Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4337 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4337 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22421/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME e rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 5904/2019 depositata il 05/07/2019, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di rettifica con cui il Comune di Napoli ha preteso la maggiore i.m.u. per euro 18.304,73, oltre alle sanzioni ed interessi, sull’immobile di sua proprietà sito in Napoli, INDIRIZZO, categoria D/7, per l’anno 2013.
Il ricorso è stato accolto in primo grado, ma rigettato all’esito dell’appello del Comune. Nella sentenza della Commissione tributaria regionale si legge che «in altra decisione…il Tribunale di Napoli ha condannato la Protezione civile al pagamento della somma di euro 774.684,35 in favore della RAGIONE_SOCIALE, a titolo di risarcimento dei danni per la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a seguito della costruzione di n. 35 alloggi destinati ai terremotati del sisma del 1980. L’immobile è di fatto utilizzabile ed eventuali omissioni nel ripristino non possono che ricadere sulla società proprietariaRAGIONE_SOCIALE..la comunicazione preventiva di inagibilità risulta effettuata solo in data 21 dicembre 2017 e, quindi, in ogni caso non rileva nel presente giudizio che ha ad oggetto i.m.u. anno 2013».
Avverso tale decisione la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, concludendo per la cassazione della sentenza impugnata con ogni conseguenziale statuizione.
Si è costituito con controricorso il Comune di Napoli, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
La ricorrente ha depositato ulteriore memoria, allegando l’atto di appello del Comune e la sentenza di primo grado, oltre ad ulteriore documentazione.
6. La causa è stata trattata all’adunanza camerale del 15 febbraio 2024.
CONSIDERATO CHE
La ricorrente ha dedotto: 1) la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod.proc.civ., per motivazione apparente in violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., 132 cod.proc.civ., 118 disp.att.cod.proc.civ., 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, non avendo i giudici chiarito le ragioni del proprio convincimento ed in particolare non essendosi confrontati con le argomentazioni dei giudici di primo grado, con l’appello del Comune, che ha prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado, soffermandosi solo sulla propria costituzione e sull’eccezione di giudicato esterno, e non essendosi pronunciati sui motivi del ricorso originario riproposti in appello; 2) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992, avendo i giudici di appello integrato la disposizione legislativa e escluso la riduzione di imposta in conseguenza dell’indennizzo ricevuto; 3) la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod.proc.civ., degli artt. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 cod.proc.civ., essendosi il Comune soffermato, nell’appello, solo sulla sua costituzione e sul giudicato esterno; 4) l’ulteriore violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992, in quanto, da un lato, non vi è stata alcuna inosservanza della formalità, consistente nella presentazione all’ente della perizia sullo stato dell’immobile, essendo in atti due perizie sullo stato dei luoghi, e, dall’altro, il diritto ad una agevolazione non può essere condizionato a oneri formali.
La prima censura, con cui si è denunciata la carenza/apparenza di motivazione della sentenza impugnata, è infondata, atteso che la decisione impugnata, in modo esaustivo e chiaro, sia pure sintetico, individua i fatti, le deduzioni delle parti e le ragioni poste a fondamento della decisione, rispetto a cui, difatti,
la ricorrente ha ampiamente sviluppato il suo diritto di difesa con la presente impugnazione. Irrilevante risulta il mancato riepilogo delle argomentazioni del giudice di primo grado, che sono state superare in virtù di profili da quest’ultimo non esaminati e, cioè, il ricevuto risarcimento del danno e la mancata tempestiva comunicazione.
Neppure può accogliersi la terza censura, con cui si è denunciata la formazione del giudicato interno in conseguenza dell’acquiescenza del Comune censura pregiudiziale rispetto a quelle di merito, da esaminare prioritariamente.
L’atto di appello del Comune è idoneo, difatti, ad aggredire l’intera sentenza di primo grado e non solo la parte in cui è stata dichiarata la mancata costituzione dell’ente territoriale, a cui si è fatto riferimento solo al fine di lamentare l’omesso esame delle proprie difese, conseguente proprio da tale errore, per cui non è configurabile alcuna acquiescenza e non si è formato alcun giudicato. In proposito va ribadito che, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale «minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno» individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass., Sez. L, 4 febbraio 2016, n. 2217).
Il motivo è, pertanto, infondato.
La seconda censura, con cui si è denunciata la violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 (disposizione erroneamente
invocata in luogo di quella analoga, relativa all’i.m.u., di cui all’art. 13, comma 3, lett. b, d.l. 201 del 2011, conv. in l. 214 del 2011), è inammissibile, atteso che, tramite la denunciata violazione di legge, si tende a mettere in discussione l’accertamento di fatto, compiuto dai giudici di merito, i quali hanno escluso l’inutilizzabilità del bene, desumendo elementi indiziari contrari dall’indennizzo percepito da molto tempo per il ripristino dell’immobile.
L’ultimo motivo risulta inammissibile, in quanto la sentenza di appello, con cui è stato rigettato il ricorso originario, si fonda su due distinte rationes decidendi (l’utilizzabilità del bene e la tardività della denuncia di inutilizzabilità), entrambe idonee a fondare la decisione, per cui il rigetto delle doglianze relative ad una delle due argomentazioni comporta il sopravvenuto difetto di interesse in ordine alle censure relative all’altra argomentazione, dal cui accoglimento parte ricorrente non potrebbe ottenere alcuna utilità (così Cass., Sez. 3, 24 maggio 2006, n. 12372 , secondo cui, q uando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes , dall’altro che tali censure risultino tutte fondate, sicché, rigettato o dichiarato inammissibile il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 2.500,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 15/02/2024.