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Inammissibilità ricorso per definizione agevolata

Un contribuente ha chiesto l’estinzione del giudizio tributario in Cassazione, sostenendo di aver aderito a una definizione agevolata. La Suprema Corte ha chiarito che la sola adesione non è sufficiente a estinguere il processo, ma dimostra una carenza di interesse a proseguire. Di conseguenza, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, compensando le spese legali tra le parti.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Inammissibilità ricorso: quando la definizione agevolata non basta

L’adesione a una sanatoria fiscale, nota come ‘definizione agevolata’, rappresenta spesso una via d’uscita per i contribuenti con liti pendenti. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la sola presentazione della domanda non è sufficiente a estinguere automaticamente il giudizio in corso. Anzi, può portare a una dichiarazione di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Un contribuente, nel corso di un giudizio pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, ha presentato un’istanza per far dichiarare l’estinzione del processo. La motivazione addotta era la ‘cessata materia del contendere’, derivante dall’aver aderito alla procedura di definizione agevolata prevista dalla normativa sulle sanatorie fiscali (d.l. n. 193/2016). In pratica, il ricorrente riteneva che l’aver ‘fatto pace’ con il Fisco rendesse superfluo il proseguimento della causa.

L’impatto della definizione agevolata sull’inammissibilità del ricorso

La Suprema Corte ha respinto la richiesta di estinzione, fornendo una lettura rigorosa della procedura. Secondo i giudici, la scelta di aderire alla definizione agevolata non costituisce una rinuncia definitiva e formale al ricorso, ma piuttosto un impegno a rinunciare. Per ottenere l’effettiva estinzione del giudizio, la parte interessata deve compiere un passo ulteriore: depositare un atto processuale di rinuncia che faccia esplicito riferimento alla domanda di sanatoria. Senza questo atto formale, non può esserci né una rinuncia efficace né, di conseguenza, una dichiarazione di estinzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha fondato la propria decisione su consolidati principi giurisprudenziali. Citando precedenti pronunce (Cass. n. 15722/2023), ha ribadito che la domanda di definizione agevolata è solo un presupposto e non equivale a una rinuncia processuale. Inoltre, richiamando una recentissima ordinanza (n. 24479/2024), ha specificato che l’estinzione del giudizio in questi casi può essere chiesta solo dopo l’integrale pagamento di tutte le rate previste dalla sanatoria.

Nonostante ciò, i giudici hanno riconosciuto che l’istanza presentata dal contribuente, sebbene irrituale per ottenere l’estinzione, assume un altro valore: quello di prova della sua ‘sopravvenuta carenza di interesse’ a proseguire il ricorso. Chi aderisce a una sanatoria, infatti, dimostra di non avere più interesse a una decisione nel merito della controversia. Questa mancanza di interesse è una causa di inammissibilità del ricorso, che ne impedisce l’esame nel merito. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’inammissibilità sopravvenuta del ricorso, compensando le spese legali tra le parti proprio in virtù della procedura clemenziale intrapresa.

Conclusioni

La decisione in esame offre una lezione pratica fondamentale per contribuenti e professionisti. L’adesione a una definizione agevolata non chiude automaticamente la partita processuale. Per evitare una declaratoria di inammissibilità e per gestire correttamente la chiusura del contenzioso, è necessario depositare un formale atto di rinuncia al ricorso. In assenza di tale atto, la richiesta di sanatoria, pur non estinguendo il giudizio, ne segnerà comunque la fine attraverso una pronuncia di inammissibilità per carenza di interesse, con la possibile compensazione delle spese legali.

Aderire a una definizione agevolata è sufficiente per estinguere automaticamente un processo tributario?
No, secondo la Corte di Cassazione la sola adesione a una definizione agevolata non è sufficiente. Essa costituisce un impegno a rinunciare, ma non una rinuncia definitiva ed efficace.

Cosa deve fare il contribuente per ottenere l’estinzione del giudizio dopo aver aderito a una sanatoria?
Per ottenere l’estinzione, il contribuente deve depositare un apposito atto processuale di rinuncia al ricorso, che faccia riferimento alla domanda di definizione agevolata. Inoltre, la Corte specifica che l’estinzione può essere chiesta solo dopo il completo pagamento delle somme dovute.

Cosa succede se un contribuente chiede l’estinzione sulla base della sola domanda di definizione agevolata?
Sebbene la richiesta di estinzione venga respinta, tale istanza viene interpretata dalla Corte come una dimostrazione di ‘sopravvenuta carenza di interesse’ a proseguire la causa. Questo porta a una dichiarazione di inammissibilità del ricorso, che di fatto pone fine al giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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