Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 35080 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 35080 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
Somme corrisposte in sede di conciliazione giudiziale e qualificate come incentivo all’esodo -Tassazione agevolata -Art. 19 comma 4bis t.u.i.r. – Esclusione -* Principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8855/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al contro ricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 6577/21/2016, depositata in data 2 novembre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In data 21 dicembre 2010 NOME COGNOME avanzava istanza di rimborso della maggiore ritenuta applicata dal datore di lavoro sulla somma percepita in data 27 aprile 2006 a titolo di ‘incentivo all’esodo’ a seguito della cessazione del suo rapporto di lavoro con l a Sviluppo Italia s.p.a. per effetto di una conciliazione stipulata l’11 aprile 2006.
Sosteneva il contribuente che la trattenuta IRPEF, effettuata applicando l’aliquota del TFR, fosse parzialmente illegittima, dovendo invece applicarsi l’art. 19 (già 17), comma 4bis, del d.P.R. del 22 dicembre 1986, n. 917, a norma del quale ‘per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori che abbiano superato l’età di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all’ articolo 16, comma 1, lettera a), l’imposta si applica con l’aliquota par i alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme indicate alla richiamata lettera a) del comma 1 dell’articolo 16′.
Avverso il silenzio rifiuto serbato dall’Ufficio il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che lo rigettava. La somma corrisposta al lavoratore appariva, secondo il giudice di primo grado , l’esito di una transazione e, benché indicata nel verbale di conciliazione come ‘incentivazione all’esodo’, non poteva costituire il frutto di una ristrutturazione aziendale.
Interposto gravame dal contribuente, l’Ufficio si costituiva eccependo, preliminarmente, la tardività della domanda di rimborso, in quanto proposta dopo lo scadere del termine di 48 mesi previsto dall’art. 38 d.P.R. n. 602/1973. L a Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello , evidenziando che le somme corrisposte dalla RAGIONE_SOCIALE per effetto della conciliazione non costituissero il corrispettivo di una transazione inerente il rapporto di lavoro, bensì un incentivo a lascia re l’azienda. Di qui
l’applicazione della più favorevole aliquota prevista dall’art. 19, comma 4bis, t.u.i.r..
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate , affidato a tre motivi. Il contribuente resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 1 2/12/2024.
Il contribuente, in data 2 dicembre 2024, ha depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione l’Ufficio deduce, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., la «violazione dell’art. 112 c.p.c. » per avere la CTR omesso qualsiasi decisione sull’eccezione di tardività della domanda di rimborso, proposta dall’Ufficio in sede di gravame.
Il motivo è infondato.
È noto che nel giudizio di legittimità la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad
un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. 14/10/2021, n. 28072).
Nella specie l ‘Ufficio ricorrente ha trascritto nel corpo del ricorso la pagina dell’atto di gravame in cui aveva avanzato l’eccezione di tardività della domanda di rimborso ; la CTR omette qualsiasi indicazione, prima ancora che qualsiasi decisione, sulla detta eccezione.
L’omissione, però, non integra il vizio denunciato, ovvero la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., atteso che alla luce del complessivo tenore della decisione nella specie ricorre un implicito rigetto dell’eccezione de qua .
I confini tra ‘omessa pronuncia’ (denunziabile con la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.) ed il ‘rigetto implicito’ sono stati tracciati da tempo da questa Corte; si è costantemente affermato che ricorre la statuizione implicita di rigetto di una dom anda o di un’eccezione quando la pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia, nel senso che la domanda o l’eccezione, pur se non espressamente trattate, siano superate o travolte dalla soluzione di altra questione, il cui esame presuppone, come necessario antecedente logicogiuridico, la loro irrilevanza o infondatezza (da ultimo, Cass. 26/09/2024, n. 25710).
Nella specie, la CTR ha ritenuto fondata l’istanza di rimborso avanzata dal contribuente, in tal modo implicitamente superando qualsiasi eccezione e/o questione relativa alla sua tempestività.
Con il secondo strumento di impugnazione l’Ufficio lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.p.r. 602/73, ex art. 360 n. 3 c.p.c.». Sostiene, in particolare, che l’istanza di rimborso sarebbe stata nella specie proposta tardivamente, ovvero dopo il decorso del termine (48 mesi dalla data in cui è stata operata la ritenuta) previsto dall’art. 38, d.P.R. n. 602/1973. Invero, la domanda di rimborso era stata presentata il 21 dicembre 2010, la ritenuta era stata operata il 27 aprile 2006 (data in cui veniva
versata al contribuente la somma a titolo di incentivo all’esodo, previa applicazione della tassazione separata).
Il contribuente si difende rilevando che, trattandosi di tassazione separata, la procedura di liquidazione delle imposte sui redditi costituenti somme versate a titolo di incentivo all’esodo si articola in due fasi: la prima, che interviene al momento dell ‘erogazione della somma, in cui viene effettuato un versamento in acconto ed il reddito è soggetto ad una tassazione provvisoria; la seconda, in cui l’Ufficio provvede alla liquidazione definitiva del tributo comunicandola al contribuente. Solo da questo secondo momento decorre, secondo il contribuente, il termine di 48 mesi previsto dalla citata norma e, nella specie, sarebbe stato rispettato essendo la comunicazione intervenuta solo l’8 agosto 2010.
Il motivo – ammissibile in quanto la tardività della domanda di rimborso può essere fatta valere dall’Ufficio per la prima volta anche in appello (cfr., ex multis , Cass. 15/03/2017, n. 6672) – è infondato, dovendo ritenersi condivisibile la lettura proposta dal controricorrente.
Invero, secondo costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 12/03/2014, n. 5653), «in tema di rimborso delle imposte sui redditi, e nell’ipotesi in cui l’importo del quale si chiede la restituzione fosse da considerarsi dovuto, nel momento in cui è stato corrisposto, ancorché in base ad un titolo precario e provvisorio da verificare integralmente all’atto della concretizzazione nella sua effettiva misura, il termine di decadenza di diciotto mesi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 22 settembre 1973, n. 602, per la proposizione della relativa istanza, decorre dalla data di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, tanto più in caso di ritenute IRPEF operate dal datore di lavoro quale sostituto d’imposta, poiché solo con il CUD il contribuente viene a conoscenza dell’importo di queste ultime e solo con la dichiarazione, nella quale vengono trasfusi i dati del CUD, è in grado di verificare se vi sono somme per le quali ha diritto al rimborso».
Si è, poi, precisato che «il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche» (Cass. Sez. U. 16/06/2014, n. 13676).
Orbene, nella specie il dies a quo va individuato nel momento della presentazione della dichiarazione annuale, ovvero nel 2007 (per l’anno di imposta 2006), per cui l’istanza di rimborso, presentata il 21 dicembre 2010, deve ritenersi tempestiva.
3. Con il terzo motivo l’Ufficio lamenta la «violazione degli artt.19 comma 4 bis TUIR, ratione temporis vigente, ex art. 360 n. 3 c.p.c.». Contesta la qualificazione giuridica della natura dell’elargizione, compiuta dalla CTR; in particolare, l’espressione ‘a titolo di incentivo all’esodo’ contenuta nel verbale di conciliazione rappresenterebbe una mera formula di stile, non integrando la ‘causa’ della somma corrisposta al contribuente, a fronte di una ‘già avvenuta cessazione del rapporto di lavoro’ (pag. 8 del ricorso) e ‘a seguito di una transazione finalizzata a chiudere una controversia insorta tra le parti’ (pag. 9).
Il motivo è fondato.
3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’art. 19 (già 17), comma 4bis, d.P.R. n. 917/1986 – nella formulazione vigente ratione temporis – che ha introdotto per i contributi d’incentivo all’esodo dei lavoratori dipendenti un’aliquota dimezzata rispetto a quella per il trattamento di fine rapporto, si applica alle
somme corrisposte al lavoratore a titolo d’incentivo per le dimissioni anticipate, indipendentemente dal carattere individuale o collettivo della corrispondente pattuizione ( ex multis , Cass. 28/12/2018, n. 33628). Si è, altresì, evidenziato che le agevolazioni di cui alla norma in commento costituiscono eccezioni, di strettissima interpretazione, al regime comune, insuscettibili di trovare applicazione analogica in quanto pongono una deroga al principio di capacità contributiva, sicché tutto quanto non sia sussumibile con certezza nella speciale previsione agevolativa ricade nel regime fiscale ordinario; la prova dei presupposti di fatto cui le agevolazioni sono collegate deve essere fornita dal contribuente che la invoca (Cass. 06/02/2009, n. 2931).
Con particolare riferimento alle somme erogate al lavoratore in sede di conciliazione giudiziale e qualificate nella transazione come ‘incentivo all’esodo’, questa Corte ha già affermato che la conciliazione di lavoro, presupponendo una lite attuale o potenziale dalla quale si è originata, ha presupposti del tutto diversi ed incompatibili con il cd. incentivo all’esodo (Cass. 30/01/2020, n. 2147).
3.2. Alla luce di tali principi, non vi è dubbio, allora, che la fattispecie in esame esuli dalle disposizioni richiamate.
Invero, la conciliazione di lavoro intervenuta inter partes ha determinato lo scioglimento anticipato del rapporto di lavoro ed è scaturita dall’impugnativa innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Roma, da parte del lavoratore, del licenziamento per giusta causa intimato dalla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE; nel capo E) della premessa dell’accordo si legge espressamente che le parti, ‘al fine d i eliminare il rischio della controversia’, hanno raggiunto un accordo che prevede: a) la revoca del licenziamento intimato; b) la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro alla data del licenziamento; c) l’erogazione al lavoratore di una somma ‘diretta ad agevolare la sua accettazione della risoluzione del rapporto di lavoro e la rinuncia alla impugnativa proposta’.
Ora, la somma erogata, pari ad € 185.000,00 netti, nonostante il diverso titolo (incentivo all’esodo) contenuto nell’accordo (art. 5), non può essere qualificata in detti termini, atteso che il presupposto di fatto da cui si è originato tale versamento ha una causa propria e diversa ( in primis , transigere la controversia in corso) da quella che riguarda la corresponsione di somme per incentivare l’esodo anticipato di un lavoratore prossimo alla pensione, finalità, quest’ultima, che la norma in parole perseg ue, stabilendo specifici ed inderogabili requisiti. Non a caso nell’accordo il lavoratore dichiara che con la ricezione di detto importo non ha più nulla a pretendere dalla società datrice di lavoro per qualsiasi ‘titolo, azione o ragione’ connessi con il pregresso rapporto di lavoro (ad es. TFR, benefits, differenze retributive, previdenza ed assistenza integrative).
Ha ragione, dunque, la ricorrente di dolersi dell’errata qualificazione giuridica della fattispecie da parte della CTR e della violazione delle norme che regolano la materia, in base alle quali, invece, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto ritenere legittimo il rilievo mosso dall’Agenzia delle entrate nei confronti del COGNOME, considerato sia il contenuto della conciliazione, sia la circostanza che la società datrice di lavoro nulla ha provato circa i presupposti di fatto cui le agevolazioni invocate sono collegate per legge.
Tra l’altro, al momento della corresponsione delle somme il rapporto di lavoro era già cessato (a far data dal licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro), per cui non è nemmeno possibile parlare di somme erogate a titolo di ‘incentivo all’esodo’ dal rapporto di lavoro, in quanto questo si era già risolto. Di qui l’ulteriore conferma della completa diversità della causa di detta corresponsione, ovvero porre fine alla lite in corso e riconoscere al lavoratore gli importi al medesimo spettanti per vari titoli (TFR, previdenza, ecc.) connessi al rapporto di lavoro.
3.3. Deve essere, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: «le somme erogate dal datore di lavoro al lavoratore in sede di una conciliazione giudiziale, stipulata al fine di porre fine ad una
lite avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa ed il conseguente riconoscimento di spettanze economiche, non integrano un ‘incentivo all’esodo’ e, ove pure siano così espressamente qualificate dalle parti nell’accordo di conciliazione , non beneficiano per ciò solo della tassazione agevolata di cui all’art. 19 (già 17), comma 4-bis, t.u.i.r.».
3.4. Il terzo motivo va, in definitiva, accolto e la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, atteso che, non essendo necessari accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.
Le spese delle fasi di merito e del giudizio di legittimità restano compensate in ragione dell’andamento del giudizio e dell’incertezza giurisprudenziale circa l’applicabilità in tale ipotesi -dell’aliquota agevolata prevista dall’art. 19, comma 4bis, t.u.i.r., avuto riguardo al momento della proposizione del ricorso per cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.
Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.