Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14552 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14552 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24435/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ANCONA INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, ed all’avv.to COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di SECONDO GRADO delle MARCHE n. 422/2023 depositata il 03/05/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che conclude per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore della soc. RAGIONE_SOCIALE, avv.to NOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso;
Uditi i difensori della soc. RAGIONE_SOCIALE, avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche che ha rigettato l’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza della C.T.P. di Ancona di accoglimento del ricorso proposto dall’RAGIONE_SOCIALE per l’impugnazione dell’avviso di accertamento inerente all’omessa denuncia ed all’omesso versamento dell’IMU per l’anno 2018, relativo a piattaforme collocate oltre le 12 miglia marine.
La sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, condivise le motivazioni della sentenza n. 1353/2022, pronunciata dalla medesima Corte in caso analogo, ha ulteriormente osservato che: le sentenze della Suprema Corte (nn. 3618/2016, 19509 e 19510/2016), relative a piattaforme situate nel mare territoriale non possono ritenersi conferenti al caso di specie, posto che le acque oltre il limite delle 12 miglia, sono internazionali e come tali di uso comune di tutti gli Stati, salve le limitazioni riconosciute dalla Convenzione di Montego Bay in favore dello Stato costiero, cui vengono riconosciuti poteri via via decrescenti quanto più ci si allontana dalla costa. Tanto è vero che nella zona contigua al mare territoriale lo Stato può esercitare poteri di polizia, mentre nella zona economica esclusiva, per la parte che va al di là della zona contigua lo Stato ha solo il controllo delle risorse economiche, mancando la piena sovranità sul mare. Ciò posto, ha ritenuto semplicistico il ragionamento della società ricorrente secondo il quale la potestà del Comune si estenderebbe a tutta la zona prospiciente la sua costa, anche oltre la fascia territoriale, bastando prolungare la piattaforma continentale, come definita dall’art. 76 della Convenzione, posto che l’art. 77 chiarisce che ‘Lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali’. Non vi è infatti coincidenza fra il diritto allo sfruttamento delle acque extraterritoriali e l’ambito territoriale della potestà impositiva comunale. Lo Stato costiero, nell’ambito dello sfruttamento delle risorse del fondale ben può richiedere oneri di concessione e sinanco imporre nuove imposte o disporre l’estensione di quelle già esistenti, aventi diverso ambito di applicazione. Questa facoltà è stata esercitata dallo Stato italiano, con la l. 157 del 2019 di istituzione dell’IMPI, con decorrenza dal 2020. E nondimeno, la circostanza che siffatta imposta sia stata prevista
‘in sostituzione di ogni altra imposizione immobiliare locale ordinaria sugli stessi manufatti’ non significa che si tratti di un tributo che prende il posto di altri, ma solo che si tratta di un’imposta onnicomprensiva che impedisce di applicare ogni altra imposta e, nella specie, ogni altra imposta locale. Assume che la chiara esclusione della tassabilità ai fini ICI ed IMU delle piattaforme petrolifere oltre il mare territoriale sino al 2020, comporta l’assorbimento di tutti i motivi relativi alla determinatezza del criterio di prospicienza al singolo Comune, alla base di calcolo dell’IMU ed alla categoria catastale nella quale ricomprendere le piattaforme.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione anche con requisitoria scritta, chiede il rigetto del ricorso.
La soc. RAGIONE_SOCIALE depositando memoria ex art. 378 cod. proc. civ., conferma le conclusioni assunte.
RAGIONE_SOCIALE con memoria ex art. 378 cod. proc. civ., conferma le conclusioni di cui al controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. RAGIONE_SOCIALE formula quattro motivi di ricorso.
Con il primo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ.: la violazione dell’art. 1 d. lgs. 23 del 2011 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale Municipale) e della corrispondente disposizione del d. lgs. 594 del 1992 (Riordino della finanze degli enti territoriali) nella parte in cui individua quale presupposto dell’imposta l’ubicazione dell’immobile nel territorio dello Stato; l’omessa applicazione degli artt. 76 e 77 della Convenzione di Montego Bay, nella parte in cui le disposizioni riconoscono la sovranità dello Stato sulla
piattaforma continentale oltre le 12 miglia marine; la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione alla disparità di trattamento derivante dall’interpretazione data dalla Corte di secondo grado, fra gli immobili insediati sul territorio nazionale e nel mare territoriale e quelli insediati oltre le 12 miglia marine; la violazione dell’art. 107 del TFUE sugli aiuti di Stato. Afferma che la sentenza impugnata si rivela errata sotto due distinti profili. Il primo riguarda l’omessa considerazione che il presupposto dell’imposta consiste nell’ubicazione dell’immobile ‘nel territorio dello Stato’. Invero, l’art. 1, comma 2 del d. lgs. 504 del 1992 dispone che presupposto dell’imposta ‘è il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e di terreni agricoli siti nel territorio dello Stato’. Mentre, né l’art. 8 del d. lgs. 23 del 2011, istitutivo dell’imposta municipale propria (IMU), né l’art. 1, comma 740 della l. 160 del 2019 hanno modificato il presupposto impositivo nell’ubicazione dell’immobile nel territorio dello Stato. Peraltro, allorquando il legislatore ha inteso (con l’art. 13 d.l. 201 del 2011) anticipare in via sperimentale l’imposta municipale propria, ha stabilito che ‘essa è applicata in tutti i comuni del territorio nazionale’, introducendo così una simmetria tra il ‘territorio dello Stato’, presupposto applicativo dell’imposta in relazione all’ubicazione dell’immobile, ed il ‘territorio nazionale’, sottointendendo che esso coincide con quello di ‘tutti i comuni’. Questo esclude la necessità di definire il ‘mare comunale’. Il secondo profilo attiene alla pretesa della sentenza impugnata di escludere le piattaforme continentali dal ‘territorio dello Stato’. Richiama il disposto degli artt. 76 e 77 della Convenzione di Montego Bay e rileva che dalle disposizioni si trae la sussistenza della sovranità statale sulle piattaforme continentali, che lo Stato può esprimere con provvedimenti in tema di ricerca e coltivazione di idrocarburi, sicché è innegabile che esse costituiscano ‘territorio dello Stato’. Sostiene che, sotto altro
aspetto, un’interpretazione come quella adottata dalla Corte di secondo grado, che esclude le piattaforme continentali dall’imposizione comunale, rischia di esporre l’Italia all’addebito di violazione dell’art. 107 del TFUE, in tema di aiuti di Stato. Riprende la decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea (nelle cause riunite 106/09P e 107/09 P, Commissione -Regno di Spagna contro Gibraltar, Regno Unito) nel caso ‘Gibilterra’ in occasione della quale la CGUE ha distinto fra selettività giuridica e selettività materiale degli aiuti, osservando che l’esenzione dal tributo comunale assicurata all’operatore economico, cui sia riconosciuta la facoltà di ricerca e coltivazione di idrocarburi nella piattaforma continentale italiana, avvantaggia il competitore più ‘insediato’ rispetto a tutti gli altri competitori.
3. Con il secondo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione, erronea interpretazione e comunque omessa applicazione delle disposizioni di cui al R.D. 1443 del 1927, agli artt. 1, 2 e 4 della l. 613 del 1967, agli artt, 2, 3 e 13 del d. lgs. 625 del 1996, all’art. 2, comma 1 lett. v) del d. lgs. 145 del 2015, che, in senso conforme alle previsioni normative internazionali, assicurano alla sovranità statale lo sfruttamento delle piattaforme continentali con riguardo alla coltivazione ed estrazione di idrocarburi mediante provvedimenti autorizzativi. Osserva che, pur se la sentenza sembra non avvedersene, da plurime norme di rango primari, che menzionano le piattaforme continentali, è possibile trarre che esse sono incluse nel ‘territorio dello Stato’. Vanno richiamate in particolare: l’art. 1 della l. 613 del 1967 che definisce la piattaforma continentale, stabilendo che il suo limite esterno va desunto dagli accordi con gli Stati, le cui coste fronteggiano quelle dello Stato italiano, subordinando il rilascio dei permessi di ricerca e coltivazione all’entrata in vigore degli accordi medesimi; l’art. 2 della medesima legge secondo cui ‘Il diritto
di esplorare la piattaforma continentale ed esplorarne le risorse naturali appartiene allo Stato’; l’art. 4 che prevede che ‘la tutela dei diritti dello Stato sulla piattaforma resta affidata, secondo le norme del Codice delle navigazione, in quanto applicabili all’autorità marittima’, la quale ‘vigila altresì sull’osservanza da parte dei permissionari e dei concessionari degli obblighi e vincoli loro imposti su richiesta del Ministero della Marina Mercantile’; il d.P.R. 484 del 1994, recante le norme sul conferimento dei permessi di prospezione o ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi, da ritenersi espressione di sovranità nazionale; gli artt. 2, 3 e 13 del d. lgs. 625 del 1996, relativo all’attuazione della Direttiva 94/22/CEE sulle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, essendo la disciplina estesa anche alla piattaforma continentale italiana (oltre che alla terraferma ed al mare territoriale); l’art. 3 comma 1 lett. v) del d. lgs. 145 del 2015, relativo all’attuazione della Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, che definisce l’impianto in mare come quello ‘situato nel mare territoriale nella zona economica esclusiva, nella zona di protezione ecologica o sulla piattaforma continentale come indicate dallo Stato italiano, conformemente alla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare ratificata dalla legge 2 dicembre 1994 n. 689’. Assume che la mancata considerazione da parte della sentenza impugnata di ciascuna delle suddette disposizioni integra violazione di legge. La regolazione normativa dell’attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi costituisce esercizio della sovranità statale. Prospetta, nell’ipotesi di diversa interpretazione, questione di legittimità costituzionale per irragionevole disparità di trattamento tra diverse porzioni del medesimo territorio nazionale.
4. Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 77 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare (Convenzione di Montego Bay) del 10 dicembre 1982, ratificata con l. 689 del 1994, nonché dell’art. 1 del d. lgs. 23 del 2011 e della corrispondente disposizione del d. lgs. 504 del 1992, nella parte in cui viene indicata quale presupposto dell’imposta l’ubicazione dell’immobile nel ‘territorio dello Stato’. Nega la correttezza dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui ‘sul mare non coesistono e non si cumulano per forza tutti i poteri dello Stato e delle ripartizioni territoriali di esso’. Al contrario, proprio quanto previsto dalle Convenzioni internazionali e dalla legislazione italiana in tema di ricerca e coltivazione di idrocarburi, che indica la piattaforma continentale quale area su cui sono esercitati i poteri concessori dello Stato, dimostrano che sussiste una manifestazione di sovranità sulle piattaforme continentali. Sottolinea l’incongruità del riferimento al concetto di ‘mare comunale’ ed al disposto dell’art. 13 del Testo Unico sugli Enti Locali (d. lgs. 267/2000), dovendo farsi riferimento, per la verifica del presupposto di imposta, al ‘territorio nazionale’ suddiviso in ‘comuni’. Rileva che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza, le piattaforme appartengono senza dubbio al tipo legale del bene immobile, come configurato dall’art. 812 cod. civ., posto che esse sono beni fissi e permanenti. Peraltro, anche l’art. 13 del Regolamento UE n. 143 del 2013 prevede fra i beni immobili ‘qualsiasi edificio eretto sul suolo o ad esso incorporato, sopra o sotto il mare, che non sia agevolmente smontabile né agevolmente rimuovibile’. Egualmente la natura di bene immobile della piattaforma può trarsi dell’art. 2, comma 1 lett. p) del d. lgs. 145 del 2015, attuativa della Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli
idrocarburi. Ne deriva che, essendo attestato dalla Capitaneria di Porto cioè dall’autorità pubblica in materia – che le piattaforme sono prospicienti il Comune di Ancona, non essendo in discussione il possesso delle medesime da parte della società contribuente, sussistono i presupposti di assoggettamento all’imposta delle piattaforme continentali, restando ininfluente l’accatastabilità del bene. Osserva che non può dubitarsi, nonostante la diversa opinione dei giudici di secondo grado, da un lato, che l’imposta comunale non sia informata dal principio di correlazione o beneficio, avuto riguardo al fatto che il suo presupposto è unicamente il possesso di un immobile sul territorio dello Stato, dall’altro che, comunque, come chiarito da precedente pronuncia dello stesso giudice territoriale, in tema di piattaforme entro le 12 miglia, in ogni caso, coloro che lavorano sulla piattaforma, quando si recano a terra, godono dei servizi comunali, sicché è comunque soddisfatto anche il principio di correlazione. Del tutto fuorviante poi è la precisazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui ‘le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti è di esclusiva competenza statale’, perché se è vero che il comune è estraneo al procedimento di rilascio del titolo, è anche vero che la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 38 d. lgs. 624 del 1996, nella parte in cui non prevede il coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato al conferimento del titolo concessorio.
Con il quarto motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa interpretazione dell’art. 38 del d.l. 124 del 2019, istitutivo dell’imposta immobiliare sulle piattaforme marine (IMPI). Osserva che il giudice di seconda cura nel commentare la disposizione dimostra di non comprenderla, laddove afferma che l’inciso ‘potrebbe avvalorare la continuità normativa rispetto ad ICI ed IMU’ contiene in realtà
‘un’espressione generica, che per la sua laconicità non può dare risposta ai punti critici che si è cercato di evidenziare nella presente decisione. Invero, la sentenza impugnata ignora il tenore letterale della formulazione, secondo cui ‘A decorrere dall’anno 2020 è istituita l’imposta immobiliare sulle piattaforme marine (IMPi) in sostituzione di ogni altra imposizione immobiliare locale ordinaria sugli stessi manufatti’. Dunque, anche prima dell’entrata in vigore dell’IMPI preesisteva una forma di imposizione immobiliare locale, su dette strutture.
La società RAGIONE_SOCIALE in sede di controricorso, in subordine al rigetto del ricorso, ripropone le eccezioni già formulate nei giudizi di merito.
La soc. RAGIONE_SOCIALE con il primo motivo e, parzialmente, con la seconda censura interroga la Corte sul concetto di ‘territorio dello Stato’. La definizione della nozione, infatti, è indispensabile per la verifica della sussistenza del presupposto applicativo dell’imposta comunale sugli immobili, sia ai sensi dell’art. 1, comma 2 del d. lgs. 504 del 1992 (istitutivo dell’ICI), sia ai sensi dell’art. 8 d. lgs. 23 del 2011 (istitutivo dell’imposta municipale propria in via anticipata), che ai sensi dell’art. 1, comma 740 della l. 160 del 2019 (relativo all’IMU), essendo il presupposto dell’ubicazione del bene immobile nel territorio dello Stato rimasto invariato.
E’ bene, dunque, muovere dalla declinazione del concetto di ‘sovranità territoriale’, per poi affrontare quella della sovranità sugli ‘spazi marini’.
La sovranità territoriale non conosce una definizione giuridica espressa essa rinvenendo dalle norme consuetudinarie del diritto internazionale, che riconoscono a ciascuno Stato, ‘in via esclusiva, il potere di governo sulla sua comunità territoriale, ovvero sugli individui ed i beni che ivi si trovano’. Sono simmetrici alla sovranità territoriale i principi di ‘non ingerenza’
degli altri Stati negli affari interni e di ‘dominio riservato’ (domestic jurisdiction) concetto dinamico, che riguarda sia le materie rispetto alle quali lo Stato è libero da obblighi internazionali (derivanti da trattati o da norme consuetudinarie), sia quelle che, per il loro carattere intrinsecamente interno, non sono suscettibili di formare oggetto di obblighi internazionali.
10. La sovranità territoriale, nel diritto internazionale classico, si estendeva agli spazi marini dello Stato costiero, solo limitatamente al c.d. mare territoriale, la cui larghezza era originariamente determinata in modo unilaterale dai singoli, Stati, restando al di fuori l’Alto mare, in cui vigeva e vige tuttora il principio della libertà d’uso per tutti gli Stati, anche non costieri. Né la Convenzione di Ginevra del 1958, adottata nel quadro della Prima Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, né la seconda Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, convocata proprio per definire l’estensione del mare territoriale, sono riuscite a determinare in modo positivo il limite esterno del mare territoriale, pur essendosi via via consolidata in via consuetudinaria un’estensione massima del mare territoriale nel limite delle 12 miglia. Solo con l’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare siglata il 10 dicembre 1982 (c.d. Convenzione di Montego Bay) è stato stabilito che ‘Ogni Stato ha il diritto di fissare la larghezza del proprio mare territoriale fino a un limite massimo di 12 miglia marine…’ Sul mare territoriale, secondo la dottrina, ‘si irradia’ la sovranità dello Stato, nel senso che esso può esercitarvi gli stessi poteri di cui dispone sul territorio terrestre.
La Convenzione di Montego Bay definisce all’art. 33 la Zona contigua , come quella zona che non può estendersi oltre le 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura la larghezza del mare territoriale. Si tratta di una Zona che, diversamente dal mare territoriale, deve essere dichiarata dallo Stato, essendo
essa opzionale. Rispetto alla Zona contigua lo Stato costiero, a mente dell’art. 33, ‘può esercitare il controllo necessario al fine di: prevenire le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione entro il suo territorio o mare territoriale; punire le violazioni delle leggi e regolamenti di cui sopra, commesse nel proprio territorio o mare territoriale’. A differenza delle acque territoriali, quindi, la Zona contigua non fornisce diritti sovrani allo stato costiero, ma solo diritti di controllo sulle navi in transito, tesi a prevenire o reprimere infrazioni alle sue leggi doganali, fiscali, sanitarie o di immigrazione.
Con l’art. 55, la Convenzione delimita la Zona economica esclusiva -che come la Zona contigua deve essere proclamata formalmente nei confronti della comunità internazionale- come quella ‘zona al di là del mare territoriale e ad esso adiacente, sottoposta allo specifico regime giuridico (…) in virtù del quale i diritti e la giurisdizione dello Stato costiero, e i diritti e le libertà degli altri Stati, sono disciplinati dalle pertinenti disposizioni’ della medesima Convenzione. La zona economica esclusiva non può estendersi ‘al di là di 200 miglia marine dalle linee di base da cui viene misurata la larghezza del mare territoriale’ (art. 57). Mentre, l’art. 58 stabilisce che ‘Nella zona economica esclusiva lo Stato costiero gode di: a) diritti sovrani sia ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, sia ai fini di altre attività connesse con l’esplorazione e lo sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall’acqua, dalle correnti e dai venti; b) giurisdizione conformemente alle pertinenti disposizioni della presente Convenzione, in materia di:
installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e
strutture, ii) ricerca scientifica marina, iii) protezione e preservazione dell’ambiente marino’. Gli altri Stati, sia costieri, che privi di litorale, rispetto alla zona economica esclusiva ‘godono, conformemente alle specifiche disposizioni della (…) Convenzione, delle libertà di navigazione e di sorvolo, di posa in opera di condotte e cavi sottomarini, indicate all’articolo 87, e di altri usi del mare, leciti in ambito internazionale, collegati con tali libertà, come quelli associati alle operazioni di navi, aeromobili, condotte e cavi sottomarini, e compatibili con le altre disposizioni della presente convenzione. Appartiene, nondimeno, allo Stato costiero che abbia proclamato la Zona economica esclusiva, ai sensi dell’art. 60 il ‘diritto esclusivo di costruire e di autorizzare e disciplinare la costruzione, la conduzione e l’utilizzo di: a) isole artificiali; b) installazioni e strutture realizzate per gli scopi previsti dall’articolo 56 e per altri fini economici; c) installazioni e strutture che possano interferire con l’esercizio dei diritti dello Stato costiero nella zona’.
Con l’art. 76 la Convenzione delimita, poi, la piattaforma continentale di uno Stato costiero, stabilendo che essa ‘comprende il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare territoriale attraverso il prolungamento naturale del suo territorio terrestre fino all’orlo esterno del margine continentale, o fino a una distanza di 200 miglia marine dalle linee di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale, nel caso che l’orlo esterno del margine continentale si trovi a una distanza inferiore’.
I poteri dello Stato costiero sulla piattaforma continentale sono definiti dall’art. 77, secondo il quale ‘1. Lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali. 2. I diritti indicati al numero 1 sono esclusivi nel senso che, se lo Stato costiero non esplora la piattaforma continentale o non ne sfrutta le risorse,
nessun altro può intraprendere tali attività senza il suo espresso consenso. 3. I diritti dello Stato costiero sulla piattaforma continentale non dipendono dall’occupazione effettiva o fittizia o da qualsiasi specifica proclamazione. 4. Le risorse naturali indicate nella presente Parte consistono nelle risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo come pure negli organismi viventi appartenenti alle specie sedentarie, cioè organismi che, allo stadio adulto, sono immobili sul fondo o sotto il fondo, oppure sono incapaci di spostarsi se non restando in continuo contatto fisico con il fondo marino o con il suo sottosuolo’.
Ne risulta che i diritti di sfruttamento dello Stato costiero ed anche quelli perforazione, secondo l’art. 81 – si acquistano in modo automatico ed hanno carattere esclusivo, cioè gli appartengono anche qualora non esercitati, e non possono neppure essere esercitati da altri se non previo espresso consenso dello Stato costiero. Ne risulta, tuttavia, anche che i diritti che competono allo Stato costiero sono sovrani, ma limitati allo sfruttamento delle risorse naturali, tanto è vero che ai sensi dell’art. 78, lo Stato costiero non può pregiudicare ‘il regime giuridico delle acque e dello spazio aereo sovrastanti, né è consentito allo Stato costiero di impedire la navigazione o produrre alcuna ingiustificata interferenza nei riguardi di essa e di altri diritti e libertà di altri Stati’ come sanciti dalla medesima Convenzione.
Tenuto conto che l’art. 80 estende il diritto di installazione di cui all’art. 60 anche alla piattaforma continentale, le differenze di disciplina fra la Zona economica Esclusiva e la piattaforma continentale, che ben possono sovrapporsi -non sussistendo differenze di delimitazione ai sensi degli artt. 74 ed 83, rispetto alle coste opposte o adiacentirisiedono non solo nell’obbligo di proclamare la prima davanti alla Comunità internazionale, ma
nella disciplina che permette allo Stato costiero di sfruttare liberamente le risorse economiche della piattaforma continentale, limitandole a quelle non biologiche (minerali) o a quelle costituite da organismi viventi immobili sul fondo marino (art. 77, comma 4), prevedendo, invece, per la Zona economica esclusiva il diritto di proteggere e sfruttare le risorse naturali siano esse biologiche (tutte) o minerali, il che rende necessaria la proclamazione. Diversamente -in assenza di proclamazione- lo sfruttamento di tutte le risorse resta libero e non condizionato, così come per l’Alto mare, laddove, invece, lo sfruttamento delle risorse della piattaforma spetta solo allo Stato costiero, ancorché esso non le sfrutti, perché la piattaforma è tale in quanto ‘prolungamento naturale’ del suo territorio terrestre.
Solo per la Zona contiguaanch’essa di necessaria proclamazioneinvece, sono previsti veri e propri poteri ‘di controllo’ tesi a prevenire violazioni in materia doganale, fiscale, sanitaria e di diritto all’immigrazione, restando detti poteri del tutto esclusi, sia per la piattaforma continentale, che per la Zona economica esclusiva. Ed invero, nella Zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale, ai sensi dell’art. 111 della Convenzione di Montego Bay, non è consentito l’inseguimento se esso non sia iniziato nel mare territoriale o nella zona contigua. Così recita, infatti, il comma 2 dell’art. 111 ‘L’inseguimento deve iniziare quando la nave straniera o una delle sue lance si trova nelle acque interne, nelle acque arcipelagiche, nel mare territoriale, oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto l’inseguimento, e può continuare oltre il mare territoriale o la zona contigua solo se non è stato interrotto. Non è necessario che nel momento in cui la nave straniera che si trova nel mare territoriale o nella zona contigua riceve l’ordine di fermarsi, la nave che ha emesso l’intimazione si trovi ugualmente nel mare territoriale o nella zona contigua.
Se la nave straniera si trova nella zona contigua, quale è definita all’articolo 33, l’inseguimento può essere intrapreso solo se sono stati violati i diritti a tutela dei quali la zona è stata istituita’.
Si tratta di una disposizione che, in materia di controllo, illumina la diversa ‘sovranità’ dello Stato sulle diverse zone ‘mare territoriale’, ‘zona contigua’, ‘zona economica esclusiva’ e ‘piattaforma’, chiarendo che solo nel mare territoriale la sovranità territoriale è illimitata, sfumando nella zona contigua, ove è consentito l’inizio dell’inseguimento solo per violazioni dei diritti propri di quella zona, e divenendo nella zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale meramente subordinata al corretto esercizio del potere sul mare territoriale e sulla zona contigua, nel senso che se l’inseguimento è stato legittimamente iniziato, allora esso può proseguire legittimamente.
Fatta questa lunga premessa, le nozioni sin qui riprese vanno riportate alla questione oggetto del presente giudizio. Occorre, infatti, rispondere alla domanda se la piattaforma continentale possa tout court definirsi ‘territorio dello Stato’, oppure se esistano dei limiti all’esercizio del potere statuale e come -eventualmente- questi si correlino agli specifici fini dell’imposizione comunale sugli immobili.
E’, infatti, principalmente su questo punto che le difese divergono radicalmente.
Come si è visto, l’art. 77 della Convenzione di Montego Bay nel definire i ‘Diritti dello Stato costiero sulla piattaforma continentale’ al comma primo stabilisce che ‘Lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali’. Si coglie, dunque, subito, nella lettera della norme un limite che lega i ‘diritti sovrani’ allo ‘scopo’ per cui quei diritti sono riconosciuti, scopo che è circoscritto all’esplorazione ed allo sfruttamento delle
risorse che sono proprie della piattaforma. Non un diritto illimitato come quello che caratterizza il potere dello Stato nel mare territoriale, che, infatti, autorizza anche all’inseguimento, ma un diritto funzionale allo scopo, certamente pieno perché ‘sovrano’ , ma solo limitatamente alla possibilità di sfruttare le risorse naturali che la piattaforma continentale offre. Ne restano, dunque, fuori poteri tipici dello Stato, quali quello di interdire attività che sul territorio dello Stato costiero sono vietate. Si pensi a condotte che in quello Stato -ma non in altricostituiscano reato quali, per esempio, il porto di un’arma senza licenza, e che non incidano sullo scopo per il quale i diritti sovrani sono riconosciuti, non intersecando la ricerca e lo sfruttamento di risorse.
Si tratta, insomma, di un potere che incontra il limite normativamente espresso- della sua funzione, che è quella dell’indisturbato godimento delle risorse. Alcuni autori parlano, infatti, di territorializzazione funzionale degli spazi marittimi, perché agli Stati vengono riconosciuti diritti e responsabilità definiti, lontani dalla piena giurisdizione di cui godono sul territorio terrestre.
Non si discosta da questo solco, come invece ritenuto dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE, la decisione del Tribunale internazionale del Mare, resa in data 14 marzo 2012, nella controversia fra Bangladesh e Myanmar in relazione ad una piattaforma nel Golfo del Bengala, su cui ciascuno dei due Stati, richiamando le stesse disposizioni della Convenzione di Montego Bay, rivendicava diritti esclusivi. La pronuncia al punto 409, precisa che ‘ A coastal State’s entitlement to the continental shelf exists by the sole fact that the basis of entitlement, namely, soveregnity over the land territory, is present ‘ (Il diritto dello Stato costiero alla piattaforma continentale esiste per il solo fatto che la base del diritto, vale a dire la sovranità sul
territorio terrestre, è presente). Invero, la decisione -risoltasi con l’affermazione che sia il Bangladesh che il Myanmar hanno diritti sulla piattaforma contestata e con la delimitazione del confine marittimo secondo linee geodetiche individuate- non dà affatto una definizione del contenuto del diritto sovrano dello Stato costiero sulla piattaforma continentale, ma precisa che esso esiste per il solo fatto che lo Stato costiero è sovrano sul suo territorio. Il che, pacificamente, lascia intatto il limite funzionale posto dall’art. 77 della Convenzione di Montego Bay, ovverosia l’esercizio dei diritti sovrani dello Stato costiero allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali della piattaforma continentale.
Ma non confligge con siffatta lettura -ed anzi la avvaloraneanche la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di assoggettabilità ad IVA del servizio di posa dei cavi sottomarini sulla piattaforma continentale (sentenza del 29 marzo 2007 nella causa n. C-111/05 RAGIONE_SOCIALE), richiamata dalla ricorrente. La CGUE, infatti, ha concluso affermando che ‘L’art, 8, n, 1, lett, a), della sesta direttiva 77/388, in combinato disposto con gli artt, 2, punto 1, e 3 della medesima, deve essere interpretato nel senso che la fornitura e la posa in opera di un cavo a fibre ottiche che collega due Stati membri non sono assoggettate all’imposta sul valore aggiunto per la parte dell’operazione che viene effettuata nella zona economica esclusiva, sulla piattaforma continentale e in alto mare’, e ciò perché ‘la sovranità dello Stato costiero sulla zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale è solo funzionale e, come tale, è limitata al diritto di esercitare le attività di esplorazione e di sfruttamento previste agli artt. 56 e 77 della convenzione sul diritto del mare. Poiché la fornitura e la posa in opera di un cavo sottomarino non sono comprese tra le attività elencate in tali articoli, la parte dell’operazione realizzata
in queste due zone non rientra nella sovranità dello Stato costiero. Tale constatazione è confermata dagli artt. 58, n. 1, e 79, n. 1, della medesima convenzione, che lasciano a qualsiasi altro Stato il diritto di posare cavi sottomarini in tali zone, nel rispetto di talune condizioni’.
Non contrasta con la descritta natura funzionale dei diritti sovrani dello Stato costiero sulla piattaforma continentale neppure la sentenza della Corte di giustizia europea del 17 gennaio 2012 nella causa C-347/2010 COGNOME, ripresa dalle difese della ricorrente (anche a mezzo del richiamo del parere prodotto).
La questione sottoposta alla CGUE riguardava un lavoratore che, avendo prestato attività (in qualità di infermiere) presso una piattaforma gassifera situata sulla piattaforma continentale dei Paesi Bassi, trasferitosi in Spagna, si era visto negare il diritto al riconoscimento del sussidio di invalidità, sulla base di una disposizione di diritto interno secondo cui ‘la persona che svolge il suo impiego fuori dei Paesi Bassi non viene considerata come lavoratore subordinato, a meno che non risieda nei Paesi Bassi e anche il suo datore di lavoro risieda o abbia sede nel detto Stato membro’. Dal momento del suo trasferimento in Spagna, dunque, il lavoratore non rivestiva più le caratteristiche per l’ammissione al sussidio, posto che aveva lavorato non sul territorio dello Stato, ma su di una piattaforma continentale, non era più lavoratore subordinato, aveva la residenza fuori dai Paesi Bassi. La Corte di giustizia, è dunque stata investita del rinvio pregiudiziale sulla compatibilità fra le disposizioni del regolamento n. 1408/71 e l’articolo 39 CE ed una norma nazionale di assicurazione sociale che implica che colui che svolge le sue attività lavorative in un impianto fisso situato su una piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro, non sia assicurato
obbligatoriamente in detto Stato solo perché risiede non in questo Stato ma in un altro Stato membro. La CGUE ha ritenuto che ‘Poiché la piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro rientra nella sua sovranità, benché funzionale e limitata (v., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C-111/05, Racc. pag. I-2697, punto 59), un lavoro svolto su impianti fissi o galleggianti situati su detta piattaforma continentale, nell’ambito di attività di esplorazione e/o di sfruttamento delle risorse naturali, deve essere considerato, ai fini dell’applicazione del diritto dell’Unione, come un’attività svolta sul territorio di tale Stato (v., in tal senso, sentenze del 27 febbraio 2002, Weber, C37/00, Racc. pag. I-2013, punto 36, e del 20 ottobre 2005, Commissione/Regno Unito, C-6/04, Racc. pag. I-9017, punto 117). Lo Stato membro che si avvale delle prerogative economiche di esplorazione e/o di sfruttamento delle risorse esercitate sulla parte della piattaforma continentale ad esso adiacente non può quindi sottrarsi all’applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione dirette a garantire la libera circolazione dei lavoratori che svolgono l’attività lavorativa su tali installazioni’. Su questa premessa, stabilita l’applicabilità del diritto dell’Unione, la Grande Sezione ha affermato che ‘L’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata ed aggiornata dal regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, come modificato dal regolamento (CE) n. 1606/98 del Consiglio, del 29 giugno 1998, e l’articolo 39 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che un lavoratore che svolge l’attività lavorativa su un impianto fisso
situato sulla piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro non sia assicurato a titolo obbligatorio in detto Stato membro in forza della normativa nazionale di assicurazioni sociali, per il solo motivo che egli risiede non in questo Stato ma in un altro Stato membro’.
La decisione della Corte di giustizia, dunque, riprendendo proprio la sentenza RAGIONE_SOCIALE (cfr. supra ), ha ribadito che, seppure di sovranità dello Stato debba parlarsi, essa è ‘funzionale e limitata’, ed ha ritenuto applicabile il diritto dell’Unione al rapporto di lavoro svolto sulla piattaforma perché esso è collegato alle ‘prerogative economiche di esplorazione e/o di sfruttamento delle risorse’ su quella esercitate dallo Stato Membro, che per questa ragione deve dare applicazione alla normativa europea diretta a garantire la libera circolazione dei lavoratori che svolgono l’attività lavorativa su tali installazioni.
Ancora una volta il diritto sovrano dello Stato (cioè quello di imporre la propria regolamentazione interna ai rapporti giuridici) -e con questo la regolamentazione dell’Unione Europea che ne costituisce contenuto e limite- è connesso al suo scopo e solo con questo si giustifica. Applicare il diritto interno ai rapporti di lavoro che si svolgono sulla piattaforma è funzionale all’indisturbato godimento delle risorse naturali che essa offre. Ma il diritto interno è anche il diritto dell’Unione Europea. Ed ecco che se lo Stato Membro, in quei limiti funzionali, applica il suo diritto interno, dovrà a sua volta applicare la disciplina dell’Unione.
Vanno, dunque, così circoscritti i confini dei ‘diritti sovrani’ sulla piattaforma, in primo luogo, non dimenticando che su quel tratto di mare gli altri Stati vantano diritti quei diritti che sono stabiliti dagli artt. 78 e 79 della Convenzione di Montego Bay. Invero, secondo l’art. 78 i diritti dello Stato
costiero ‘non pregiudicano’ il regime giuridico delle acque e dello spazio aereo sovrastante’ E quindi è libera la navigazione e con essa la pesca, Mentre ai sensi dell’art. 79 la posa di cavi, che costituisce un diritto degli altri Stati, può essere subordinata solo a ‘ragionevoli misure’ per l’esplorazione della piattaforma continentale e lo sfruttamento delle sue risorse naturali. Il che significa ancora una volta che il diritto dello Stato costiero è ‘sovrano’ solo funzionalmente al libero godimento delle risorse naturali della piattaforma. In secondo luogo, va ricordato che lo Stato costiero non può cominciare un inseguimento dalla piattaforma continentale, il che chiarisce, ancora una volta, che la sua sovranità non è certamente illimitata e che essa non è territoriale, ma funzionale
Su queste premesse, occorre, ora, rispondere al quesito centrale formulato dalla ricorrente. Esso riguarda il significato da attribuire all’art. 60, comma 2 della Convenzione di Montego Bay, che, nella prospettiva difensiva, sarebbe idoneo a ‘smontare’, la ricostruzione della mera ‘funzionalità’ -come sin qui intesa- dei diritti sovrani dello Stato costiero sulla piattaforma continentale. Si dice, in buona sostanza, che, se l’art. 60 -applicabile in forza dell’art. 80 – assicura allo Stato costiero la ‘giuri sdizione esclusiva su tali isole artificiali, installazioni e strutture, anche in materia di leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari, di sicurezza e di immigrazione’, allora si svela che esiste il presupposto della territorialità della sovranità dello Stato costiero sulla piattaforma continentale, proprio in forza del potere di imperio assicurato dalla giurisdizione esclusiva su quelle materie, ivi compresa quella fiscale.
Si tratta, per il vero, di un ragionamento a contrario, che non regge e che anzi si appalesa meramente circolare.
L’art. 80 della Convenzione di Montego Bay così recita:
‘L’art. 60 si applica, mutatis mutandis , alle isole artificiali, alle installazioni e alle strutture situate sulla piattaforma continentale’.
E’ opportuno comprendere, innanzitutto, perché la Convenzione non abbia semplicemente richiamato l’art. 60, ma abbia esteso la sua applicazione alla piattaforma continentale ‘fatti i debiti mutamenti’.
L’art. 60, introduce il diritto di installazione di manufatti volti a realizzare gli scopi previsti dall’art. 56. Ed è proprio in questo che si coglie la principale distinzione con le piattaforme continentali, per le quali non è certamente prevista la giurisdizione in ambito di ricerca scientifica marina o di protezione dell’ambiente marino. Ma l’art. 60 regola anche, da un lato, il diritto di costituire intorno alle isole artificiali o alle installazioni una zona di sicurezza non superiore a mt. 500, che assicuri la loro pacifica utilizzazione (posto che esse non si trasformano in isole con il relativo mare territoriale), senza creare interferenze con i corridoi riconosciuti per la navigazione internazionale, dall’altro, l’obbligo di rimuovere le predette installazioni se non utilizzate. Si tratta di aspetti non disciplinati dalle disposizioni relative alla piattaforma continentale -salvo che per l’interferenza con la navigazione, specificamente prevista dall’art. 79, comma 2 ma sostanzialmente coi ncidenteche certamente, dunque, ad essa si estendono, in forza del richiamo dell’art. 80.
Resta, allora, il secondo comma, ovverosia quello che attribuisce ‘giurisdizione esclusiva’ in materia di leggi, regolamenti doganali, fiscali, sanitari, di sicurezza ed immigrazione’, certamente anch’esso richiamato dall’art. 80, posto che sul punto non pare di cogliere differenze di disciplina che ne caratterizzino l’esclusione.
E qui, è preliminare comprendere se ‘giurisdizione
esclusiva’ ed esercizio dei ‘diritti sovrani’ (art.77) siano concetti corrispondenti, posto che questi ultimi sono esercitati dallo Stato costiero sulla piattaforma continentale solo funzionalmente ‘allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse’.
In altre parole, occorre chiedersi se sulle materie di cui all’art. 60, lo Stato costiero abbia un potere più esteso, rispetto a quello ‘funzionale’ previsto dall’art. 77.
La risposta deve essere negativa.
Avere giurisdizione esclusiva significa, infatti, nell’ambito convenzionale, escludere il potere di terzi -siano essi Stati, privati od organizzazioni- di dare disciplina ad un determinato dominio giuridico.
L’esclusione del potere altrui, non significa, nondimeno, che il potere attribuito dalla convenzione sia connesso all’imperio dello Stato sul suo territorio ove esso sia, invece, riconosciuto dalla norma pattizia in dipendenza di una funzione e ad essa sia limitato.
Se il potere sovrano è funzionale allo scopo dello sfruttamento e dell’esplorazione, anche la giurisdizione non potrà che conoscere gli stessi limiti, dovendo altrimenti ritenersi che la giurisdizione si estenda oltre il potere.
Ed allora, la giurisdizione esclusiva in materia di leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari, di sicurezza e di immigrazione è da circoscrivere ai poteri sovrani funzionalmente esercitati ai fini dell’indisturbato sfruttamento delle risorse. Il che significa che lo Stato costiero può applicare sulle isole, sulle installazioni e sulle strutture quelle leggi e quei regolamenti interni in quanto assicurino il raggiungimento di quello scopo, ciò non giustificandosi diversamente, posto che, in caso contrario, la regolazione di quelle materie resta sottratta all’imperio dello Stato costiero, essa concorrendo con i diritti degli altri Stati su quella particolare zona di mare (Zona
economica esclusiva o piattaforma continentale).
Ne consegue che il ragionamento delle difese della ricorrente, che dalla giurisdizione esclusiva nelle materie di cui all’art. 60 vogliono far discendere la territorialità del potere statuale sulle piattaforme è fallace. Si dice, infatti, che essendo il potere impositivo strettamente collegato al potere d’imperio connesso alla territorialità dello Stato, allora la sua riserva esclusiva allo Stato su un determinato ‘spazio’ fa divenire quello spazio territorio dello Stato. Ma se lo ‘spazio’ è territorio de llo Stato, non c’è la necessità di una previsione espressa per assicurare allo Stato la giurisdizione. Essa è connessa al territorio. Tanto è vero l’art. 2, disciplinando il regime giuridico del mare territoriale, non introduce alcun riferimento alla giurisdizione, ma sancisce la ‘sovranità’ dello Stato cui quel mare appartiene. Se, invece, la sovranità piena va esclusa perché i diritti sovrani su una fascia marittima non sono connessi al territorio, ma alla funzione per la quale si riconosce convenzionalmente un potere dello Stato costiero, ecco che diventa necessario attribuire la giurisdizione, o quantomeno una ‘limitata’ giurisdizione che consenta a quello Stato di assicurarsi l’agevole raggiungimento lo scopo, a discapito di altri soggetti che, altrimenti, potrebbero vantare diritti concorrenti.
Quanto fin qui detto pare porsi in linea non solo con la giurisprudenza già richiamata della Corte di giustizia –RAGIONE_SOCIALE NN, C-111/05 sulla non assoggettabilità ad IVA della posa di cavi sottomarini effettuata in Zona economica esclusiva, sulla piattaforma continentale ed in Alto mare- ma anche con la giurisprudenza di questa Corte che ne ha ripreso i principi affermando che ‘la sovranità dello Stato sulla zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale è solo funzionale e, come tale, è limitata al diritto di esercitare le
attività di esplorazione e di sfruttamento (artt. 56 e 77 della convenzione) e l’operazione realizzata in queste zone non rientra nella sovranità dello Stato costiero e così l’operazione che si effettua in alto mare, zona che è sottratta alla sovranità degli Stati (art. 89 della convenzione)’ (Cass. Sez. 5, 16/07/2014, n. 16221, sull’assoggettabilità ad IVA della vendita di un aeromobile, perfezionatasi durante un volo in spazio aereo internazionale, ritenuta soggetta all’ordinaria disciplina nazionale, in quanto il criterio della legge di bandiera, quale collegamento tra la nazionalità dell’aeromobile e il soggetto proprietario, comporta l’assimilazione del bene, anche sotto il profilo fiscale, a un immobile ubicato nel territorio dello Stato e, pertanto, soggetto al principio di territorialità sancito dall’art. 7 bis, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. (Cass. Sez. 5, 16/07/2014, n. 16221).
La conclusione deve essere che la giurisdizione esclusiva assegnata allo Stato costiero dall’art. 60 nelle materie ivi indicate è limitata funzionalmente all’indisturbato godimento delle risorse che la piattaforma offre.
Ecco, quindi, che si comprende come lo Stato costiero possa applicare quelle leggi impositive (ad esempio quelle sul reddito delle persone fisiche) che regolano rapporti giuridici (ad esempio l’attività lavorativa degli addetti) funzionalmente connessi con lo scopo esplorativo ed estrattivo.
19. In conclusione, le piattaforme continentali non possono definirsi territorio dello Stato costiero, perché si trovano al di fuori del mare continentale, l’esercizio dei diritti sovrani dello Stato costiero è funzionalmente limitato all’indisturbato godimento delle risorse, la giurisdizione esclusiva assegnata allo Stato costiero dall’art. 60, può essere esercitata sulle materie ivi indicate solo ed esclusivamente nei limiti della funzione per cui i diritti sovrani sono riconosciuti.
Se questi sono i presupposti diventa chiaro che la risposta al quesito sull’assoggettabilità delle piattaforme territoriali ad ICI ed IMU, non può che essere definitivamente negativa, perché il presupposto dell’imposta comunale sugli immobili consiste nell’ubicazione dell’immobile ‘nel territorio dello Stato’.
Non appare più necessario, a questo punto, affrontare gli ulteriori motivi di ricorso, posto che tutti presuppongono la risoluzione positiva della superiore questione. Non interessa, infatti, in questa sede verificare se le isole, le installazioni e le piattaforme siano beni immobili, ai sensi dell’art. 812 cod. civ. (come dedotto dalla ricorrente con il terzo motivo di ricorso), né approfondire se l’imposizione comunale sugli immobili partecipi del criterio della correlazione o del beneficio o se abbia qualche influenza il godimento dei servizi comunali da parte del personale sbarcato.
Si tratta di temi che, peraltro, sono stati risolti dalla Corte di legittimità in occasione delle decisioni sulla diversa questione dell’assoggettabilità all’imposta comunale sugli immobili delle piattaforme situate nel mare territoriale. In particolare, va richiamata sul punto la sentenza di questa Sezione del 24/02/2016, n. 3618, che ha ritenuto sussistente la potestà degli enti locali nell’ambito del mare territoriale, fino ad una distanza di 12 miglia marine, in quanto paragonabile a quella esercitata sul proprio territorio, con estensione della sovranità dello Stato e, per esso, dei relativi Comuni, sul mare territoriale, pur con i limiti derivanti dalle convenzioni internazionali. Seppure, infatti il mare non sia ‘ricompreso tra i beni del demanio marittimo, che concernono solo il lido, la spiaggia e le terre emerse, tuttavia i beni infissi nel fondo del mare territoriale sono equiparabili a quelli del demanio marittimo (cfr art. 29 cod. nav.). Le strutture
stabilmente infisse nel fondo del mare territoriale sono, quindi, soggette al potere impositivo dell’ente territoriale di riferimento, rientrando nella definizione di fabbricati, e sono soggette ad ICI ai sensi dell’art. 3 d.Igs 504/92, come modificato dalla l. 368/200′. Del pari, tali strutture sono soggette all’obbligo di accatastamento previsto dal r.d.l. 652/39, il cui art. 4 stabilisce che debbano essere accatastate anche le costruzioni sospese o galleggianti “stabilmente assicurate al suolo’. La med esima pronuncia ha poi stabilito due principi di diritto. Con il primo ha affermato che ” Le piattaforme petrolifere sono soggette ad ICI e sono classificabili nella cat. D/7, stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, alla loro suscettibilità di accatastamento ed a produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura ‘. Con il secondo, che ‘In mancanza di rendita catastale, la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella cat. D/7, è costituita dal valore di bilancio, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3 dell’art. 6 del d. legge 11 luglio 1992,n. 33″, cioè in base al valore ” costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili’.
Come, si è detto, nondimeno, siffatte risposte non si attagliano alla diversa ipotesi delle strutture site sulla piattaforma continentale, stante l’assenza del requisito fondante della ‘territorialità’ dello Stato costiero.
Per mera completezza espositiva si ritiene di dover esaminare la censura proposta con l’ultima parte del primo motivo, inerente alla violazione dell’art. 107 TFUE .
L’art. 107 del TFUE così recita: ‘Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato
interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza’.
24. La giurisprudenza di legittimità, in più occasioni, si è occupata della compatibilità delle esenzioni previste dalle leggi sull’imposizione comunale degli immobili con il disposto dell’art. 107 TFUE, sia con riferimento all’ICI, che con riferimento all’IMU, anche in relazione alle pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea (cfr. sentenza del 6 novembre 2018, cause riunite C-622/16 P -C-623/16 P, C-624/16, RAGIONE_SOCIALE vs. Commissione Europea ed altri)
25. Si è precisato che le condizioni per l’esenzione dall’ICI di cui all’art. 7 del d. lgs. 504 del 1992 (ICI) ‘sono subordinate alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di determinate attività -descritte dalla disposizione- da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma 1, lett. c, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale (così Cass., Sez. 5, del 16 dicembre 2024, n. 32690, in motivazione con esaustivi richiami della giurisprudenza precedente).
Sul versante della compatibilità dell’esenzione in esame con il diritto dell’Unione, ed in particolare con l’art. 107 TFUE, si è poi consolidato un orientamento di legittimità che -anche
avuto riguardo alla decisione adottata dalla Commissione europea del 19 dicembre 2019ne ha affermato l’ammissibilità soltanto qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico (Cass., Sez. 5^, 12 febbraio 2019, n. 4066; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2019, n. 10288; Cass., Sez. 6^, 10 settembre 2020, n. 18831; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, nn. 3443, 3444 e 3446; Cass., Sez. 6^-5, 13 maggio 2022, n. 15364; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2023, n. 17142; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501).
Con all’introduzione dell’IMU, a mezzo del d. lgs. n. 23 del 2011, il legislatore, che dapprima aveva ritenuto di non intervenire sull’art. 7 del d. lgs. 504 del 1992, sostanzialmente dispone, con la modifica di cui all’art. 91 -bis del d.l. n. 1 del 2012, conv. con mod. nella l. 27 del 2012, che l’esenzione dall’imposta sia fruibile solo qualora l’immobile fosse utilizzato direttamente da soggetti pubblici o privati che non abbiano come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali ed ivi svolgano effettivamente con modalità non commerciali attività ‘assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché (quelle) di cui all’art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222’.
Su questa base questa Corte ha chiarito che ‘In tema di IMU, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si applica agli immobili di cui all’art. 9, comma 8, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a, della legge 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione e di culto), purché
essi siano direttamente utilizzati dall’ente possessore e siano destinati esclusivamente ad attività peculiari non produttive di reddito, non spettando il beneficio in caso di utilizzazione indiretta, seppur assistita da finalità di pubblico interesse (Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2023, n. 17100; cfr. anche Cass., Sez. 5, del 16 dicembre 20024, n. 32690, da cui è ampiamente tratta la ricostruzione della pronunce della giurisprudenza di legittimità).
E’, tuttavia, ovvio che l’esercizio di attività estrattiva non rivesta i caratteri richiesti per l’esenzione dalle imposte comunali sugli immobili, trattandosi evidentemente di attività commerciale. Ed è parimenti ovvio che non ricorrano i presupposti di compatibilità degli aiuti di Stato con il disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 107 TFUE, rivolti a compensare situazioni di particolare svantaggio economico.
E, quindi, resta da chiedersi se il mancato assoggettamento delle strutture poste su piattaforme continentali alla tassa comunale sugli immobili integri o no un aiuto di Stato, posto che le strutture estrattive interne al mare territoriale sono, invece, assoggettabili al tributo.
Va subito detto che l’aiuto di Stato implica la possibilità dello Stato di concedere l’aiuto, anche a mezzo di una esenzione da particolari imposte e tasse.
Come si è lungamente spiegato in precedenza, lo Stato non può, in forza della Convenzione sull’utilizzo del mare, procedere ad un’imposizione che abbia quale presupposto la territorialità, perché le piattaforme continentali non sono territorio dello Stato.
Allora, però, se lo Stato non ha ‘mano libera’, perché è privo del potere impositivo, neppure può dirsi che la non assoggettabilità ad un imposta di un certo immobile (le strutture poste sulla piattaforma), integri un aiuto ai sensi
dell’art. 107 TFUE.
D’altro canto, la più volte richiamata sentenza della CGUE nella causa n. C-111/05 RAGIONE_SOCIALE NN, sulla non assoggettabilità ad IVA della posa di cavi sottomarini effettuata in Zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale, giustificata dall’assenza di piena sovranità dello Stato su quelle zone di mare, è di per sé una risposta.
Va, dunque, conclusivamente affermato il seguente principio di diritto :
‘Agli impianti fissi o galleggianti situati sulla piattaforma continentale, come definita dall’art. 76 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 10 dicembre 1982 (Convenzione di Montego Bay) la cui ratifica è stata autorizzata con la legge 2 dicembre 1994 n. 689, non si applica l’imposta comunale sugli immobili, posto che la piattaforma continentale -e del pari la Zona economica esclusiva di cui all’art. 55 della medesima Convenzione- non è territorio dello Stato, essendo i diritti sovrani e la giurisdizione esclusiva su di essa assegnati allo Stato costiero, ai sensi degli articoli 77 e 60, comma 2 della Convenzione, esercitabili solo ‘funzionalmente’ allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse’.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.
Si dà atto che sussistono, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità da liquidarsi in euro 24.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione