Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12454 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12454 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 21822/2017 proposto da:
COGNOME Luigi, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME entrambi elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAILsalerno.it
– ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– controricorrente –
e nei confronti di
Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore ;
Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Salerno, nella persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimate – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, sezione staccata di Salerno, n. 2234/09/2017, depositata in data 10 marzo 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
L a Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME Luigi avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile il ricorso avente ad oggetto l’estratto di ruolo e la cartella n. 10020120044026046/000, riferita ad Iva ed altro per l’annualità 2009.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che:
-) la sentenza di primo grado doveva essere annullata in quanto, preliminarmente, la cartella di pagamento poteva essere impugnata mediante l’estratto di ruolo;
-) nel merito, l’eccezione relativa all’irregolarità della notifica era infondata, dal momento che la notificazione poteva essere eseguita direttamente dall’esattore, mediante il servizio postale di Poste Italiane, senza l’intermediazione dei soggetti previsti dall’art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973;
-) il contribuente aveva prodotto prova documentale, versata in atti, della regolare notifica della cartella esattoriale richiamata
nell’impugnato estratto di ruolo effettuata alla moglie del ricorrente (COGNOME NOME).
COGNOME Luigi ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a dieci motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate -Riscossione e la Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Salerno non hanno svolto difese.
Con proposta ex art. 380 bis , comma 1, cod. proc. civ., debitamente comunicata, il consigliere delegato ha concluso per la manifesta inammissibilità del ricorso e il ricorrente ha tempestivamente presentato rituale istanza di decisione del ricorso corredata da nuova procura speciale, ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c.
COGNOME Luigi ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va rilevato che l’Avv. NOME COGNOME pur avendo dichiarato nell’istanza di decisione del ricorso presentata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., di agire anche per proprio conto, non assume tale veste ma rappresenta e difende, giusta procura speciale in atti, il ricorrente COGNOME Luigi.
In via gradatamente preliminare va rigettata l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza formulata dal ricorrente sia nel ricorso per cassazione, sia nell’atto di opposizione ex art. 380 bis c.p.c.
Ed invero, s enza prescindere dalla previsione normativa di cui all’art. 380 bis c.p.c. che dispone che, se entro il termine indicato al secondo comma (quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione del giudizio) la parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore, chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380 bis 1 c.p.c., che prevede la fissazione del ricorso in camera di consiglio (e non già in pubblica udienza), deve, comunque, affermarsi,
in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, che il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. U., 23 aprile 2020, n. 8093).
Così, nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti e i principi stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito, così da far ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (cfr. Cass. 20 novembre 2020, n. 26480). Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, va sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di «particolari ragioni giustificative», ove «obiettive e razionali» (in particolare, Corte cost. 11 marzo 2011, n. 80).
Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perché il ricorrente ha illustrato compiutamente la propria posizione negli atti di causa.
Inoltre, come già precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, « Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio
investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa » (Cass., Sez. U., 10 aprile 2024, n. 9611).
4. Il ricorrente ha chiesto la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per la cancellazione automatica del debito ex art. 4, comma 1, del decreto legge n. 119 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 136 del 2018, ed ex art. 4, comma 4, del decreto legge Sostegni n. 41 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 69 del 2021.
Si tratta di una richiesta che non può essere accolta in assenza di qualsiasi documentazione che riscontri la riconducibilità della pretesa tributaria oggetto del presente giudizio per natura giuridica, ammontare ed arco temporale di riferimento nell’ambito operativo delle disposizioni sopra riportate.
Ed invero, l ‘ art. 4, comma 1, decreto legge n. 119 del 2018 ha stabilito che « i debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 10 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati. L’annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018 per consentire il regolare svolgimento dei necessari adempimenti tecnici e contabili »; l’art. 16 quater del decreto legge n. 34 del 2019,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 58 del 2019, ha poi aggiunto che « Gli enti creditori, sulla base dell’elenco trasmesso dall’agente della riscossione, adeguano le proprie scritture contabili entro la data del 31 dicembre 2019, tenendo conto degli eventuali effetti negativi già nel corso della gestione e vincolando allo scopo le eventuali risorse disponibili alla data della comunicazione ».
Questa Corte, con ordinanza n. 34841 del 13 dicembre 2023, ha chiarito che:
il limite di valore si riferisce ai debiti di importo residuo comprensivi di sorte capitale, interessi e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati all’agente della riscossione dal 10 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, mentre non si tiene conto degli interessi di mora e dell’aggio della riscossione;
soprattutto tale limite è riferito al «singolo carico affidato», sicché nell’ambito operativo della norma rientrano tutte quelle cartelle, anche di importo complessivo ben superiore a 1.000,00 euro, il cui singolo carico affidato all’agente della riscossione non superi l’importo di mille euro;
per «carico» (da calcolare alla data di entrata in vigore del decreto 24 ottobre 2018) si intende, infatti, la singola partita di ruolo, cioè (l’insieme dell’imposta, delle sanzioni e degli interessi accessori), per cui oggetto del condono è il singolo debito e non l’importo complessivo della cartella;
pertanto, lo stralcio automatico da parte del fisco riguarda, con effetto al 31 dicembre 2018, le cartelle esattoriali in cui: a) il carico risulta affidato dall’ente impositore all’agente della riscossione tra il 10 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010; b) i debiti (risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione) alla data del 24 ottobre 2018 sono di importo residuo massimo di 1.000,00 euro (comprensivo di sanzioni ed interessi) (cfr. tra le tante, Cass., 18 giugno 2020, n.
11817; Cass., 27 agosto 2020, n. 11966; Cass., 15 luglio 2021, n. 20254);
l’annullamento ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 119 del 2018 opera automaticamente, ipso iure , in presenza dei presupposti di legge e, con riferimento ai debiti litigiosi, determina l’estinzione del processo per cessata materia del contendere, senza che assuma rilievo la mancata adozione del provvedimento di sgravio, trattandosi di atto dovuto meramente dichiarativo, previsto solo per consentire i necessari adempimenti tecnici e contabili nell’ambito dei rapporti tra agenti di riscossione ed enti impositori (Cass., 7 giugno 2019, n. 15471);
-l’annullamento ope legis del pertinente carico tributario comporta la conseguente nullità della cartella di pagamento impugnata dal contribuente, con cessazione della materia del contendere ed estinzione del processo e la compensazione tra le medesime delle spese processuali, per effetto della definizione ope legis della controversia in virtù di un fatto estraneo alla controversia tra le parti che si impone ad esse (cfr. anche Cass. 7 giugno 2019, n. 15474, citato; Cass. 18 giugno 2020, n. 11762).
Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 26, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, 115, 116 e 132, comma primo, n. 4, c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. -inversione dell’onere della prova motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile sul punto oggetto di specifica eccezione del ricorrente -travisamento dei fatti, per non avere la CTR considerato che la copia dell’avviso di ricevimento , riguardante la notificazione della cartella di pagamento impugnata, non riproduceva l’originale, ma era una stampa di documento «tif» ovvero di immagini, ottenute da memorizzazioni sui server della società terza privata di outsourcing RAGIONE_SOCIALE, dell’avviso di
ricevimento; non erano stati prodotti la cartella e i relativi carichi di ruolo; in nessun documento era indicato chi aveva sottoscritto l’avviso di ricevimento, in quale luogo e con quale qualità, quale era il contenuto della pretesa; l’indirizzo indicato sulla cartella (INDIRIZZO Serre -SA) non era al momento della sua spedizione più ricollegabile al ricorrente, quale sede della sua attività d’impresa, in quanto chiusa in data 8 settembre 2009, mentre la residenza e il domicilio dell’Aniello erano ubicati in INDIRIZZO di Serre (SA); neppure la persona che aveva ritirato l’atto era ricollegabile al ricorrente; in prossimità dell’indirizzo errato indicato nell’atto contestato era residente un omonimo del ricorrente; la notificazione della cartella di pagamento doveva, pertanto, ritenersi inesistente con conseguente impossibilità della sanatoria per raggiungimento dello scopo e la mancata produzione dell’originale dell’avviso di ricevimento aveva impedito al ricorrente di proporre querela di falso; la CTR, che avrebbe dovuto dichiarare inutilizzabili le prove contestate e infondata la pretesa azionata con la cartella impugnata, aveva illegittimamente operato l’inversione dell’onere della prova ponendo a carico del ricorrente un onere probatorio allo stesso non spettante; la notificazione era inesistente anche perché realizzata attraverso l’affidamento del relativo servizio a privati, estranei al rapporto di concessione e che l’agente della riscossione non aveva prodotto alcun estratto di ruolo; la motivazione della sentenza impugnata era contraddittoria, apparente sino a sconfinare nel relativo vizio di legge di assenza di motivazione dal punto di vista sostanziale.
6. Il secondo motivo d educe la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli artt. 2697 c.c. e 26, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c. -omesso riscontro della totale assenza della prova del ruolo e del credito e della sua attualità in relazione all’avvenuto pagamento al
Concessionario -mancata imputabilità per fatto del creditore -inversione dell’onere della prova – motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile sul punto oggetto di specifica eccezione del ricorrente . La CTR non aveva considerato l’eccezione formulata di avvenuto pagamento e l’Agenzia delle Entrate nemmeno aveva depositato la dichiarazione dei redditi in virtù della quale pretendeva ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 le somme iscritte a ruolo.
7. Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., mancato accertamento del difetto di motivazione della cartella impugnata -mancata valutazione dell’eccezione del ricorrente ex art. 2719 c.c. -mancato invio dell’avviso bonario espressa richiesta del ricorrente di produzione degli originali ex artt. 26, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, 214 e 215 c.p.c., motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile sul punto oggetto di specifica eccezione del ricorrente -travisamento dei fatti. La CTR, in ordine al difetto di motivazione del ruolo e della cartella impugnati, non aveva specificato alcuna diversa argomentazione limitandosi a dire che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato ; la cartella di pagamento impugnata era carente di motivazione e la pretesa non era stata dimostrata, non avendo ricevuto neppure l’avviso d’irregolarità .
8. Il quarto motivo deduce la violazione di legge e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., mancato accertamento nel termine di legge – artt. 57 del d.P.R. n. 633 e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 -art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 -decadenza dell’azione e prescrizione del diritto -estinzione dell’obbligazione insussistenza della pretesa -motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della controversia oggetto di specifica eccezione del ricorrente; la CTR, in ordine alla maturata decadenza del ruolo e della cartella
impugnati, non aveva specificato alcuna diversa argomentazione limitandosi a dire che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato.
Il quinto motivo deduce la violazione di legge e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., mancata sottoscrizione del ruolo e dell’atto impugnato illegittimità, nullità e/o inesistenza della pretesa -motivazione, omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della controversia oggetto di specifica eccezione del ricorrente. La CTR, in merito all’eccezione di omessa sottoscrizione del ruolo e degli atti impugnati, non aveva specificato alcuna diversa argomentazione limitandosi a dire che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato.
10. Il sesto motivo deduce la violazione di legge e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -mancata indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere e dell’effettivo responsabile del procedimento -illegittimità e nullità degli atti -estinzione dell’obbligazione insussistenza della pretesa -motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della controversia oggetto di specifica eccezione del ricorrente . La CTR, in merito all’eccezione circa l’omessa ind icazione del termine e dell’autorità cui ricorrere , non aveva argomentato in alcun modo limitandosi a dichiarare che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato.
11. Il settimo motivo deduce la violazione de ll’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -incertezza dei conteggi relativi ad interessi e sanzioni -mancata indicazione del metodo di calcolo -violazione del diritto di difesa -nullità della cartella -motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della
contro
versia oggetto di specifica eccezione del ricorrente. La CTR, in merito all’eccezione circa l’incertezza dei conteggi relativi agli interessi e sanzioni, in alcun modo opponeva motivi limitandosi a dichiarare che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato.
12. L’ottavo motivo deduce la violazione de ll’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -violazione degli artt. 148 e 156 c.p.c. -omessa redazione della relata di notifica in calce agli atti -violazione del diritto di difesa -nullità della cartella -motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della controversia oggetto di specifica eccezione del ricorrente. La CTR, in merito all’eccezione del ricorrente relativa alla relazione della relata non in calce all’ atto impugnato, non aveva argomentato nulla limitandosi a dichiarare che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato.
13. Il nono motivo deduce la violazione de ll’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -IVA -mancanza presupposto impositivo -difetto di motivazione -insussistenza e infondatezza della pretesa -decadenza dell’azione motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della controversia oggetto di specifica eccezione del ricorrente. La CTR, in merito alle eccezioni del ricorrente in ordine alla carenza delle condizioni oggettive e soggettive dell’imposta , non aveva specificato alcun argomento contrario limitandosi a dichiarare che esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo l’appello del contribuente era infondato.
14. Il decimo motivo deduce la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. -diritto annuale C.C.I.A.A -mancanza di presupposto impositivo -mancata notifica comunicazione informativa e avviso d’irregolarità (avviso bonario) difetto di motivazione -insussistenza
e infondatezza della pretesa -decadenza dell’azione motivazione omessa, perplessa, contraddittoria ed irriducibile -omesso esame di punti decisivi della controversia oggetto di specifica eccezione del ricorrente -travisamento dei fatti. La CTR, in merito al diritto annuale C.C.I.A.A., assumeva sul punto una motivazione del tutto vaga e meramente apparente affermando che, esaminata la documentazione prodotta e presente nel fascicolo, l’appello del contribuente era infondato. La mancata comunicazione degli esiti della liquidazione si riverberava sulla corretta comunicazione degli atti successivi. Non risultava, inoltre, essere stato applicato il beneficio della continuazione come previsto dall’art. 5 del D.M. n. 54 del 2005.
15. Deve premettersi che la CTP aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal contribuente perché era stato impugnato l’estratto di ruolo; la CTR, di contro, richiamando le Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19704 del 2 ottobre 2015, ha ritenuto ammissibile l’impugnazione della cartella di pagamento mediante l’estratto di ruolo e, nel merito, ha confermato la pretesa tributaria. L’Agenzia delle Entrate, costituitasi nel presente giudizio con controricorso, non ha proposto ricorso incidentale su tale statuizione, chiedendo piuttosto la conferma della sentenza impugnata.
Ciò posto, questa Corte, di recente, ha affermato che « il giudicato interno preclude la rilevabilità d’ufficio delle relative questioni solo se espresso, cioè formatosi su rapporti tra “questioni di merito” dedotte in giudizio e, dunque, tra le plurime domande od eccezioni di merito, e non quando implicito, cioè formatosi sui rapporti tra “questioni di merito” e “questioni pregiudiziali” o “preliminari di rito o merito” sulle quali il giudice non abbia pronunziato esplicitamente, sussistendo tra esse una mera presupposizione logico-giuridica » (Cass., 1 luglio 2024, n. 18001; Cass., 14 febbraio 2023, n. 4448; Cass., 26 ottobre 2023,
n. 29729, proprio con riferimento a fattispecie analoghe a quella in esame di impugnazione di estratti di ruolo).
Detto principio è stato applicato dalle Sezioni unite di questa Corte, in tema di legittimazione attiva, che hanno affermato che « La decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio » (Cass., Sez. U., 20 marzo 2019, n. 7925) e, successivamente, questa Corte ha ritenuto che lo stesso principio vale e deve applicarsi con riferimento all’interesse ad agire richiesto dall’art. 100 cod. proc. civ., con la conseguenza che deve escludersi che in relazione ad esso possa formarsi e, quindi, opporsi, il giudicato implicito, potendosi discutere soltanto di giudicato esplicito (Cass., 1 luglio 2024, n. 18001; Cass., 26 ottobre 2023, n. 29729).
Dunque, attesa l’esplicita statuizione della CTR e in mancanza di impugnazione della sentenza da parte dell’Agenzia delle Entrate deve ritenersi che la statuizione sulla legittimità dell’impugnazione dell’estratto di ruolo sia passata in giudicato, con la conseguenza che non può essere confermata sul punto la proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c.
Passando ai motivi di impugnazione, gli stessi devono essere dichiarati inammissibili sotto plurimi profili, partendo dalla premessa necessaria che la CTR ha rilevato che la cartella esattoriale richiamata nell’estratto ruolo impugnato era stata notificata regolarmente alla moglie del contribuente (NOME) e che l’Agente della Riscossione poteva notificare direttamente tramite il servizio postale di Poste Italiane, e dovendosi precisare che l’inammissibilità del primo
motivo, comunque, determina un ulteriore profilo di inammissibilità dei restanti motivi.
17. Tanto premesso, i motivi sono, innanzi tutto inammissibili per la novità delle questioni dedotte, che non risultano dal provvedimento impugnato (dove rileva soltanto la regolarità della notifica della cartella impugnata, anche sotto il profilo della notifica diretta tramite il servizio postale da parte dell’Ente di riscossione) , rilevandosi, sul punto, il ricorso privo di autosufficienza perché non rispettoso del noto principio secondo cui « Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio » (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
Nel giudizio di cassazione, infatti, non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430) e, in quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta al giudice di merito (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041) .
Dunque, i motivi difettano di specificità, oltre che di chiarezza essendo poco comprensibili, non essendo stati riportati, nel testo del ricorso per
cassazione, tutti gli atti difensivi (in particolare il ricorso di primo grado e l’atto di appello) per verificare se le doglianze siano state proposte negli esatti termini nei precedenti gradi di giudizio, anche in considerazione del sistema di preclusioni che presiede anche al processo tributario ex art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., Sez. U., 30 novembre 2021, n. 37552; Cass.,27 settembre 2021, n. 26161; Cass., 30 aprile 2020, n. 8425).
18. I motivi sono pure inammissibili, in quanto l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., o del vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo «error in procedendo» – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro «ex actis» dell’assunta omissione, consegue l’inammissibilità del motivo (Cass., 13 ottobre
2022, n. 29952; Cass., 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759; Cass., 16 marzo 2013, n. 6835).
Inoltre, anche sotto il profilo di omessa pronuncia su un motivo di appello, rileva un difetto di autosufficienza delle censure, stante che, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di un domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del «fatto processuale», intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass., 14 ottobre 2021, n. 28072).
I motivi sono pure inammissibili perché formulati mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c., nello specifico vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa
applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto, nel caso di specie elementi del tutto assenti.
20. Le censure di violazione di legge sono pure inammissibili, in quanto, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).
21. Inoltre, il ricorrente che intende censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto deve indicare e trascrivere nel ricorso, a pena di inammissibilità, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass., 24 luglio 2014, n.
16872; Cass., 4 aprile 2006, n. 7846), oneri che, nel caso in esame, non sono state assolti.
21. In ultimo, anche le doglianze di omesso esame di fatti decisivi sono inammissibili.
21.1 In primo luogo, il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).
21.2 E sul punto non può rilevarsi come il vizio di omesso pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. e il vizio di omessa motivazione, siano vizi tra di loro eterogenei. Ed invero se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda o un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per error in procedendo , censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi
dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268) e, nel caso in esame, a censura formulata è di violazione di legge.
21.3 In secondo luogo, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal decreto legge 22 giungo 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti». Il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio « fatto» in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un « fatto» costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Il « fatto» il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere « decisivo», vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato « oggetto di discussione tra le parti» deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto « controverso», contestato, non dato per pacifico tra le parti.
E ‘ utile, inoltre, rammentare, poi, che Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053, ha chiarito che « la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico,
il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti», con la conseguenza che, alla stregua di tutti i principi fin qui esposti – ribaditi anche da Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415 – i motivi in esame sono inammissibili perché non rispettano le appena descritte prescrizioni imposte dalle Sezioni Unite circa le modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in quanto in nessuno di essi il ricorrente specifica quale sarebbe il « fatto», come in precedenza definito e delimitato, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Commissione tributaria regionale, né, soprattutto, argomenta in ordine alla sua necessaria decisività.
22. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo, non applicandosi, stante la non conformità tra la proposta opposta e la presente decisione, il novellato art. 380 bis, comma 3, c.p.c., nella parte in cui prevede la condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c . e il pagamento in favore della cassa delle ammende, di un ulteriore importo, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. (Cass., 1 agosto 2024, n. 21668).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 530,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2025.