Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13895 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13895 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20602/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME rappresentata e difesa dagli avv.ti COGNOME
NOME NOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale Dello Stato
-controricorrente-
nonché AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE
contro
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 6409/2019 depositata il 18/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME impugnava la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA notificata al portiere dello stabile ove risiedeva -con la quale le veniva intimato il pagamento di complessivi € 41.817,74 a titolo di imposta di successione relativamente all’anno 2001; la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso ritenendo che la tardiva costituzione della parte resistente determinava lo stralcio della documentazione da questa depositata.
Con ricorso notificato in data 3 marzo 2016 l’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la predetta pronuncia; con sentenza n. 6409/2019, pronunciata in data 10.04.2029, depositata in data 18.11.2019, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva il gravame in quanto dalla documentazione depositata in appello, stralciata in primo grado, risultava la prova della notifica tempestiva dell’avviso di liquidazione, con la conseguente legittimità della cartella opposta.
Ricorre per la cassazione di detta sentenza la contribuente svolgendo tre motivi.
Replica con controricorso la società di riscossione eccependo l’inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura deduce ; per avere il decidente omesso di menzionare i motivi di diritto indicati nella comparsa di costituzione della ricorrente, secondo cui la notifica era regolare. Si
deduce che la sentenza impugnata non rileva nulla in ordine ai punti nn. 3) “le richieste delle parti” e 4) “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto di cui all’art. 36 d.lgs. 546/92. Allo stesso modo, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma nulla ha argomentato sulla circostanza che il pagamento depositato non fosse riferibile alla imposizione richiesta dall’Agenzia delle Entrate, né in merito all’ulteriore documentazione depositata sempre in primo grado a dimostrazione dei pagamenti effettuati.
2.Il secondo motivo di ricorso denuncia ; si deduce che era stata proposta anche eccezione relativa alla modalità di notificazione dell’avviso di liquidazione, effettuata in data 11.11.2003 al portiere dello stabile di residenza della ricorrente, senza attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 c.p.c. , comma 2 , secondo la successione preferenziale da detta norma tassativamente stabilita. Assume peraltro che sarebbe stata omessa la comunicazione della raccomandata successiva al destinatario.
Si osserva che l’art. 60 d.P.R. n.600 / 1973 per le notifiche degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente fa espresso rinvio alle norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ma ha previsto specifiche modifiche, nel caso in cui la notifica venga eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte prevedendo che il messo deve fare sottoscrivere dal consegnatario l’atto o l ‘avviso ovvero deve indicare i motivi per i quali il consegnatario non ha sottoscritto e, nel caso il consegnatario non sia il destinatario dell’atto o dell’avviso, prevedendo alla lett, b) bis, che il messo consegni o depositi la copia dell’atto da notificare in busta sigillata, su cui trascrive il
numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’ atto stesso .
3. Il terzo motivo di ricorso lamenta . Si deduce che l’Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di liquidazione in data 11 novembre 2003 e la successiva cartella di pagamento il 21 agosto 2014, con un intervallo di 10 anni e 9 mesi e che invece, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha accolto il ricorso, ritenendo valida la notifica dell’avviso di liquidazione, ma senza considerare le altre eccezioni sollevate dalla difesa (irregolarità delle notifiche e prescrizione della pretesa creditoria).
4.Il primo motivo è infondato.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata ; l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di
carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. Un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata). Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche
congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 14927 del 2017).
In tale grave forma di vizio non incorre la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, hanno dato atto della documentazione prodotta dalla Riscossione reputando valida la prova dell’intervenuta notifica del prodromico avviso di liquidazione; peraltro la decisione d’appello richiama sia le eccezioni originariamente proposte dalla contribuente che quelle prospettate in sede di impugnazione, a nulla rilevando in questa sede le eventuali carenze motivazionali della prima decisione se non fatte valere con appello incidentale.
La seconda censura presenta due gradate ragioni di inammissibilità.
5.1. La prima risiede nel fatto che non risultano trascritte le allegazioni difensive proposte con il controricorso con il quale sarebbe stata dedotta l’invalidità della notificazione al portiere, atto nemmeno allegato al ricorso per cassazione.
5.2. La seconda nell’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che prescrive il requisito dell’indicazione specifica dei documenti e degli atti processuali sui quali il ricorso per cassazione si fonda. Secondo la lettura data dalla giurisprudenza della Corte la norma costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione e comporta che il ricorrente in cassazione debba riprodurre direttamente od indirettamente indicando a quale parte corrisponda l’indiretta riproduzione, la parte del documento o dell’atto processuale che sorregge il motivo, nonché indicare se e dove esso sia esaminabile in quanto prodotto nel giudizio di legittimità. Per gli atti processuali Cass. sez. un. n. 22726 del 2011 ha ammesso che tale onere possa essere assolto indicandone la presenza nel fascicolo d’ufficio, restando così la parte esentata dall’onere della produzione e specie di una copia se si tratti di atti del fascicolo, prescritto dall’art. 369
c.p.c., comma 2, n. 4. Nella specie, essendo il motivo fondato sul proprio controricorso in appello, il cui originale avrebbe dovuto essere nella sua disponibilità, parte ricorrente non ha indicato che esso sia presente nel fascicolo d’ufficio, eventualmente nel proprio fascicolo di parte e nemmeno ha indicato la presenza in tale fascicolo.
Tale onere di specificazione e allegazione, imposto dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., non può essere assolto mediante il mero rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, dovendo la Corte di Cassazione essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura, senza dover procedere alla ricerca degli atti processuali. Il suddetto principio deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28.10.2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, attraverso la trascrizione essenziale degli atti e documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare l’esigenza di semplificazione dell’attività del giudice di legittimità con la garanzia del diritto di accesso ad un organo giudiziario. Non è sufficiente assolvere al distinto onere previsto dall’art. 369 n. 4 c.p.c. indicando la sede di reperibilità dell’atto processuale, nel caso in esame comunque mancante, poiché l’art. 366 c.p.c. richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne. La produzione documentale è infatti finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso, ma non sostituisce l’onere di specifica indicazione del contenuto degli atti processuali rilevanti (Cass. n. 6643/2023). Ne segue che l’art. 366, n. 6, risulta violato e tanto comporta l’inammissibilità del motivo, in quanto la Corte non è posta in grado di verificare, attraverso l’esame degli atti, se la
trascrizione del primo motivo di appello fatta nel ricorso sia effettivamente corrispondente al suo tenore(Cass. n. 6060/2015).
5.3. In ogni caso, la censura pecca di specificità anche perché non descrive con quali modalità la notifica sarebbe stata effettuata; se, come afferma la Riscossione, nel suo controricorso, sia avvenuta a mezzo posta, essa risulta valida. È quanto confermato dalla sentenza n. 5898 del 24.03.2015, con cui questa Corte ha deciso una controversia in cui era stata impugnata una cartella esattoriale anche per vizi attinenti alla regolarità della notifica, avvenuta a mezzo posta per mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. L’agente della riscossione aveva sostenuto la validità della medesima sia in quanto avvenuta nel rispetto dell’art. 26 del d.P.R. n. 602/1973 (il cui comma 1 prevede che ‘La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda’), sia per l’avvenuto raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c.
In relazione alla notifica a mezzo del servizio postale, questa Corte con ordinanza n. 34895 del 13 dicembre 2023 ha chiarito che: ‘… gli uffici finanziari possono procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge vanno notificati al contribuente, con la conseguenza che, quando il predetto ufficio si sia avvalso di tale facoltà di notificazione semplificata, alla spedizione dell’atto si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della
legge n. 890 del 1992; con l’ulteriore effetto che, in caso di notifica al portiere, la stessa si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento da quest’ultimo sottoscritto…’.
Sul punto, la Cassazione richiamando alcune precedenti decisioni della Suprema Corte, ha affermato (Cass. n. 28872/18) che <> Cass. n. 12083/16 ha parimenti affermato che <>. Sempre in fattispecie di notificazione diretta della cartella mediante consegna del plico raccomandato al portiere dello stabile, ha osservato Cass. n. 10037/19 che -non applicandosi le norme di cui alla l. 890/82 -<>(Cass.; n.
17598/2010; n.911/2012;; n.19771/2013; 22151 del 2013; n. 16949/22014;n. 14146/2014; 12083 del 2016; 19795 del 2017; n. 8293/2018).
L’ultimo motivo è parimenti inammissibile per le medesime ragioni infra esposte.
Emerge dalla sentenza che la contribuente aveva formulato eccezione di prescrizione nel primo grado, mentre in appello aveva replicato eccependo la tardività del deposito documentale da parte della Riscossione. La ricorrente avrebbe dovuto trascrivere le difese che sulla questione aveva riproposto in sede di appello ovvero allegando ed individuando il documento o l’atto processuale che sorregge il motivo.
Segue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la contribuente alla refusione delle spese sostenute dalla riscossione che liquida in euro 4.305,00, oltre spese prenotate a debito.
visto l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della