Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27018 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 27018 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12345/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE COGNOME in qualità di curatore del fallimento 101/2018 della società RAGIONE_SOCIALE , rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
ROMA COGNOME, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4918/2021 depositata il 02/11/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME Udito Il P.G., nella persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito il difensore del Comune che si è riportato ai propri scritti difensivi.
FATTI DI CAUSA
1.La Società RAGIONE_SOCIALE Fallimento n. 101/2018, destinataria dell’avviso di accertamento IMU n. 143 relativo all’anno di imposta 2012 emesso da Roma Capitale in ragione del parziale versamento dell’imposta, proponeva ricorso dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma eccependone l’illegittimità.
Essa veniva fondata sull’asserzione che l’Ente impositore aveva omesso di considerare come l’abusività delle unità immobiliari oggetto dell’avviso fosse stata causa degli ordini di demolizione gravanti sugli immobili in oggetto e conseguentemente della situazione di inutilizzo o di uso precario degli stessi. La Società, su queste basi, riteneva dunque non solo che Roma Capitale non avrebbe dovuto calcolare l’imposta sulla base del valore venale, ma anche che fosse stato violato il principio del contraddittorio e, in conseguenza, riteneva l’atto impositivo affetto da carenza di motivazione.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 10877/38/2017 emessa in data 17/07/2017 e depositata in data 01/09/2017, respingeva il ricorso.
Interposto appello, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio -sede di Roma con sentenza n. 4918/17/2021 emessa in data 27/10/2021 e depositata in data 02/11/2021 respingeva l’appello.
4.Avverso la predetta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.
Replica con controricorso il Comune di Roma.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
La prima censura, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deduce ; per avere il decidente trascurato di considerare, sulla scorta della documentazione allegata, che i fabbricati erano stati attinti da ordine di demolizione, provvedimenti di sequestro e confisca che avevano sottratto agli immobili il valore commerciale e l’utilizzabilità. Si sostiene che, a causa dei provvedimenti di sequestro, demolizione e acquisizione emessi dal Comune, gli immobili sono stati sottratti alla piena disponibilità della contribuente e hanno perso qualsiasi valore commerciale e di utilizzabilità (sia d’uso che di scambio). In questi casi, la base imponibile non dovrebbe essere calcolata sulla rendita catastale degli immobili, ma sul valore venale dell’area sottostante, come affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza n. 17035 del 2013) e dalle risoluzioni ministeriali. Si obietta che in presenza dell’ordine di demolizione, l’effetto traslativo delle opere abusive e dell’area di sedime si determina ipso iure alla scadenza del termine per ottemperare alla ingiunzione di demolizione, che, peraltro, che manca l’oggetto dell’imposizione perché non poteva considerarsi né l’area fabbricabile né il fabbricato.
2.Con il secondo mezzo di ricorso si prospetta la , lamentando l’erronea applicazione della normativa in materia, prospettando un’assimilazione dell’opera abusiva assoggettata ad ordine di demolizione al fabbricato in corso d’opera ovvero al fabbricato ricostruito, ristrutturato o restaurato che acquista rilevanza fiscale solo al momento della ultimazione dei lavori. La Curatela invoca l’applicazione dell’art. 13 d.l. n. 201/2011 a mente
del quale la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera. Questo principio sarebbe assertivamente supportato dal d.lgs. n. 504/1992 (art. 5, comma 6), dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza n. 24799 del 2014) e da specifiche risoluzioni ministeriali (come la n. 29307 n. 11/DF dell’11 dicembre 2013). Pertanto, la tassazione dovrebbe avvenire sul valore dell’area, come dichiarato dalla contribuente, e non sulla rendita catastale degli immobili ‘ordinari’, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera.
3.Il terzo strumento di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e travisamento dei fatti nonché errore manifesto, insistendo nelle argomentazioni dedotte con le precedenti censure e lamentando l’erronea applicazione delle sanzioni, tenuto conto della incertezza normativa relativa alla interpretazione delle norme tributarie, ai sensi dell’art. 8 d.lgs.s. n. 546/1992
4. La prima e la terza censura sono inammissibili per violazione dell’art. 348-ter ultimo comma, c.p.c. stante il rigetto dell’appello statuito dalla Corte di merito e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 28.02.2023, n. 5947; Cass. del 20/09/2023, n. 26934; Cass. 12/05/2025, n. 12636).
4.1. In proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il
ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
5. In ogni caso, la censura, rubricata come omesso esame di un fatto decisivo, concernente l’incertezza normativa per avere la Risoluzione n. 395/e/2008 ritenuto che, nella fattispecie esaminata, si trattasse di area edificabile, è comunque infondata.
5.1.La risoluzione concerne la plusvalenza di una cessione di area ritenuta dall’amministrazione in quella particolare fattispecie sottoposta al suo esame – “un’area da considerarsi fabbricabile in quanto utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. L’obiettiva incertezza normativa non può dunque essere inferita da una risoluzione dell’amministrazione finanziaria in risposta ad un preciso quesito del contribuente relativa ad altra imposta e ad una differente fattispecie.
5.2. Per costante orientamento della Suprema Corte, «in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere
-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» (così, da ultimo Cass. n. 15144 del 06/06/2025; Cass. n. 2604 del 29/01/2024; Cass. n. 10662 del 04/05/2018: Cass. n. 23845 del 23/11/2016; conf. Cass. n. 4522 del 22/02/2013; Cass. n. 3245 del 11/02/2013; Cass. n. 18434 del 26/10/2012). Sul decalogo non esaustivo degli indici interpretativi da cui desumere l’incertezza normativa si veda, ex plurimus, Cass. n. 21936 del 2 agosto 2024;Cass. 1/02/2019, n, 3108.
5.3. Nel caso in esame, parte ricorrente non ha neppure indicato le norme la cui incertezza l’hanno indotta a non dichiarare gli immobili ed omettere il versamento della relativa imposta, designando esclusivamente, quale unico indice da cui inferire una generica incertezza normativa, la risposta data dall’Agenzia all’interpello, proposto ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000, in relazione alla cessione di fabbricati e terreni rientranti in un piano di recupero ai fini dell’accertamento delle plusvalenze ex art.67, comma 1, del TUIR, nonché l’incertezza discendente da una interpretazione non univoca delle disposizioni tributarie non meglio individuate.
5.4. In disparte l’eterogeneità dell’imposta e della fattispecie oggetto della risposta dell’ente finanziario, come ribadito da questa Corte, la risposta all’interpello fornita dall’Agenzia è vincolante solo ed esclusivamente nei confronti del soggetto che ha presentato l’istanza (Cass. 9719/2018) e non ha, quindi, un valore generale, non producendo effetti nei confronti di tutti gli altri contribuenti, né in casi analoghi relativi a soggetti diversi da chi ha proposto l’interpello (Cass. n. 8740/2021).
5.5.Ne consegue che la risposta all’interpello concernente imposta diversa da quella comunale, altro contribuente e addirittura differente fattispecie concreta non può in alcun modo causare una incertezza normativa che, nella fattispecie, è, comunque, da escludersi in considerazione del chiaro tenore letterale delle norme
invocate in materia di decorrenza degli effetti dell’ordine di demolizione non assolto (rispetto alle annualità di imposta oggetto dell’avviso opposto).
Il secondo mezzo di ricorso non ha pregio.
6.1.Come ripetutamente precisato dalla Corte, per fabbricato rilevante ai fini ICI deve intendersi, ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sensi del r.d.l. n. 652 del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673). L’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio urbano costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924).
6.2. In particolare, questa Corte ha sottolineato che per considerare dei fabbricati inagibili/inabitabili, di fatto non utilizzati, si deve tener conto dei requisiti di cui all’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e quindi nello specifico gli immobili devono presentare un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica non superabile con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria (cfr. Cass. n. 5804 del 24/02/2023; Cass. n. 29966 del 19/11/2019). L’inagibilità (che consente la riduzione d’imposta) è correlata alla temporanea
impossibilità di utilizzo dell’immobile e non va intesa come qualità giuridica superabile con il rilascio del certificato di abitabilità (secondo Cass. n. 5372/2009 «…il rilascio del certificato di abitabilità non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, non potendosi desumere il contrario dal tenore dell’art. 8, comma 1, del citato decreto, che si riferisce esclusivamente all’ipotesi di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito di perizia dell’ufficio tecnico comunale, e di fatto non utilizzati»; conf. Cass. n. 12936/2019; Cass. n. 1955/2024).
6.3.D’altra parte, la riduzione dell’ ICI o dell’ IMU per la mancanza del certificato di abitabilità dei fabbricati, non trova fondamento in quanto tale certificazione non attesta alcuna agibilità, bensì l’idoneità igienico -sanitario tale da consentirne l’uso; l’imposta è, quindi, dovuta per il solo fatto che si sia provveduto all’accatastamento, restando estranea alla sfera attinente al rapporto tributario tutto quanto afferisce alla effettiva abitabilità del bene stesso ovvero alle sue caratteristiche urbanistiche o igienicosanitarie.
6.4. Non possono, dunque, assimilarsi gli immobili affetti da difformità edilizia a quelli inagibili, come adombrato dalla società, esigendo, su tal inedito presupposto, una tassazione ridotta nella misura del 50%, in quanto la legge non richiede fra i presupposti dell’imposta la regolarità urbanistica dell’immobile né l’abitabilità dello stesso (Cass., 26 giugno 2025; Cass., 18/01/2024, n. 1955; Cass. 22.04.2024, n. 363; Cass. n. 21644; 3 maggio 2019, n. 11646 cit.; Cass., Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 5 marzo 2009, n. 5372; Cass., 15 aprile 2005, n. 7905), né la dedotta difformità urbanistica è equiparata dalla normativa di settore agli immobili inagibili.
7.In definitiva, vanno dichiarati inammissibili il primo ed il terzo motivo del ricorso per cassazione, respinti il secondo.
Le spese del presente giudizio seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara l’inammissibilità del primo e del terzo motivo di ricorso, respinto il secondo mezzo.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune di Roma che liquida in euro 8.500,00 per compensi, 200,00 euro per esborsi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge;
v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di cassazione del 17.09. 2025.
Il Consigliere rel.
NOME COGNOME
IL PRESIDENTE NOME COGNOME