle concessioni, ritenendo che quest’ultimo potesse costituire un meccanismo efficace che consentisse di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti (sentenza del 19 dicembre 2018, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-375/17, EU:C:2018:1026, punto 66); 3) per determinare se sussisteva una discriminazione, occorreva verificare che situazioni analoghe non fossero trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non fossero trattate in maniera uguale, a meno che una differenziazione non fosse oggettivamente giustificata (sentenza del 6 giugno 2019, P.M. e a., C-264/18, EU:C:2019:472, punto 28). La Corte di Giustizia, poi, con riferimento alla vicenda in esame, ha affermato che:
-come risultava dagli atti di causa, l’imposta unica era relativa all’attività di raccolta di scommesse in Italia. Ai sensi dell’articolo 1, comma 66, lettere a) e b), della legge di stabilità 2011, soggetti passivi di tale imposta erano tutti gli operatori che gestivano sistemi di scommesse, indipendentemente dal fatto che operassero per proprio conto o per conto di terzi, dalla
circostanza che fossero o meno titolari di una concessione o dal luogo in cui si trovava la loro sede, anche all’estero;
-alla luce di tali elementi forniti dal giudice del rinvio, risultava che l’imposta unica si applicava a tutti gli operatori che gestivano scommesse raccolte sul territorio italiano, senza operare alcuna distinzione in funzione del luogo di stabilimento di tali operatori, cosicché l’applicazione di tale imposta alla Stanleybet Malta non poteva essere considerata discriminatoria;
-occorreva rilevare, infatti, che la normativa nazionale di cui si trattava nel procedimento principale non prevedeva un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi fosse effettuata in Italia o in altri Stati membri;
-inoltre, per quanto riguardava l’argomento della Stanleybet Malta secondo cui, in base alla normativa italiana oggetto del procedimento principale, essa era soggetta a doppia imposizione, a Malta e in Italia, andava rilevato che, allo stato attuale dello sviluppo del diritto dell’Unione, gli Stati membri godevano, fatto salvo il rispetto di tale diritto, di una certa autonomia in materia e che, pertanto, essi non avevano l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine, in particolare, di eliminare la doppia imposizione che risultava dal parallelo esercizio da parte di detti Stati membri della loro competenza fiscale (v., per analogia, sentenza del 1o dicembre 2011, Commissione/Ungheria, C-253/09, EU:C:2011:795, punto 83);
-ne conseguiva che, rispetto a un operatore nazionale che svolgeva le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la RAGIONE_SOCIALE non subiva alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattavasi nel procedimento principale. Inoltre, detta normativa non appariva atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di
una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato;
-per quanto riguarda la RAGIONE_SOCIALE, essa esercitava, in qualità di intermediario della RAGIONE_SOCIALE e in cambio di una remunerazione, un’attività di offerta e di raccolta di scommesse. Tale società esercitava in particolare, allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali, un’attività di gestione di scommesse, la quale costituiva una condizione necessaria ai fini dell’assoggettamento all’imposta unica. Per tale ragione, in forza dell’articolo 1, comma 66, lettera b), della legge di stabilità 2011, la Stanleyparma era soggetta, in solido con la Stanleybet Malta, al pagamento di tale imposta;
-inoltre, dall’articolo 16 del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 marzo 2006, n. 111, emergeva che gli operatori titolari di una concessione per l’organizzazione delle scommesse in Italia assolvevano anch’essi l’Imposta unica. Secondo il giudice del rinvio, i loro CTD tuttavia, al contrario della Stanleyparma, non erano soggetti al pagamento in solido di tale imposta;
-a tal proposito, occorreva nondimeno constatare che, a differenza dei CTD che trasmettevano i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali, la RAGIONE_SOCIALE raccoglieva scommesse per conto della Stanleybet Malta, che aveva sede in un altro Stato membro. Essa non si trovava, quindi, alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011, in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali;
-di conseguenza, la normativa nazionale di cui si trattava nel procedimento principale non comportava alcuna restrizione discriminatoria nei confronti della Stanleybet Malta e della Stanleyparma e non pregiudicava, per quanto le riguardava, la libera prestazione dei servizi;
-la Corte di Giustizia, dunque, con la sentenza del 26 febbraio 2020, ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la RAGIONE_SOCIALE, nello Stato membro interessato»; ha affermato che, secondo costante giurisprudenza unionale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi e che, di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità; ha ritenuto che il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore», in quanto la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di
eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale; ha stabilito, in relazione al bookmaker, che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro e ha specificato, in concreto, che «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, ha concluso che «…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale»; in ultimo, quanto al centro trasmissione dati, ha ribadito che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse «allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali» ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della legge n. 220 del 2010, ma ciò non toglie che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali sia diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro; la diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero; nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce «…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti» (cfr. anche Cass., 7 marzo 2023, n. 6761, in
motivazione). Per quanto sopra esposto e in ragione del quadro sopra delineato, ricostruito in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale, che risulta definito nei suoi assetti di fondo, che risulta definito nei suoi assetti di fondo, così come chiarito dai precedenti di questa Corte, sopra richiamati, in relazione a controversie aventi medesimo contenuto, non sussistono i presupposti per un ulteriore rinvio pregiudiziale ex art. 267, secondo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia o per un rinvio interpretativo alla Grande Sezione ex art. 104, secondo comma, del Reg. Proc. della Corte di Giustizia, come invece sollecitato dalla società ricorrente nel ricorso per cassazione;
-peraltro, come già rilevato, sulle tematiche sottese alle prime tre questioni prospettate dalla società ricorrente si è già pronunciata la Corte di Giustizia (sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), escludendo qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società… nello Stato membro interessato», mentre con riferimento alla questione posta con il quarto quesito rileva la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 2018, per quanto sopra ampiamente rilevato. Con riguardo, invece, all’ultimo quesito, non può non rilevarsi come lo stesso si fonda su una interpretazione della sentenza penale di questa Corte che va in senso opposto a quello sostenuto dalla società ricorrente, e sull’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente
attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppure specifici, meccanismi impositivi;
-il quinto motivo è infondato;
-invero, la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perché è in esso che si esterna poi ciò che si è constatato prima; per quanto la L. n. 4 del 1929, art. 24 preveda che “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”, tal onere di redazione, anche ove non sia assolto in forza della disposizione sopra richiamata, non impedisce in nessun caso l’emissione di avvisi di accertamento in base all’autonoma valutazione dell’amministrazione finanziaria alla luce del disposto della disposizione invocata dal ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31120 del 29/12/2017, e precedentemente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27711 del 11/12/2013); del resto il processo verbale previsto dall’art. 24 cit. può avere una molteplicità e complessità di contenuti e la legge non discrimina tra diversi mezzi di rappresentazione e differenti realtà rappresentate, così come tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazione. Sicché, quale documento extraprocessuale, esso può sia un contenuto ricognitivo, sia un contenuto valutativo liberamente valutabile dall’amministrazione finanziaria; deve quindi escludersi, diversàmente da quanto ritiene il ricorrente, che tal verbale abbia rilevanza esterna tale da viziare, ove non redatto, l’atto successivo;
-con riguardo poi al profilo relativo alla partecipazione del contribuente al procedimento anteriormente all’emissione dell’avviso di accertamento, in ordine alla quale potrebbe porsi la questione della legittimità dell’avviso di accertamento notificato anteriormente al termine di cui all’art. 12 c. 7 L. 212
del 2000, questa Corte ritiene che il diritto generalizzato al contraddittorio sia adeguatamente tutelato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 701 del 15/01/2019) dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (c. d. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività; esso opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria; per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti c.d. “a tavolino”), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio;
-nel presente caso, non risulta che alcuna attività di accesso, ispezione o verifica sia stata svolta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, soggetto peraltro non residente in Italia né ivi dotato di stabile organizzazione nei confronti del quale pertanto tal attività sarebbe stata realizzabile, probabilmente, solo in un contesto di audit congiunta ai sensi delle disposizioni internazionali contro la doppia imposizione; pertanto sotto questo profilo il mancato rispetto del termine di 60 giorni di cui sopra è fatto del tutto irrilevante ai fini della invalidità dell’avviso di accertamento, comunque difettando il requisito di fatto necessario, consistente appunto nella redazione del PVC in capo a parte ricorrente a seguito di accesso, ispezione o verifica;
-inoltre, quanto ai risvolti potenzialmente connessi a tal omessa notifica relativi alla sussistenza di vizi motivazionali, il motivo
risulta privo di specificità e localizzazione in quanto parte ricorrente non ne trascrive il contenuto; a fronte di ciò, la Corte non è messa in grado di rilevare e decidere la mancata o meno trascrizione in avviso di accertamento del contenuto del PVC e conseguentemente di statuire sulla sussistenza o meno del vizio motivazionale;
-il sesto motivo è fondato;
-secondo la giurisprudenza di questa Corte «l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o
meramente esplicative di norma implicita preesistente». (Cass. 17 maggio 2017, n. 12301; Cass. 13 giugno 2018, n. 15452, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32082). Proprio con riferimento al caso di specie, questa Corte, in applicazione dei principi suesposti, ha affermato che «In tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (cfr. Cass., 12 aprile 2021, n. 9531). Più in particolare, questa Corte, con motivazione che si condivide, ha affermato che «La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 gennaio 2018, nel ricostruire l’ambito applicativo dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1988, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, ha bensì affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione, con conseguente responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione. La stessa sentenza ha tuttavia anche evidenziato che ‘il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio
(ad esclusione perciò dei bookmaker con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano)’ (punto 4.1.), dando poi atto del fatto che ‘con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata’ e che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la previsione contenuta nell’art. 3, d.lgs. n. 504/1998, si prestava ad un duplice opzione interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva. La fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione. Infine, non si ravvisa la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C.788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra
postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, ‘pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale’ (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67). Ed in questo senso deve poi ritenersi irrilevante la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. 25439/2020) che si riferisce alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, esclusa, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni. Il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dall’art. 4, commi 1 e 4-bis, della l. 13 dicembre 1989, n. 401 nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che l’art. 3 del d.lgs. n. 504/98 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse» (Cass., 21 settembre 2021, n. 25450, in motivazione). Nella fattispecie in esame, venendo in rilevo l’anno di imposta 2008, il motivo è quindi fondato, in quanto rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 472 del 1997, sussistendo, come già detto, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività
passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010;
-in conclusione, va quindi accolto il solo sesto motivo di ricorso;
-i restanti motivi sono tutti rigettati;
-non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso della ricorrente limitatamente alle sanzioni, in applicazione dell’esimente di cui all’art. 6, comma 2, del d. Lgs. n. 472 del 1997;
-alla luce della decisione che precede, le spese dell’intero giudizio sono compensate tra le parti
p.q.m.
accoglie il sesto motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della ricorrente limitatamente alle sanzioni; dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio, ivi comprese quelle relative ai gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2025.