Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15724 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15724 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24794/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOMECOGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 1445/2021 depositata il 11/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, controllata indiretta della britannica RAGIONE_SOCIALE e autorizzata ad operare come bookmarker nel Regno Unito e in diversi stati membri dell’UE, venivano avviate diverse verifiche volte ad accertare l’assolvimento dell’Imposta Unica sulle scommesse.
In particolare, in data 2.12.2013 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli emetteva avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con cui veniva contestato ai Centri di Trasmissione Dati, prestatori di servizi incaricati di elaborare e trasmettere dati a mezzo internet, nonché alla società in qualità di coobbligata in solido, il mancato assolvimento dell’Imposta Unica sulla Scommesse per l’anno d’imposta 2008 pari ad €4.027,75, oltre interessi e sanzioni.
La società impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP di Roma contestando, in particolare, evidenziando l’omessa notifica del PVC alla società, nonché l’insussistenza dei profili oggettivi, soggettivi e territoriali relativi al presupposto dell’Imposta Unica sulle Scommesse.
La CTP adita, con sentenza n. 2778/2018, depositata in data 6/02/2017, rigettava il ricorso e compensava le spese di lite.
Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello dinanzi alla CTR del Lazio -Sede di Roma che, con sentenza n. 1445/2021 del 1/12/2020 e depositata in data 11/03/2020, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a sette motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 e ss. TFUE, dei principi di diritto dell’UE di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento all’art. 3 del D.lgs n. 504/1998 come interpretato dall’art. 1, commi 64 e 66 della Legge di stabilità 2011, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c., per aver la CTR trascurato di valutare ‘l’oggettiva discriminazione realizzata a carico dei CTD -i quali si avvalgono delle libertà fondamentali di stabilimento e prestazione dei servizi di cui agli artt. 56 ss. TFUE -per effetto dell’interpretazione dell’art. 1 comma 66, della Legge di Stabilità 2011 nel senso della sussistenza del presupposto soggettivo dell’Imposta Unica’. Inoltre, la ricorrente propone o richiede che venga sollevato d’ufficio il rinvio pregiudiziale ex art. 267 comma 3 TFUE, anche a seguito della sentenza della Corte di Giustizia del 26 febbraio 2020.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 D.lgs n. 504/1998 e 1 comma 66, lett. b) della Legge di Stabilità 2011, nonché degli artt. 136 Cost. e 30, co. 1, Legge n. 87/53, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per effetto della sentenza n. 27/2018 Corte Cost., per non aver la CTR annullato l’avviso di accertamento emesso sulla base di norme dichiarate incostituzionali.
Con il terzo motivo di ricorso si adombra la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 DPR n. 600/1973 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per la CTR ritenuto il bookmaker estero l’unico obbligato al pagamento del tributo e conseguentemente modificato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste alla base dell’Avviso di accertamento impugnato.
Con il quarto motivo di ricorso si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 lett. b) della Legge n. 288/1998, degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR ritenuto sussistente il profilo territoriale del presupposto di applicazione del tributo.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 Legge n. 4 del 7/01/1929, art. 12 Legge n. 212/2000, del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e del principio di necessità del contraddittorio endoprocedimentale a tutela del diritto di difesa secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, per non aver la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in ragione della mancata notifica del PVC ai coobbligati in via solidale. Inoltre, la ricorrente propone o richiede venga sollevato d’ufficio il rinvio pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE.
Con il sesto motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 D.lgs n. 504/1998 e art. 1 comma 66 lett. b) della Legge di Stabilità 2011, degli artt. 136 Cost. e art. 30 comma 1 legge n. 87/53, nonché degli artt. 6 comma 2 e 7 comma 4 D.lgs n. 472/97, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR ritenuto non applicabile l’esimente di cui all’art. 6 comma 2 D.lgs n. 472/97 alla sanzione irrogata dall’AAMS.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 D.lgs n. 504/1998, 1 comma 66 lett. b) della Legge n. 220/2010 e 64, comma 3 DPR n. 600/1973, in relazione agli art. 3 comma 1 e 53, comma 1 Cost., a valle della sentenza n. 27/2018 Corte Cost., per aver la CTR interpretato le norme richiamate in contrasto con la pronuncia della Corte costituzionale indicata.
Il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo possono essere analizzati congiuntamente, per la loro stretta connessione, e sono
infondati, anche tenendo presente che essi riguardano questioni già oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante Cass. 8907-8911/2021, 90799081/2021, 9144- 9153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 9528- 9537/2021, 9728-9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.
Il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il ricorso.
La Corte costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 d.lgs. n. 504 del 1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); tuttavia, ha riconosciuto che il legislatore con l’art. 1, comma 66, della legge n. 220 del 2010 ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e che l’obbligo di versamento del tributo e di pagamento delle relative sanzioni grava anche sulle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di “bookmakers” privi di concessione, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione.
A questo riguardo, la Corte costituzionale ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia
del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al “bookmaker”) sia irragionevole, posto che l’attività consiste nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale; entrambi i soggetti pertanto partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione: in particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al “bookmaker” dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal “bookmaker”.
Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte (v. anche Cass. 27/07/2015, n. 15731), neppure attagliandosi al rapporto tra il “bookmaker” e ricevitore lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo Cass. n. 26489/2020).
In altri termini, la Corte costituzionale ha chiarito che l’imposta in esame è caratterizzata da un regime, in forza del quale ciascuno dei gestori risponde dell’obbligazione tributaria verso l’Erario a diverso e autonomo titolo, senza necessità per il creditore erariale di escutere uno di essi in via principale e salva la possibilità di rivalsa interna, regolabile su basi contrattuali.
Proprio l’autonomia dei rapporti obbligatori verso il fisco consente di parlare di solidarietà paritetica tra CTD e “bookmaker”, che a sua volta implica l’irrilevanza per l’Erario delle modalità con cui i due obbligati procedano a disciplinare pattiziamente la rivalsa; tale ultimo aspetto è stato infatti preso in considerazione dalla Corte costituzionale non già per farne derivare effetti sui rapporti tra “bookmaker” e Amministrazione finanziaria, bensì solo per sottolineare che, prima della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, lett. b) della I. n. 220 del 2010, le ricevitorie erano legate ai “bookmaker” da contratti già in essere e non potevano pertanto negoziare (o rinegoziare) con il “bookmaker” le commissioni in termini economici tali da tener conto della necessità di pagare anch’esse in via diretta il tributo e dunque di operare una parziale traslazione dell’imposta.
Per il “bookmaker”, tuttavia, ciò non muta la struttura del suo rapporto obbligatorio verso l’Erario, che, anche per gli anni precedenti al 2011, era fondato, senza margini di dubbio, sul presupposto oggettivo della scommessa fatta dal cliente presso la ricevitoria, ancorché quest’ultima per quegli anni non potesse essere considerata responsabile, in ragione del suo affidamento su un quadro regolatorio diverso da quello poi interpretato dalla I. n. 220 del 2010.
Di conseguenza, la sentenza impugnata non può essere accusata di aver sovvertito il perimetro dell’avviso di accertamento per avere trasformato un obbligato solidale dipendente, risultante dall’avviso, nell’unico obbligato principale.
Infatti, anche a voler trascurare la circostanza che tale passaggio dell’avviso di accertamento non è stato trascritto nel ricorso, ad essere erronea è la premessa di partenza, secondo cui il fatto che il “bookmaker” fosse indicato nell’avviso come responsabile solidale implicasse necessariamente una solidarietà dipendente o sussidiaria.
Lo schema della solidarietà dipendente ricorre infatti quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo Cass. 20/11/2020, n. 26480).
Nella specie, al contrario e come ampiamente illustrato, la solidarietà è paritetica, poiché anche il “bookmaker” realizza un fatto di gestione indice di capacità contributiva.
Né viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il “bookmaker” sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul ‘bookmaker” per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva.
In forza di tale articolato percorso la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, comma 66, lettera b), della I. n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, restando esclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione in quel periodo dell’entità delle commissioni tra ricevitorie e “bookmaker”, di poter procedere alla traslazione dell’imposta. Per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione degli
artt. 3 del d.lgs. n. 504/98 e 1, comma 66, lett. a), della I. n. 220/10, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
La suddetta ragione di incostituzionalità non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma; in entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul “bookmaker” per conto del quale opera la ricevitoria. La solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.
Orbene, considerato che nel presente giudizio si controverte sui periodi d’imposta 2008-2009 e che viene in rilievo la sola posizione del bookmaker, le complessive censure sono infondate.
Va rilevato, inoltre, ai fini della territorialità dell’imposizione, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione
del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2015, cit.), attività, queste, tutte svolte in Italia; 26. neppure è condivisibile l’interpretazione della sentenza della Corte cost. n. 27/2018, propugnata da parte ricorrente, né è configurabile, alla stregua dei principi da essa affermati, una irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge.
Tale ultimo profilo di censura, del resto, postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), d.lgs. n. 504 del 1998, valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e
sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.
Una attenzione specifica, inoltre, va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso, relativi alle ritenute frizioni con il diritto unionale.
In particolare, la ricorrente ha prospettato la violazione del diritto di non discriminazione, di parità di trattamento e del principio di affidamento.
Inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza, sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte; ciò, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale la ricorrente si sarebbe venuta a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale.
La linea difensiva seguita dalla ricorrente, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla legge 220/2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento, determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione; si tratta di considerazioni che non possono trovare accoglimento.
Con specifico riferimento al diritto unionale, premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 del TFUE, la Corte di Giustizia, 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con l’odierno ricorso ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra “bookmakers” nazionali e “bookmakers” esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato».
Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C42/07).
Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 I. n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca «…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità
organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore».
La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1° dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).
Orbene, la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra “bookmaker” nazionali e “bookmaker” esteri; anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa «risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…».
Va evidenziato, a tal proposito, che la Corte di giustizia, se, col punto 17, in relazione al “bookmaker”, oltre che stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, col punto 24 specifica, in concreto, che, «…la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri»; sicché, conclude col punto 24, «…rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la
RAGIONE_SOCIALE non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale». Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il “bookmaker” estero esercita un’attività di gestione di scommesse «allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali» ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b), della I. n. 220/10, ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.
La diversità della situazione, pertanto, è “in re ipsa”, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un “bookmaker” estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce «…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti» (Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C375/17, Stanley International RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (art. 1, comma 644, I, n. 220 del 2010), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria.
Le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto
assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi e l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione.
La ricorrente, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto impositivo dell’imposta in esame.
La giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10/09/2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui all’art. 4, comma 4-bis, della I. n. 401 del 1989, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato “de quo” in base alla considerazione che il ricorrente era stato «illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni … e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi dell’art. 4, comma 4 bis, L. n. 401/1989, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea».
Il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla ricorrente, tuttavia, non implica la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nell’art. 1, comma 66, legge n. 220/2010 che ha, come visto, disposto che: «Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) l’articolo 1 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che
l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze -Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) l’articolo 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze -Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni».
L’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale la ricorrente ha dovuto operare.
A parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla
pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati.
Ciò, inoltre, rende privo di ogni fondamento anche l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente, attesa, da un lato, la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi e, dall’altro, l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori.
Quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente”, la responsabilità delle ricevitorie dei “bookmaker” privi di concessione, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del “bookmaker” estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento.
Alla stregua di quanto affermato dalla Corte di giustizia nella citata sentenza, non si ravvisa necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa.
Anche il quinto motivo, relativo alla assunta violazione del contraddittorio endoprocedimentale, è infondato.
Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 09/12/2015, n. 24823, secondo cui il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto; con la conseguenza che, fuori dal terreno dei tributi armonizzati, l’obbligo dell’amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale sussiste esclusivamente solo nelle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito (la giurisprudenza successiva che ha applicato il suddetto principio è numerosissima: v. Cass. 11/05/2018, n. 11560, Cass.04/12/2020, n. 27818, Cass. 02/01/2021, n. 1530, Cass. 25/01/2021, n. 1445).
L’imposta unica sulle scommesse, come accennato, non è un tributo armonizzato, il che impone anche di disattendere l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia; né in senso contrario vale richiamare il fatto che la Corte di giustizia si è comunque occupata della tematica dei giochi d’azzardo in alcune occasioni, poiché, come detto sopra, ciò ha fatto soltanto al fine di verificare se determinati meccanismi impositivi degli Stati membri potessero ostacolare una delle libertà fondamentali garantite dai trattati U.E., vale a dire la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17 e ivi richiami ai precedenti), ma non per estendere alle imposte previste dalle legislazioni nazionali princìpi dettati per i tributi armonizzati.
Quanto al risvolto interno del problema, da un lato va osservato che per il tributo in discorso il diritto nazionale non prevede espressamente un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e,
dall’altro lato, che nei confronti del “bookmaker”, l’accertamento si configura come un cd. accertamento a tavolino, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in specie per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (v. Sez. U n. 24823 del 09/12/2015).
Già da tale fatto, dunque, deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass. n. 16546 del 27/04/2018; v. anche per una vicenda particolare Cass. n. 12094 del 08/05/2019).
È inammissibile il settimo motivo.
Esso prende anzitutto le mosse da una lettura della solidarietà tra CTD e “bookmaker” che, come ampiamente illustrato, non può essere condivisa, né risulta che sia stata sostenuta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 2018.
Va infatti ribadito che la solidarietà in esame è di tipo paritetico e non dipendente, senza che da ciò possa trarsi la conclusione che in tal modo si starebbe “privilegiando una ricostruzione interamente privatistica della solidarietà, anche al di là del disposto letterale dell’art. 64, comma 3, del DPR no. 600/73” (così invece parte ricorrente a pag. 45 del ricorso).
Quanto all’art. 64, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, è sufficiente osservare che esso attribuisce il diritto di rivalsa a “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi”, così rendendo chiaro che, ove il coobbligato solidale sia obbligato al pagamento dell’imposta per un fatto o una situazione propri (e non
riferibili esclusivamente all’obbligato principale), l’art. 64, comma 3, non opera e la rivalsa può essere disciplinata diversamente.
In altri termini, l’art. 64, comma 3, non offre soluzione al problema del regime della solidarietà, ma richiede, onde affermare l’esistenza del diritto di rivalsa del sostituto e del responsabile d’imposta, che detto problema sia stato già risolto preventivamente.
Al di là di tali considerazioni, poi, il motivo è inammissibile perché non si confronta con la sentenza impugnata, né ne censura specificamente uno o più passaggi, ma si limita a ipotizzare, peraltro in forma dubitativa, una contrarietà a Costituzione delle norme nella parte in cui regolerebbero la traslazione economica dell’imposta dal ricevitore al “bookmaker”, profilo che è tuttavia estraneo al perimetro di giudizio della sentenza impugnata, atteso che, come ampiamente illustrato, tale giudizio riguarda la sussistenza dell’obbligo del bookmaker” di pagare l’imposta e non la disciplina della rivalsa che la ricevitoria potrebbe eventualmente esercitare.
L’inconferenza del motivo è poi dimostrata dal fatto che, a ben vedere, esso critica l’assetto che scaturisce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2018 per il fatto che esso rischierebbe di alleggerire la posizione del “bookmaker”, esentandolo dalla sopportazione dell’onere del tributo o assoggettandovelo in misura non proporzionale alla sua capacità contributiva.
All’evidenza, si tratta di argomenti che, al di là della loro fondatezza, non si attagliano alla difesa del “bookmaker”, come è invece nella specie, ma piuttosto a quella di una ricevitoria, dimostrando una carenza d’interesse degli odierni ricorrenti a farli valere.
È, invece, fondato il sesto motivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte «l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento
interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal d.lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente». (Cass. 17 maggio 2017, n. 12301; Cass. 13 giugno 2018, n. 15452, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32082). Proprio con riferimento al caso di specie, questa Corte, in applicazione dei principi suesposti, ha affermato che ‘ In tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza
normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione ‘ (cfr. Cass., 12 aprile 2021, n. 9531). Più in particolare, questa Corte, con motivazione che si condivide, ha affermato che ‘ La sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 23 gennaio 2018, nel ricostruire l’ambito applicativo dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1988, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, ha bensì affermato che, anche alla luce della disciplina previgente, soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione, con conseguente responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione ‘. La stessa sentenza ha tuttavia anche evidenziato che ‘ il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1 del d.lgs. n. 504 del 1998 al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmaker con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano) ‘ (punto 4.1.), dando poi atto del fatto che ‘ con la disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della l. n. 220 del 2010, il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di senso della disposizione interpretata ‘ e che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la previsione contenuta nell’art. 3, d.lgs. n. 504/1998, si prestava ad un duplice opzione
interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva. La fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione. Infine, non si ravvisa la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C.788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, ‘ pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale ‘ (Corte giust., in causa C -375/17, cit., punto 67). Ed in questo senso deve poi ritenersi irrilevante la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. 25439/2020) che si riferisce alla
diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, esclusa, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni. Il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dall’art. 4, commi 1 e 4-bis, della l. 13 dicembre 1989, n. 401 nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che l’art. 3 del d.lgs. n. 504/98 riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse (Cass., 21 settembre 2021, n. 25450, in motivazione).
Nella fattispecie in esame, venendo in rilevo l’anno di imposta 2008, il motivo è quindi fondato, in quanto rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 472 del 1997, sussistendo, come già detto, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010.
In conclusione, va quindi accolto il sesto motivo di ricorso, mentre i restanti motivi vanno tutti rigettati.
Non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso della ricorrente limitatamente alle sanzioni, in applicazione dell’esimente di cui all’art. 6, comma 2, del d. Lgs. n. 472 del 1997.
Alla luce della decisione che precede, le spese dell’intero giudizio sono compensate tra le parti.
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo di ricorso; rigetta i restanti motivi e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della ricorrente limitatamente alle sanzioni; dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio, ivi comprese quelle relative ai gradi di merito. Così deciso in Roma, il 27/03/2025.