Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19700 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19700 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata presso L’Avvocatura generale dello Stato, che la difende ex lege;
– ricorrente
–
contro
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME – controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, n. 170 depositata il 17 gennaio 2020.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del tre giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Dato atto che la difesa erariale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Dato atto che i difensori del controricorrente, avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto il rigetto del ricorso .
RILEVATO CHE
Incasso giuridico disciplina ante 2015
1.L’Agenzia premetteva che nel 2003 il contribuente si rendeva cessionario di un credito di € 7.500.000 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (per il corrispettivo di € 150.000,00), società che con effetto dal 1° gennaio 2008 conferiva un ramo d’azienda alla RAGIONE_SOCIALE, di cui il Serra era socio, e in cui era espressamente ricompreso il debito verso il Serra, e che lo stesso nel corso del 2008 rinunciava a tale credito. Sottolineava la difesa erariale che però con missiva del 10 giugno 2009 SOFIR (società fiduciaria del Serra che per suo conto aveva trattato la cessione del credito, acquistato per € 150.000,00), indirizzata a RAGIONE_SOCIALE (nuova denominazione di RAGIONE_SOCIALE con Serra socio al 40 % ed amministratore) ordinava alla stessa RAGIONE_SOCIALE di imputare € 3.847.500,00 dovuti dal Serra a titolo di costo dell’aumento di capitale frattanto deliberato, al credito vantato di cui sopra; di procedere altresì a contabilizzare € 3.142.000 a titolo di versamento in conto aumento capitale da parte del Serra; di versare infine alla stessa RAGIONE_SOCIALE l’importo corrispondente al residuo credito, pari ad € 510.000. Elementi supportati anche dalla corrispondenza del Serra con la suddetta fiduciaria RAGIONE_SOCIALE.
Nella contabilità della RAGIONE_SOCIALE. l’aumento sottoscritto dal Serra veniva imputato a ‘versamenti in conto aumenti capitale’ (voce di patrimonio netto), a sua volta voce accesa per storno dal conto debito verso SOFIR per € 3.847.000, peraltro prima dell’intestazione formale del credito SOFIR, in capo al Serra, e prima che quest’ultimo comunicasse la volontà di sottoscrivere le azioni non optate da altri soci (parte di quelle corrispondenti al ridetto importo di € 3.847.000).
Alfine l’ufficio ha ritenuto che appunto nel 2009, a mezzo dell’operazione sopra descritta, il Serra abbia conseguito un reddito, derivante dalla differenza con il prezzo d’acquisto del
credito, al di fuori dell’attività d’impresa e dunque qual ‘reddito diverso’ ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c -quinquies, TUIR.
La CTP accoglieva il ricorso, ritenendo in sostanza che l’operazione abbia avuto consistenza di rinuncia di credito volta a consentire la patrimonializzazione della società, posto che dopo l’aumento del capitale non avvenne alcuna riduzione del capitale sociale o distribuzione di utili o di riserve.
Orbene la rinuncia del credito verso la società partecipata non sarebbe tassabile in quanto la patrimonializzazione si rifletterebbe nell’attivo del partecipante attraverso l’aumento del costo di partecipazione.
La CTR, adìta in sede d’appello dall’Agenzia, aderiva alla decisione di primo grado, ulteriormente osservando che alcuna compensazione si era verificata fra quanto doveva essere versato a titolo di aumento di capitale e credito, in quanto nel 2009 non esisteva più alcun credito.
L’Agenzia ricorre in cassazione affidandosi a due motivi.
Il contribuente resiste a mezzo di controricorso e da ultimo ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
In funzione dell’esame prioritario della ragione più liquida, deve procedersi allo scrutinio del secondo motivo, con cui si deduce violazione dell’art. 67, comma 1, lett. c -quinquies , TUIR, in quanto la CTR avrebbe errato nel ritenere infondata la ‘tesi’ dell’incasso giuridico, consistente nella trasformazione del credito in un aumento del patrimonio della società di cui il creditore è socio.
Secondo la CTR l’imposizione dei redditi è connotata dal principio di cassa che a sua volta implicherebbe la percezione dei proventi.
1.1. Sul punto la sentenza è piuttosto confusa, perché parte con il presupposto che sia la rinuncia alla base dell’incasso giuridico, per poi riprendere la contestazione in ordine alla compensazione del
credito, osservando sempre che non ve ne erano i presupposti dal momento che il credito era ormai stato rinunciato.
Tuttavia, risulta che ancora nel 2009 il credito del Serra sopravviveva, e venne appunto utilizzato allo scopo di far fronte al costo previsto per la sottoscrizione dell’aumento del capitale, poi di fatto intestato al Serra stesso, oltre che a richiedere il saldo di € 510 mila da versarsi alla fiduciaria RAGIONE_SOCIALE. E ciò sulla base della corrispondenza intercorrente tra la suddetta RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE
1.2. Questa Corte ha affrontato il tema dell’incasso giuridico, ritenendo la tassabilità dei crediti dei soci nei confronti della società ove gli stessi pur non materialmente incassati, siano comunque stati conseguiti od utilizzati, in particolare comportando l’aumento del patrimonio sociale e quindi quello del valore delle relative quote (cfr. Cass. n. 26842/14; 20057/20).
Tale giurisprudenza è sì mutata a seguito delle modifiche intervenute in proposito all’art. 88 TUIR, ma la stessa non è applicabile alla presente fattispecie.
Si è infatti affermato (Cass. n. 16595/2023), con riferimento alla disciplina anteriore al 2015, che
‘La teoria volta a dare rilievo fiscale, in caso di rinuncia dei soci ai crediti vantati nei confronti della società partecipata, al c.d. «incasso giuridico» riflette detta ambiguità e si fonda, pacificamente, su una fictio iuris atteso che la rinuncia, sul piano della tassazione, viene equiparata ad un incasso, pur materialmente inesistente, con conseguente imponibilità dello stesso. Il presupposto da cui muove la teoria dell’incasso giuridico -risalente alla circolare n. 73/E/430 del 27 maggio 1994 e fatta propria dalla giurisprudenza della Corte -è che i crediti ai quali il socio rinuncia vanno portati ad aumento del costo della partecipazione e per la società partecipata non costituiscono sopravvenienze. Ne consegue che detta rinuncia, ove abbia ad
oggetto (come nel caso degli interessi su finanziamenti erogati dai soci, ma anche dei compensi spettanti agli amministratori) potenziali redditi soggetti a tassazione per cassa, determina un «salto d’imposta» in quanto il credito è correlato ad un elemento reddito deducibile per il debitore secondo il principio di competenza ed è tassabile per il creditore secondo il principio di cassa. Di qui la necessità, mediante una fictio iuris, di equiparare, ai fini fiscali, la rinuncia all’incasso e di sottoporne l’ammontare a prelievo fiscale, anche mediante ritenuta d’imposta. Secondo detta ricostruzione, la rinuncia al credito tassato per cassa determina effetti reddituali e, come tale, subisce il prelievo fiscale al pari del credito effettivamente incassato e riversato a titolo di apporto di capitale. Infatti, con la rinuncia viene meno l’incasso materiale ma non la disponibilità giuridica del credito che viene utilizzato per patrimonializzare la società (In questo senso Cass. 18/12/2014, n. 26842, Cass. 26/01/2016, n. 1335, seguite da Cass. 30 gennaio 2020, n. 2057 ed ancora da Cass. 14/04/2022, nn. 12222 e 12223 e da Cass. 19/07/2022, n. 22609).’
Invero si legge ancora ‘La descritta fictio iuris per rimediare al salto di imposta, trovava la sua ragion d’essere nel testo previgente dell’art. 55 (ora 88), comma 4, t.u.i.r. prima delle modifiche apportate con il d.lgs. n. 147 del 2015 -che escludeva dalla nozione di sopravvenienze attive, fiscalmente rilevanti, tutte le rinunce dei soci ai crediti vantati nei confronti della società, sia di natura finanziaria che commerciale, indipendentemente dalla loro proporzionalità. A prescindere, pertanto, dal dibattito sull’attribuzione alla rinuncia di una valenza reddituale o patrimoniale, la norma richiamata ne sanciva espressamente l’irrilevanza, ai fini della formazione del reddito; detto regime era giustificato -in questo senso si esprimevano le circolari 41/E del 5 aprile 2001 e 152/E del 22 maggio 2002 -dall’interesse del socio alle vicende della società partecipata che induceva a valutare la
rinuncia al credito, non alla stregua di un atto di liberalità o della rimessione del debito da parte di un terzo, ma come espressione della volontà di patrimonializzare la società’.
Ebbene sempre la predetta pronuncia ricorda che ‘L’Assetto normativo è mutato in virtù delle modifiche apportate dall’art. 13 d.lgs. n. 147 del 2015. Con la modifica, il trattamento della rinuncia del socio non trova più collocazione nell’art. 88, comma 4, t.u.i.r., ma nel successivo comma 4-bis il quale prevede, nel testo applicabile alla fattispecie, che la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva solo per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Inoltre, il nuovo testo impone al socio di comunicare il valore del credito alla partecipata mediante apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio; in assenza di comunicazione, il valore assunto è pari a zero, con conseguente tassazione dell’intera rinuncia, fiscalmente qualificata come sopravvenienza attiva. Correlativamente, gli artt. 94, comma 6, e 101, comma 7, t.u.i.r. hanno previsto, sul versante del socio, che l’ammontare della rinuncia al credito che si aggiunge al costo della partecipazione è nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia; che la rinuncia non è ammessa in deduzione e che il relativo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione sempre nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito. Il nuovo regime, pertanto, ha posto in correlazione il valore fiscale del credito oggetto di rinuncia e la detassazione. A seguito della rinuncia, il socio aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore. Accade, pertanto, che la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero, come per i crediti legati ad un reddito tassato per cassa, non incrementa il valore fiscale della partecipazione, diversamente da quanto prospettato nel precedente regime sia dalla Agenzia delle Entrate che da questa Corte a sostegno della teoria dell’incasso
giuridico. Di contro, detta rinuncia comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata. Le asimmetrie cui la regola dell’incasso giuridico intendeva porre rimedio sono state, pertanto, risolte dal legislatore mutando la disciplina dell’art. 88 t.u.i.r. sul versante della società partecipata e degli artt. 94 e 101 sul versante del socio creditore. ‘
Tale ultima disciplina però trova applicazione solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore, pertanto dal 2016, laddove nella specie si tratta dell’anno d’imposta 2009 (art. 13, comma 2, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147).
Nella specie, dunque, si ebbe l’utilizzo del credito ‘rinunciato’ proprio per far fronte all’aumento di capitale sottoscritto dal Serra.
Alla luce di tutto quanto precede il motivo dev’essere accolto.
2.3. Da ultimo sul punto va rammentato che l’osservazione secondo cui al più anche sposando la tesi dell’incasso giuridico si dovrebbe fare riferimento al reddito 2008 e non a quello oggetto di causa, cioè il 2009, è infondata.
Invero è pacifico che la missiva di cui s’è riferito, inoltrata dalla fiduciaria, risale al 2009, in cui soltanto venne emesso l’ordine di imputazione del credito per far fronte all’aumento del capitale, ed è allora quello l’anno di imposta cui si deve far riferimento, perché in quell’anno s’è manifestato l’utilizzo.
Col primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729, cod. civ.; 115, cod. proc. civ, 88 comma 4, TUIR.
A parere della difesa erariale, la CTR avrebbe fondato la propria decisione sull’asserita rinuncia del credito da parte del Serra anteriormente all’aumento del capitale, che sarebbe stata ammessa dallo stesso ufficio.
3.1. L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento di quello in esame.
In definitiva il ricorso dev’essere accolto, e la sentenza va cassata con rinvio al giudice dell’appello che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2025