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Incasso giuridico: tassabile la rinuncia al credito

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’utilizzo di un credito vantato da un socio verso la propria società per sottoscrivere un aumento di capitale costituisce un ‘incasso giuridico’. Tale operazione, avvenuta prima delle riforme del 2016, genera un reddito diverso tassabile, pari alla differenza tra il valore del credito utilizzato e il costo di acquisto. La Corte ha chiarito che l’atto che determina la tassazione è l’effettivo utilizzo del credito, non una sua precedente e generica rinuncia.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Incasso Giuridico: la Cassazione chiarisce la tassabilità della rinuncia al credito del socio

La gestione dei rapporti finanziari tra un socio e la propria società può nascondere insidie fiscali significative. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale per le operazioni avvenute prima del 2016: l’incasso giuridico. Con questa pronuncia, i giudici hanno chiarito che l’utilizzo di un credito, vantato da un socio, per sottoscrivere un aumento di capitale della società partecipata equivale a un incasso effettivo, generando un reddito tassabile. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una complessa operazione finanziaria. Un contribuente, socio di una società, aveva acquistato a un prezzo molto basso un credito di importo nominale elevato verso un’altra società, successivamente incorporata in quella di cui era socio. In un primo momento, il contribuente sembrava aver rinunciato a tale credito. Tuttavia, in un secondo momento, una società fiduciaria, per conto del socio, ordinava alla società debitrice di utilizzare parte di quel credito per coprire l’aumento di capitale sottoscritto dallo stesso socio.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo che tale operazione avesse generato una plusvalenza, contestava al contribuente un ‘reddito diverso’, pari alla differenza tra l’importo del credito utilizzato per l’aumento di capitale e il prezzo originariamente pagato per l’acquisto del credito stesso. Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato ragione al contribuente, considerando l’operazione come una mera rinuncia al credito finalizzata alla patrimonializzazione della società, e quindi non tassabile.

La Decisione della Corte sull’Incasso Giuridico

La Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Il punto centrale della sentenza risiede nell’applicazione della teoria dell’incasso giuridico. Secondo la Suprema Corte, sebbene non vi sia stato un passaggio materiale di denaro, il socio ha conseguito e utilizzato il suo credito nel momento in cui lo ha impiegato per liberarsi dall’obbligo di versare i conferimenti dovuti per la sottoscrizione dell’aumento di capitale.

Questo utilizzo, hanno spiegato i giudici, rappresenta una manifestazione di ricchezza e la piena disponibilità del credito, equiparabile a un incasso vero e proprio. Di conseguenza, la differenza positiva tra il valore nominale del credito utilizzato e il suo costo d’acquisto costituisce una plusvalenza tassabile come ‘reddito diverso’ ai sensi dell’art. 67 del TUIR.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando la giurisprudenza consolidata applicabile alla disciplina fiscale antecedente le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 147 del 2015 (in vigore dal 2016). Prima di tale riforma, la teoria dell’incasso giuridico era stata sviluppata per evitare il cosiddetto ‘salto d’imposta’: una situazione in cui un valore economico non veniva tassato né in capo alla società (che deduceva il costo) né in capo al socio creditore (che rinunciava all’incasso).

La ‘fictio iuris’ (finzione giuridica) dell’incasso giuridico equipara la rinuncia, quando utilizzata per finalità come l’aumento di capitale, a un incasso materiale, rendendo così imponibile la plusvalenza per il creditore. La Corte ha inoltre precisato che il momento fiscalmente rilevante non è una generica rinuncia avvenuta in passato, ma l’anno in cui il credito è stato effettivamente utilizzato, ovvero quando la società fiduciaria ha dato l’ordine di imputare il credito a copertura dell’aumento di capitale.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per le operazioni societarie e fiscali antecedenti al 2016. La rinuncia a un credito da parte di un socio non è un’operazione fiscalmente neutra se, di fatto, si traduce in un utilizzo del credito stesso per ottenere un vantaggio patrimoniale, come l’aumento della propria partecipazione senza un esborso di denaro. In tali circostanze, scatta la presunzione di incasso giuridico, con la conseguente tassazione della plusvalenza realizzata. La decisione serve da monito sulla necessità di analizzare attentamente la sostanza economica delle operazioni finanziarie, al di là della loro forma giuridica, per valutarne le corrette implicazioni fiscali.

La rinuncia di un socio a un credito verso la propria società è sempre un evento fiscalmente rilevante?
No, non sempre. Secondo la sentenza, che si riferisce alla normativa in vigore prima del 2016, lo diventa quando la rinuncia non è fine a sé stessa ma costituisce la modalità con cui il credito viene utilizzato per altri scopi, come ad esempio sottoscrivere un aumento di capitale. In questo caso, si configura un ‘incasso giuridico’ e la plusvalenza diventa tassabile.

Che cos’è esattamente l’incasso giuridico?
L’incasso giuridico è una finzione legale secondo la quale un credito si considera incassato, e quindi fiscalmente rilevante, anche in assenza di un effettivo pagamento monetario. Ciò avviene quando il titolare del credito ne acquisisce la piena disponibilità giuridica e lo utilizza per realizzare un vantaggio economico, come estinguere un debito o acquisire nuove quote societarie.

Questa regola vale ancora oggi?
No. La Corte chiarisce che questa giurisprudenza si applica alla disciplina in vigore prima delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 147 del 2015 (efficaci dal 2016). La nuova normativa ha modificato il trattamento fiscale della rinuncia dei soci ai crediti, creando un regime diverso e più strutturato che non è retroattivo e quindi non si applica al caso in esame, relativo all’anno d’imposta 2009.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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