Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27859 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5   Num. 27859  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15125/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso  la  SENTENZA  di  CORTE  DI  GIUSTIZIA  TRIBUTARIA  II GRADO RAGIONE_SOCIALE ROMAGNA n. 335/2024 depositata il 12/04/2024. Udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del 27/05/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CGT, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello della contribuente, con la conferma della decisione di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso avvero l’avviso di accertamento  IMU  2014,  rideterminando  la  somma  a  mq  in  euro 267,00 del terreno oggetto dell’imposta ;
la contribuente società ricorre in cassazione con cinque motivi di ricorso integrati da successiva memoria;
il Comune replica con controricorso, come integrato da memoria, e chiede il rigetto del ricorso in quanto infondato;
la Procura generale della Corte di cassazione, sostituto procuratore generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, ha depositato memoria, ribadita anche in udienza, con la richiesta di accoglimento del quinto motivo di ricorso e di rigetto gli altri motivi;
Le parti presenti in udienza si sono riportate alle conclusioni dei loro atti.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e deve respingersi con la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, con il raddoppio del contributo unificato.
Con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione di legge, rilevante  ex  art.  360,  primo  comma,  n.  3,  cod.  proc.  civ.  (art. secondo comma, d. lgs. n. 504 del 1992, art. 36, d. lgs. 58 del 1998) per insussistenza del presupposto impositivo in capo alla ricorrente.
Per  la  ricorrente  solo  il  fondo  comune  di  investimento  deve rispondere  del  pagamento  dell’IMU  sugli  immobili;  la  società  di
RAGIONE_SOCIALE  del  fondo  immobiliare  (LIKIZO)  non  è  soggetto  passivo dell’imposta che deve essere pagata dal Fondo immobiliare.
I fondi comuni di investimento sono privi di un’autonoma soggettività giuridica: «I fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliare chiusi), disciplinati nel d.lgs. n. 58 del 1998, e succ. mod., sono privi di un’autonoma soggettività giuridica, ma costituiscono patrimoni separati della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio; pertanto, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile che ne è oggetto deve essere intestato alla società promotrice o di RAGIONE_SOCIALE la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia» (Cass. Sez. 1, 08/05/2019, n. 12062, Rv. 653911 -01; vedi anche Cass. Sez. 2, 18/03/2025, n. 7201, Rv. 673998 – 01).
Come logica conseguenza la società di RAGIONE_SOCIALE è tenuta a pagare l’Imu: «I fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliari chiusi), disciplinati dal d.lgs. n. 58 del 1998 e succ. mod., non sono soggetti passivi dell’imposta municipale gravante sugli immobili che ne fanno parte, in quanto detti fondi sono privi di un’autonoma soggettività giuridica e costituiscono patrimoni separati della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio, la quale è tenuta al pagamento dell’IMU» (Cass. Sez. 5, 09/03/2023, n. 7116, Rv. 667341 -01; vedi anche Cass. Sez. 5, 22/12/2024, n. 33895, Rv. 673261 – 01).
 1.  Anche  nell’ipotesi  di  liquidazione  giudiziale  del  fondo sarebbe tenuta al pagamento la società (vedi Sez. 5, 09/03/2023, n. 7116, Rv. 667341 -01, in termini).
La decisione di questa Corte, Sez. 5, 12/06/2024, n. 16285, Rv. 671514 -01, non sposta il termine del problema in quanto la stessa espressamente  riguarda  solo  l’IVA  e  non  anche  i  tributi  locali: «Bisogna,  peraltro,  verificare  se  una  soluzione  formalistica  di  tal
fatta possa essere utilizzata anche per l’IVA. L’analisi normativa e giurisprudenziale che segue dimostrerà il contrario».
La decisione,  quindi,  non  si  pone  in  contrasto  con  le  altre  in materia di tributi locali.
Neanche  la ratio della  decisione  può  ritenersi  decisiva  per mutare orientamento sui tributi locali, in particolare l’IMU.
La  società  di  RAGIONE_SOCIALE  risponde  nei  limiti  del  patrimonio  del fondo.  Solo  questo  è  il  limite,  che  nel  caso  in  giudizio  non  viene neanche prospettato come impedimento al pagamento.
Per l’art. 36, quarto comma, d. lgs. N. 58 del 1998 « Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la RAGIONE_SOCIALE risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti».
È la società di RAGIONE_SOCIALE, quindi, che risponde delle obbligazioni (peraltro è intestataria degli immobili e questo già sarebbe sufficiente per l’imu) e non il fondo che non ha personalità giuridica, anche se nei limiti del patrimonio del fondo. Limiti, che, si ribadisce, nel  caso  in  giudizio  non  sono  stati  prospettati  quale  impedimento all’adempimento dell’obbligazione tributaria per gli anni in oggetto.
Solo  un  superamento  dei  limiti  del  patrimonio  del  fondo potrebbe giustificare una impossibilità di adempiere.
Un raffronto tra i fondi comuni e i patrimoni separati, destinati ex art. 2447-bis cod. civ. (« Qualora la deliberazione prevista dall’articolo 2447-ter non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato. Resta salva, tuttavia, la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito») conferma che i beni del fondo di investimento sono una porzione separata della RAGIONE_SOCIALE; la separazione rileva solo in sede esecutiva, ma obbligata è solo la società di RAGIONE_SOCIALE. In particolare, per l’IMU, essendo lei formalmente l’intestataria dell’immobile, come sopra visto.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta violazione di legge, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (art. 5, d. lgs. n. 504 del 1992), per il valore venale del fondo determinato in maniera non conforme ai criteri di legge.
Il motivo risulta proposto concretamente (ed anche espressamente) per il n. 5, dell’art. 360, cod. proc. civ. in quanto nel motivo si richiama la norma (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) e poi si prospetta che «Dette considerazioni sono del tutto state travisate dai giudici di secondo grado, nonostante le sopra riportate circostanze oggetto di discussione tra le parti, siano chiare ed evidenti, e in quanto tali non meritevole dell’omesso esame operato nella sentenza di cui si chiede la riforma».
In presenza di una doppia conforme di merito risulta inammissibile il ricorso ex art. 360, primo comma, N. 5 cod. proc. civ.: «Nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Sez. 3 – , Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023, Rv. 667202 – 01).
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta violazione di legge rilevante ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per omessa pronuncia e violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato, art. 112 e 132 cod. proc. civ., art. 118, disp. Att. cod. proc. civ. e art. 36, d. lgs. 546 del 1992 (intervenuta decadenza del Comune).
L’avviso  è  stato  notificato  il 17  dicembre  2020,  decorso  il termine di cinque anni previsto dall’art. 1, comma 161, l. n. 296 del 2006,  in  quanto,  per  la  ricorrente  non  sussisteva  obbligo  di dichiarazione.
La decisione impugnata omette la risposta ma trattandosi di questione di diritto la Corte non deve cassare la sentenza se la stessa, nel dispositivo è conforme al diritto, e non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto («Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto», Cass. Sez. 3, 16/06/2023, n. 17416, Rv. 668197 – 01).
Nel caso  in giudizio, trattandosi di terreni edificabili era necessaria  la  dichiarazione  da  presentarsi  entro  il  termine  del  30 giugno dell’anno successivo a quello di imposta (art. 13, comma 12 -ter, d. l. n. 201 del 2011, nel testo allora vigente).
Conseguentemente  nessuna  decadenza  sussiste  essendo  la notifica  dell’avviso  entro  il  quinto  anno  dalla  data  dell’obbligo  di presentazione della dichiarazione («In tema di ICI, ai fini dell’individuazione  del  “dies  a  quo”  del  termine  quinquennale  di decadenza  del  potere  di  accertamento  da  parte  degli  enti  locali, previsto dall’art. 1, comma 161, della l. n. 296 del 2006, occorre distinguere l’ipotesi di omesso versamento dell’imposta (in relazione
alla quale deve farsi riferimento al termine entro cui il tributo avrebbe dovuto essere pagato) da quella di omessa dichiarazione (in ordine alla quale deve farsi riferimento al termine entro cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione omessa); pertanto, mentre nella prima ipotesi il primo dei cinque anni previsti dalla norma richiamata è quello successivo all’anno oggetto di accertamento e nel corso del quale il maggior tributo avrebbe dovuto essere pagato, nella seconda ipotesi esso coincide, invece, con il secondo anno successivo a quello oggetto di accertamento, atteso che il termine di presentazione della dichiarazione scade l’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta», Cass. Sez. 5, 13/01/2021, n. 352, Rv. 660234 -01; vedi anche Cass. Sez. 5, 29/10/2021, n. 30966, Rv. 662701 – 01).
5. Con il quarto motivo la ricorrente prospetta una violazione di legge  rilevante  ex  art.  360,  primo  comma,  n.  4,  cod.  proc.  civ. (omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, art. 112 e 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., art. 118, disp. Att. Cod. proc. civ. e art. 36, d. lgs. 546 del  1992)  in  relazione  all’omessa  pronuncia  sulla  questione  della motivazione dell’avviso di accertamento.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato. La ricorrente prospetta la questione in maniera  generica e teorica, senza trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento e prospettare la lesione dei suoi diritti di difesa.
«Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella specie, risultante “per relationem” ad un processo verbale di constatazione) è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente
interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente  in  base  al  ricorso  medesimo,  essendo  il  predetto avviso  non  un  atto  processuale,  bensì  amministrativo,  la  cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento» (Cass. Sez. 5, 19/04/2013, n. 9536, Rv. 626383 – 01).
Inoltre, nel giudizio di appello quello che rileva è la motivazione della  sentenza  di  primo  grado,  che  deve  essere  contestata  con  i motivi di appello, e non l’avviso di accertamento.
La decisione di primo grado espressamente argomenta sulla motivazione dell’avviso di accertamento e l’appello, al pari del ricorso in cassazione, non contiene motivi specifici nei riguardi della motivazione della sentenza. La ricorrente ripropone in maniera teorica la questione: «Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice , senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un non motivo , come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.» (Sez. 1 – , Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018, Rv. 650919 – 01).
 Con  il  quinto  motivo  la  ricorrente  prospetta  violazione  di legge  rilevante  ex  art.  360,  primo  comma,  n.  4,  cod.  proc.  civ. (omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, art. 112 e 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., art. 118, disp. Att. Cod. proc. civ. e art. 36, d. lgs. 546 del 1992).
Il  motivo  risulta  ammissibile  in  quanto  non  può  ritenersi  una pronuncia  implicita  (come  prospettato  nelle  controdeduzioni)  o assorbita nella motivazione su altri aspetti. Il tema delle sanzioni era stato  specificamente  sollevato  nell’appello.  La  sentenza  d i  appello
nulla  dice  sui  motivi  di  appello,  nonostante  la  decisione  di  primo grado aveva motivato sul rigetto del motivo sulle sanzioni.
La contribuente effettuava un parziale pagamento (la somma richiesta, infatti, è, pacificamente, per una differenza di imposta).
La sanzione del 100 % dell’imposta evasa risulta conforme a legge.
L’art. 14, come modificato dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, nella parte che qui rileva, ponendo una evidente graduazione delle sanzioni sulla base della gravità delle violazioni, prevede: «1. Per l’omessa presentazione della dichiarazione o denuncia si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento del tributo dovuto, con un minimo di lire centomila.” 2. Se la dichiarazione o la denuncia sono infedeli si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della maggiore imposta dovuta. 3. Se l’omissione o l’errore attengono ad elementi non incidenti sull’ammontare dell’imposta, si applica la sanzione amministrativa da lire centomila a lire cinquecentomila. La stessa sanzione si applica per le violazioni concernenti la mancata esibizione o trasmissione di atti e documenti, ovvero per la mancata restituzione di questionari nei sessanta giorni dalla richiesta o per la loro mancata compilazione o compilazione incompleta o infedele».
Ciò premesso, questa Corte, con valutazione da cui non vi è ragione di discostarsi, ha chiarito che: – «L’inosservanza dello specifico obbligo di facere (“dichiarare”; “denunciare”) nel termine fissato, imposto dalla norma, evidenzia una condotta inadempiente del comportamento attivo richiesto, quindi un comportamento omissivo del soggetto passivo, e connota la violazione di quell’obbligo sanzionata dal successivo art. 14»; «Dalla lettura sistematica dei vari commi si evince che la ratio di tale graduazione è quella di prevedere la massima sanzione, in misura uguale o pari al doppio dell’imposta evasa, in presenza di una omessa dichiarazione cui si colleghi l’omesso versamento integrale del
dovuto; la sanzione intermedia, in misura pari alla metà o uguale all’importo evaso, in caso di dichiarazione infedele che abbia inciso sulla determinazione e quindi sul versamento in difetto dell’imposta; la sanzione minima, in misura forfettaria tra un minimo e un massimo, nel caso in cui “l’omissione o l’errore” non abbiano inciso sulla determinazione dell’imposta, che si presuppone dunque versata nella misura dovuta» (così Cass., Sez. V., 9 giugno 2021, n. 16056; vedi anche Sez. 5, n. 35900 del 2023). D unque, l’applicazione della massima sanzione (in misura uguale o pari al doppio dell’imposta evasa) opera in presenza di una omessa dichiarazione cui si colleghi l’omesso versamento integrale dell’imposta dovuta.
Alla stregua di tale principio, l’applicazione di una sanzione pari al 100% della somma non dichiarata, non si è posta in violazione della suindicata previsione normativa, il che giustifica il rigetto del motivo di ricorso.  Infatti,  il  pagamento  non  è  stato  integrale,  ma parziale;  l’applicazione  del  minimo  edittale  deve  ritenersi,  quindi, conforme a legge.
…
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per  compensi,  oltre  alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1 -quater del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27/05/2025. Il AVV_NOTAIO estensore                                           Il Presidente NOME NOME COGNOME                             NOME COGNOME