Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21373 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
Oggetto: Ricorso per cassazione – Plurime ragioni decisorie Impugnazione solo di una di esse – Conseguenze Inammissibilità del ricorso.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5851/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata al controricorso;
-controricorrente – avverso la sentenza della C.T.R. del Piemonte, n. 875/2022, depositata il 15.9.2022 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Torino, COGNOME NOME impugnava il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza da lui presentata, per ottenere il rimborso del l’Irap versata per gli anni 2012-2015, che riteneva non dovuta, svolgendo la propria attività di medico specialista presso centri organizzati da terzi, possedendo una dotazione minima di beni strumentali e non avendo sostenuto spese per prestazioni di lavoro dipendente.
In primo grado, la C.t.r. dichiarava sussistente il diritto al rimborso del contribuente, ritenendo tempestiva la relativa istanza, tenuto conto delle dichiarazioni integrative da lui presentate, e non contestata l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione.
Proponeva appello l’ Agenzia delle entrate, sostenendo che il termine per la proposizione dell’istanza di rimborso decorreva dal versamento dell’imposta e non dalla dichiarazione integrativa ed evidenziando che il contribuente aveva utilizzato il credito Irap in compensazione con altre imposte dirette dovute.
La C.t.r. accoglieva parzialmente l’appello, limitatamente alla parte di domanda rinunciata dallo stesso appellato e relativa alla somma portata in compensazione con altre imposte. Quanto all’eccezione di tardività dell’istanza di rimborso, osservava che il termine previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 doveva essere coordinato con la previsione dell’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, che consentiva di integrare, entro i termini per l’accertamento (pari a cinque anni) le dichiarazioni, al fine di correggere errori e omissioni, ivi compresi quelli che avevano determinato l’indicazione di un maggior debito o di un minor credito. Inoltre, evidenziava che non era comunque decorso il termine per la domanda di restituzione, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, a decorrere dalle dichiarazioni integrative, che erano state considerate valide dall’Ufficio.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l ‘Agenzia delle entrate , sulla base di due motivi. Resisteva il contribuente con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere tempestiva l’istanza di rimborso presentata dal contribuente, poiché il termine di 48 mesi dovrebbe decorrere dalla data del versamento indebito e non da quello della successiva dichiarazione integrativa.
Con il secondo motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere che la modifica al citato art. 2, apportata dall’art. 5 del d.l. n. 193 del 2016, conv. dalla l. n. 225 del 2016, in tema di dichiarazione integrativa, potesse trovare applicazione retroattiva, trattandosi di modifica di natura sostanziale.
Nel controricorso , il contribuente eccepisce l’inammissibilità del ricorso, per la mancata indicazione dei documenti su cui si fondano i motivi di censura, e la sua improcedibilità, per la mancata formulazione dell’istanza ex art. 369, comma 3, c.p.c. di trasmissione del fascicolo. Eccepisce, altresì, l’intervenuto giudicato sulla ratio decidendi , non espressamente impugnata, relativa al mancato decorso del termine per la domanda di restituzione ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992. Nel merito, chiede rigettarsi il ricorso, considerato che le dichiarazioni fiscali erano sempre emendabili, in ogni fase, stato e grado del giudizio, e che l’Ufficio non aveva mai contestato l’esistenza del credito del contribuente.
Le preliminari eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso, sollevate dal contribuente, sono infondate.
Ed invero, il ricorso dell’Agenzia delle entrate contiene censure relative alla non corretta interpretazione ed applicazione di disposizioni normative. L’eccezione risulta, dunque, generica, non essendo chiaro quali documenti la parte ricorrente avrebbe dovuto indicare in modo specifico nel ricorso.
Quanto alla mancata formulazione dell’istanza ex art. 369, comma 3, c.p.c., è sufficiente evidenziare che tale disposizione è stata abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2023 dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 149 del 2022), che trova applicazione nel presente giudizio di cassazione, introdotto successivamente alla data suindicata.
Passando all’esame de i due motivi di doglianza, questi possono essere trattati congiuntamente attesa la loro connessione logica, e sono entrambi inammissibili.
È consolidato l’orientamento di questa Corte, sec ondo cui, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Cass. n. 13880/2020, Rv. 658309-01; conf. Cass. n. 10815 del 2019).
Orbene, nel caso in esame, entrambi i motivi di doglianza attengono alla corretta individuazione del momento di decorrenza del termine per la presentazione dell’istanza di rimborso, previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, e ai rapporti tra tale termine e quello previsto dall’art. 2, comma 8 -bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, relativo alla presentazione della dichiarazione integrativa per la correzione di errori od omissioni.
In nessuna parte del ricorso, tuttavia, viene censurata l ‘affermazione della sentenza della C.t.r., secondo cui può trovare applicazione il termine previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992,
evidenziando che, nella specie, le dichiarazioni integrative sono state considerate valide dall’Ufficio e che non è decorso il termine per la domanda di restituzione, ai sensi della suindicata disposizione, a far tempo da tali dichiarazioni integrative.
Tale affermazione rappresenta una autonoma ratio decidendi , ciò deducendosi sia dall’utilizzo della locuzione ‘va aggiunto che’ all’inizio della parte motivazionale ulteriore, sia dalla considerazione che si tratta di motivazione idonea, di per sé sola, a sorreggere la decisione conclusiva di rigetto dell’appello, ad eccezione della parte di domanda oggetto di rinuncia da parte dello stesso appellato.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, non avendo impugnato la suindicata autonoma ragione decisoria, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore del difensore della parte controricorrente (dichiaratosi antistatario), delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del l’avv. NOME COGNOME difensore antistatario della parte controricorrente COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.400,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione