Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22581 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22581 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 04/08/2025
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22531/2021 R.G. proposto da Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del prof. avvocato NOME COGNOME EMAIL, rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di San Michele al Tagliamento (P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t. , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (EMAILavvocatiEMAIL), d all’avvocato NOME COGNOME EMAIL e dall’avvocato NOME COGNOME EMAIL;
-controricorrente – e sul ricorso proposto da
Comune di San Michele al Tagliamento (P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME EMAILavvocatiEMAILit), dall’avvocato NOME COGNOME EMAIL e dall’a vvocato NOME COGNOME EMAIL;
-ricorrente in via incidentale –
contro
Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale;
-intimato – avverso la sentenza n. 178/2021, depositata il 27 gennaio 2021, della Commissione tributaria regionale del Veneto; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 30
gennaio 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 178/2021, depositata il 27 gennaio 2021, la Commissione tributaria regionale del Veneto, previa riunione dei ricorsi separatamente pendenti, ha rigettato gli appelli proposti, rispettivamente in via principale ed incidentale, dal Comune di San Michele al Tagliamento e dal Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale, così confermando i decisa di prime cure che recavano parziale accoglimento delle impugnazioni di due avvisi di accertamento emessi dall’Ente impositore in relazione all’I MU dovuta dal Consorzio contribuente per gli anni dal 2012 al 2016.
1.1 -A fondamento del decisum , e per quel che qui rileva, il giudice del gravame ha considerato che:
gli appelli principali del Comune andavano disattesi in quanto -così come condivisibilmente rilevato nelle pronunce rese dalla
Commissione tributaria provinciale che aveva accertato «l’esistenza dell ‘esimente di cui all’art. 9, comma 8°, D.Lgs. n. 23/2011 con riferimento (però) ai soli impianti idrovori» -gli impianti in questione risultavano destinati ad esigenze pubblicistiche ( al fine di gestire le opere pubbliche di bonifica ) così che doveva ritenersi erroneo il loro classamento nella categoria D (categoria diversamente deputata ad individuare le unità immobiliari con destinazione ad un’attività industriale o commerciale);
si trattava, difatti, di impianto posto nella parte terminale di una rete di canali e deputato al sollevamento delle acque raccolte in un bacino ed al loro convogliamento in un corso d’acqua pensile (altimetricamente superiore al piano di campagna) al fine del deflusso delle acque in mare; l’impianto risultava, pertanto, funzionale alla «sicurezza idraulica» del sito in quanto, in difetto del suo impiego, i terreni bonificati sarebbero rimasti esposti ad allagamento;
del pari andavano disattesi gli appelli incidentali spiegati dal Consorzio in quanto:
il Consorzio di Bonifica doveva ritenersi soggetto passivo del tributo siccome concessionario ex lege dei beni sottoposti a tassazione;
nessuna dimostrazione era stata offerta in giudizio quanto alla (necessaria) accessorietà delle altre unità immobiliari sottoposte a tassazione (e classate in categorie diverse da quelle di cui ai gruppi D ed E) allo svolgimento delle funzioni (di sicurezza idraulica e regimentazione delle acque) cui le idrovore risultavano deputate.
-Il RAGIONE_SOCIALE Veneto Orientale ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria.
Il Comune di San Michele al Tagliamento resiste con controricorso, che espone l’articolazione di un motivo di ricorso incidentale , ed anch’esso ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Seguendo l’ordine logico delle questioni poste, v a prioritariamente esaminato il ricorso incidentale.
– Con un solo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. b ), al d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 8, ed al d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 1, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214, e deduce, in sintesi che, avuto riguardo ai dicta della giurisprudenza di legittimità, per un verso illegittimamente il giudice del gravame aveva ritenuto di poter rideterminare, con riferimento ai periodi di imposta in contestazione, -e sulla base dell’art. 7, comma 1, lett. b ), cit., che ha riguardo (anche) alle unità immobiliari classificabili «nelle categorie catastali da E/1 a E/9» – il classamento di unità immobiliari che (tutte) risultavano già censite in catasto in categorie del gruppo D); e, per il restante, che una siffatta rideterminazione nemmeno rimaneva legittimata dalla dichiarazione Docfa presentata dalla contribuente nell’anno 2018 atteso che la conseguente variazione catastale non avrebbe potuto produrre effetti che dal 1° gennaio del successivo anno di imposizione (2019) do vendosene escludere un’efficacia retroattiva.
-Il motivo è fondato e va senz’altro accolto .
3.1 – In tema di determinazione della base imponibile ICI, per i fabbricati iscritti in catasto (d.lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, cui rinvia, quanto all’IMU, il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 8, comma 4; v., poi, il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, commi 3, 4 e 5, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214), la Corte ha avuto modo di precisare che:
le risultanze catastali definitive non dovute a mutamenti dello stato e della destinazione dei beni, individuati quali circostanze storicamente sopravvenute, o a correzioni di errori materiali di fatto, ancorché sollecitate all’ufficio dal contribuente, conseguendo all’originaria acquiescenza del contribuente alle operazioni catastali sono soggette alla regola di carattere generale, funzionale alla natura della rendita catastale di presupposto per la determinazione e la riscossione dei redditi tassabili nei singoli periodi d’imposta, della loro efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale le modifiche medesime sono state annotate negli atti catastali (cosiddetta messa in atti), ricavabile dall’art. 5, comma secondo, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, cit., in forza del quale per ciascun atto d’imposizione devono assumersi le rendite quali risultanti in catasto al primo gennaio dell’anno di imposizione (Cass., 7 settembre 2004, n. 18023 cui adde , ex plurimis , Cass., 24 marzo 2023, n. 8550; Cass., 21 ottobre 2022, n. 31250; Cass., 5 febbraio 2021, n. 2771; Cass., 30 luglio 2010, n. 17863; Cass., 27 ottobre 2004, n. 20854);
la regola generale dettata dall’art. 5, comma 2, cit., trova applicazione, altresì, con riferimento alle variazioni catastali conseguenti a dichiarazioni presentate con la procedura Docfa, poiché il termine di efficacia delle rendite (così) stabilito è ispirato a ragioni di uniformità delle dichiarazioni e degli accertamenti e costituisce espressione del principio di uguaglianza (Cass., 7 settembre 2018, n. 21760; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3168; Cass., 15 ottobre 2010, n. 21310);
il modus agendi di detta regola generale non comporta alcuna violazione dell’art. 53 Cost., in quanto l’esigenza di tener conto della capacità contributiva non esclude il potere discrezionale del legislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, così che la disposizione è essa stessa espressione del principio di uguaglianza,
in quanto l’applicazione di un termine differenziato nell’ipotesi di ricorso alla procedura docfa, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti (così la giur. appena citata cui adde Cass., 24 marzo 2023, n. 8550, cit.).
diversamente la regola in questione non si applica al caso in cui la modificazione della rendita catastale derivi dalla rilevazione di errori di fatto compiuti dall’ufficio nell’accertamento o nella valutazione delle caratteristiche dell’immobile esistenti alla data in cui è stata attribuita la rendita, in quanto il riesame di dette caratteristiche da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita a decorrere dal momento dell’originario classamento, rivelatosi erroneo o illegittimo (Cass., 29 settembre 2005, n. 19066 cui adde , ex plurimis , Cass., 20 marzo 2019, n. 7745; Cass., 28 agosto 2017, n. 20463; Cass., 31 luglio 2015, n. 16241; Cass., 5 maggio 2010, n. 10815; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27906); laddove la riconducibilità dell’errore di fatto all’Ufficio deve risultare «evidente ed incontestabile, avendolo riconosciuto lo stesso Ufficio» (Cass., 20 marzo 2019, n. 7745; Cass., 28 agosto 2017, n. 20463; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3168; Cass., 12 maggio 2017, n. 11844; Cass., 24 luglio 2012, n. 13018);
-le variazioni catastali conseguenti a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente, debbono trovare applicazione dalla data della denuncia (Cass., 12 maggio 2017, n. 11844; Cass., 24 luglio 2012, n. 13018); pronunce, queste ultime, che fanno applicazione, poi, dei principi espressi dalla Corte con riferimento alla l. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, essendosi rilevata l’utilizzabilità della rendita – una volta notificata a fini impositivi – «anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso», ovvero per periodi di imposta anteriori a quello in cui ha
avuto luogo la notificazione del provvedimento, purché successivi alla denuncia di variazione (v. Cass., 11 settembre 2019, n. 22653; Cass., 27 luglio 2012, n. 13443; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20775; v., altresì, Cass. Sez. U., 9 febbraio 2011, n. 3160 cui adde , ex plurimis , Cass., 9 giugno 2017, n. 14402; Cass., 6 giugno 2014, n. 12753; Cass., 11 novembre 2011, n. 23600; Cass., 30 settembre 2011, n. 20033).
3.2 -Nella fattispecie, il giudice del gravame -nel rilevare l’erroneità del classamento dei beni nella categoria D -non ha, per l’appunto considerato che la disposizione di cui all’art. 7, comma 1, lett. b ) del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (che contempla, per l’appunto, «i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9»), e cui rinvia il d.lgs. n. 23 del 2011, cit., art. 9, comma 8, va interpretata nel senso che l’esenzione si riferisce ai fabbricati così classificati oppure a quelli non ancora iscritti al catasto per i quali nel medesimo periodo sussistono i presupposti per l’iscrizione nelle categorie indicate, con esclusione, pertanto, degli immobili già iscritti in categorie diverse da quelle del gruppo E, ad iniziativa del contribuente, atteso che quest’ultimo non può, per beneficiare della suddetta esenzione, invocare a suo favore l’errore se non nei limiti e con gli effetti temporali propri della variazione della classificazione (così Cass., 30 settembre 2019, n. 24279).
Né, per vero, quel giudice ha accertato che -in esito alla dichiarazione di variazione docfa di cui è menzione nel motivo di ricorso -la variazione del classamento (in categoria esente) sia conseguita dalla sua riconducibilità ad un errore di fatto de ll’Ufficio «evidente ed incontestabile, avendolo riconosciuto lo stesso Ufficio».
-Quanto, ora, al ricorso principale, il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., avendo il giudice del gravame omesso di pronunciare
sull’eccezione di inapplicabilità delle sanzioni irrogate in relazione al principio di legittimo affidamento e, nello specifico, all’incertezza normativa obiettiva correlata, da un canto, alla non chiara formulazione dei disposti normativi e, dall’altro, alla ricorrenza di contrasti giurisprudenziali relativi alla natura giuridica dei Consorzi di bonifica ed alla loro qualificazione.
-Il motivo è destituito di fondamento e va senz’altro disatteso.
5.1 -Va premesso che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necess ario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962).
5.2 – Secondo un consolidato principio di diritto espresso dalla Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, «l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico
soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito.» (così Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde , ex plurimis , Cass., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., 27 luglio 2012, n. 13457; Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192).
Si è, in particolare, rimarcato che -costituendo l’incertezza normativa oggettiva una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole che trova il suo fondamento, piuttosto che nell’ignoranza giustificata, nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria -l’essenza del fenomeno «si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento
chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente» (v. Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde , ex plurimis , Cass., 12 aprile 2019, n. 10313; Cass., 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., 17 maggio 2017, n. 12301; con riferimento alla ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, nella giurisprudenza di legittimità e anche di merito, cfr. Cass., 23 novembre 2016, n. 23845, cit.; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588, cit.; per la considerazione di una pluralità di disposizioni «il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto», v. Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394, cit.; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522, cit.).
5.3 -Nella fattispecie, deve escludersi che sussistesse una qualche incertezza normativa oggettiva a fronte della chiarezza del dato normativo di regolazione del presupposto del tributo (v. già, quanto all’ICI, il d.lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, come modificato dalla l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, comma 3; v., in termini corrispondenti quanto all’IMU, il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 1).
Quanto, poi, al formante giurisprudenziale, dalla cennata chiarezza del dato di regolazione è conseguita una giurisprudenza connotata da contenuti meramente ricognitivi della generale disciplina dei Consorzi di bonifica, insussistente, peraltro, ogni incertezza sulla relativa qualificazione in termini di enti pubblici economici (v. già Cass., 8 marzo 2004, n. 4664, cit.; v., altresì, Cass. Sez. U., 18 gennaio 1991, n. 456, cit.).
6. – Il secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ripropone la denuncia di nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
(questa volta) con riferimento all’omessa pronuncia del giudice del gravame sui motivi di ricorso che -riproposti quali motivi di appello incidentale -involgevano la non imponibilità di beni (quali terreni, argini, canali e strade pubbliche) destinati a funzioni pubblicistiche (il pubblico transito quanto alle strade) e, ad ogni modo, di natura non commerciale né industriale (quali argini e canali inaccessibili da parte di terzi, inedificabili e inutilizzabili a scopi agricoli).
6.1 – Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, deducendo che illegittimamente il giudice del gravame aveva rilevato la necessità della prova di un vincolo di accessorietà funzionale ai beni esenti (le idrovore) degli altri immobili sottoposti a tassazione senza considerare la ricorrenza di un vincolo legale di inutilizzabilità di argini, sponde, alvei e canali deputati alla sicurezza idraulica ed alla salute pubblica (non dunque ad impieghi commerciali o industriali), vincolo superabile (solo) nel caso «di ‘oggettiva insussistenza’ di una massa d’acqua tale da giustificare lo speciale regime vincolistico».
-Il secondo motivo -dal cui esame consegue l’assorbimento del terzo motivo -è fondato e va accolto.
7.1 -Il giudice del gravame -pur dando atto della proposizione del relativo motivo di appello che involgeva la non imponibilità di «argini e sponde di corsi d’acqua» – ha risolto il decisum con esclusivo riferimento alle unità immobiliari (in tesi) erroneamente censite in catasto (pertanto non imponibili) ovvero classate in categorie diverse da quelle di cui ai gruppi D ed E epperò non in rapporto di accessorietà con le funzioni assolte dalle idrovore (e perciò imponibili).
Laddove, allora, sfornita di ogni decisione è rimasta la citata eccezione di inimponibilità di beni (argini, sponde, alvei e canali) che (in tesi) risultavano deputati alla sicurezza idraulica ed alla salute
pubblica e che pur formavano oggetto di imposizione sotto la (diversa) qualificazione di meri terreni agricoli.
8. -C ol quarto motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 10, 11, 24, 53, 97, 111 e 118 Cost., al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, agli artt. 859, 862, 1321 e ss. cod. civ., al r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, alla l. regione Veneto, 8 maggio 2009, n. 12, al TFUE ed al principio di libera concorrenza.
Assume il ricorrente che i RAGIONE_SOCIALE debbono essere considerati enti pubblici cui rimane estraneo lo svolgimento di attività commerciali o industriali così che gli stessi beni oggetto di tassazione non potrebbero che ritenersi connotati dalla medesima «vocazione unicamente pubblicistica», salvo prova contraria.
Si soggiunge, poi, che la qualificazione operata dal diritto vivente della Cassazione -ed alla cui stregua la disponibilità di beni demaniali da parte di un Consorzio RAGIONE_SOCIALE sarebbe da ricondurre ad una concessione ex lege e a titolo gratuito, così come discendente dalla stessa legge istitutiva dei consorzi (r.d. n. 215 del 1933, cit.) -si porrebbe in contrasto con le disposizioni del TFUE dettate in tema di libera concorrenza (viene specificamente citato l’art. 106 del TFUE), ed alla cui stregua una siffatta concessione presuppone, quanto alle attività riconducibili ad un SIEG (servizio di interesse economico generale), l’affidamento in house ovvero negoziale a società partecipata o ancora lo svolgimento di una procedura concorrenziale di evidenza pubblica; così che esso esponente dovrebbe qualificarsi ente pubblico economico, organismo di diritto pubblico e affidatario in house di un SIEG ma giammai concessionario perpetuo ex lege di beni demaniali.
Verrebbe (così) in considerazione, da un lato, un SIEG chiamato ad operare (a tutti i costi; whatever it takes ) nel contesto di attività di rilevanza eminentemente pubblica (la bonifica integrale) e «in uno scenario di ‘fallimento del mercato’ », e, dall’altro, un complesso di beni destinati a detti scopi di pubblica utilità.
-Questo motivo è destituito di fondamento.
9.1 -Il r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, dispone nei seguenti termini:
«Alla bonifica integrale si provvede per scopi di pubblico interesse, mediante opere di bonifica e di miglioramento fondiario.
Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in comprensori in cui cadano laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni, estensivamente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico e sociale, e suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo.
Le opere di miglioramento fondiario sono quelle che si compiono a vantaggio di uno o più fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica .» (art. 1; v. altresì l’art. 857 cod. civ.);
«I consorzi di bonifica sono persone giuridiche pubbliche e svolgono la propria attività entro i limiti consentiti dalle leggi e dagli statuti.
Per l’adempimento dei loro fini istituzionali essi hanno il potere d’imporre contributi alle proprietà consorziate, ai quali si applicano le disposizioni dell’art. 21» (art. 59; v., altresì, gli artt. 1, 3, 16 e ss. della l. regione Veneto, 8 maggio 2009, n. 12, che ha abrogato la previgente legge regionale 13 gennaio 1976, n. 3).
9.2 -In relazione a dette disposizioni, ed a quelle che hanno riguardo alla realizzazione, ed alla consegna, delle opere di bonifica di competenza dello Stato (r.d. n. 215/1933, cit., artt. 1, 16, 18, 54 e
100; v., altresì, Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 326), la Corte, secondo un consolidato orientamento interpretativo, ha statuito che il rapporto tra i consorzi di bonifica ed i beni del demanio loro affidati deve essere declinato secondo lo schema della concessione a titolo gratuito, concessione che consegue dalla stessa legge istitutiva dei consorzi (il r.d. n. 215 del 1933), in correlazione con la funzione specifica, ivi loro assegnata, di «esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica» (art. 54 del r.d. cit.); derivando il titolo direttamente dalla legge, non è necessaria l’emanazione di un conseguente atto amministrativo propriamente concessorio, ed il possesso dei beni è qualificato da detto titolo concessorio, dovendosi escludere la mera detenzione (Cass., 24 luglio 2014, n. 16867 e Cass., 10 settembre 2014, n. 19053 cui adde Cass., 7 aprile 2022, n. 11328; Cass., 13 febbraio 2019, n. 4186; Cass., 13 febbraio 2019, n. 4186; Cass., 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass., 29 ottobre 2014, n. 22904).
9.3 – Quanto, poi, alla relativa qualificazione giuridica, la Corte ha ripetutamente statuito che ai Consorzi di bonifica va riconosciuta natura di enti pubblici economici (v., tra le tante, Cass., 4 marzo 2021, n. 6086; Cass., 15 ottobre 2019, n. 26038; Cass., 5 dicembre 2017, n. 29061; Cass., 17 luglio 2012, n. 12242; Cass., 8 marzo 2004, n. 4664); in particolare, si è rilevato, i consorzi di bonifica svolgono attività di tipo imprenditoriale perseguendo le relative finalità mediante risorse di provenienza privata, ovvero, direttamente dai consorziati, in quanto tali enti, per lo svolgimento delle proprie finalità istituzionali, utilizzano i contributi di bonifica richiesti ai privati proprietari di immobili ricompresi nell’ambito del comprensorio che traggono beneficio dall’attività consortile e che, appunto, assumono la qualifica di consorziati (v. Cass. Sez. U., 20 gennaio 2017, n. 1548; v., altresì, Cass. Sez. U., 18 gennaio 1991, n. 456).
Avuto riguardo, poi, alla relativa struttura, se n’è rilevata la natura associativa in quanto i Consorzi sono costituiti tra i proprietari degli immobili compresi in un determinato comprensorio di bonifica e si amministrano a mezzo di organi i cui componenti sono scelti dai consorziati (v. il d.P.R. 23 giugno 1962, n. 947, la l. regione Veneto 8 maggio 2009, n. 12, artt. 5 e ss. nonché il Protocollo di intesa StatoRegioni concluso il 18 settembre 2008 per l’attuazione dell’art. 27 l. 28 febbraio 2008, n. 31; v., altresì, Corte Cost., 28 luglio 2004, n. 282; Consiglio di Stato, sez. V, 10 ottobre 2023, n. 8853).
E la Corte Costituzionale ha, più specificamente, rilevato che «… i consorzi hanno un doppio volto e una duplice funzione. Da un lato, essi sono espressione, sia pure legislativamente disciplinata e resa obbligatoria, degli interessi dei proprietari dei fondi coinvolti nella attività di bonifica o che da essa traggono beneficio: strumenti normativamente previsti, attraverso i quali i proprietari adempiono ad obblighi su di loro gravanti in relazione alle opere di bonifica e si ripartiscono fra loro gli oneri relativi. Pertanto, coerentemente, i consorzi sono amministrati da organi espressi dagli stessi proprietari (cfr. artt. 1-4 d.P.R. 23 giugno 1962, n. 947, contenente. “Norme sui consorzi di bonifica in attuazione della delega prevista dall’art. 31 della legge 2 giugno 1961, n. 454”: ancorché più di recente le leggi di molte regioni abbiano innovato tale disciplina, inserendo negli organi di amministrazione dei consorzi rappresentanti della stessa regione o di enti territoriali). Dall’altro lato, essi si configurano come soggetti pubblici titolari o partecipi di funzioni amministrative, in forza di legge o di concessione dell’autorità statale (ora regionale).»; nonché che «Fanno parte senza dubbio dei principi fondamentali tuttora vigenti nella materia, non derogabili ad opera del legislatore regionale nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, sia la distinzione fra opere di bonifica di competenza pubblica (già statale), caratterizzate
da una preminente finalizzazione agli interessi pubblici legati alla bonifica, e opere di competenza privata, in quanto di interesse particolare dei fondi inclusi nel comprensorio di bonifica; sia il connesso duplice carattere dei consorzi, e in particolare la loro qualificazione come enti a struttura associativa. Onde solo il legislatore statale potrebbe sciogliere definitivamente l’intreccio di pubblico e di privato che nei consorzi si esprime, per separare in modo netto le manifestazioni dell’autonomia privata dai caratteri pubblicistici impressi a tali enti dalla legislazione pre-costituzionale.» (Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 326, cit.; v., altresì, Corte Cost., 28 luglio 2004, n. 282, cit.).
9.3.1 – Il giudice delle leggi ha, poi, rilevato che i consorzi di bonifica non sono enti locali ai sensi del previgente art. 130 Cost. (ora art. 118 Cost.) «difettando di caratteristiche come la territorialità e la rappresentatività diretta o indiretta degli interessi comunitari (cfr. sentenza n. 164 del 1990); ma appartengono piuttosto, nel loro profilo pubblicistico, alla categoria degli “enti pubblici locali” operanti nelle materie di competenza regionale, e dunque degli “enti amministrativi dipendenti dalla regione”» (così Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 326, cit.; v., altresì, Corte Cost., 19 ottobre 2018, n. 188; Corte Cost., 25 luglio 1994, n. 346).
E, in particolare, si è rimarcata la pluralità dei profili di competenza ascrivili all’azione dei Consorzi di bonifica che anche in relazione al riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni – involgono il settore agricolo, la «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» nonché il «governo del territorio» (Corte Cost., 19 ottobre 2018, n. 188, cit.).
9.4 -Vengono, dunque, in considerazione enti pubblici di risalente impianto, la cui disciplina organica rinviene dalle disposizioni di cui al r.d. n. 215 del 1933, cit., e rispetto alla quale la legislazione regionale, come anticipato, intercetta il limite della non derogabilità della relativa
natura giuridica dei Consorzi di bonifica quali enti a struttura associativa.
In disparte, allora, che le ragioni poste a fondamento del motivo di ricorso in esame hanno natura ancipite, ed intrinsecamente antinomica, in quanto all’un tempo implicano ed escludono la riconducibilità dell’attività del Consorzio al règime eurounitario della libera concorrenza (artt. 101 e ss. TFUE), come la Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare «l’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2006/123 mira ad escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva soltanto i SIEG riservati a enti pubblici o privati o i monopoli che … erano esistenti alla data di entrata in vigore di detta direttiva.» (CGUE, 7 novembre 2018, causa C-171/17, Commissione europea c. Ungheria, punto 43).
Le concessioni ex lege in contestazione, difatti, risalgono alla stessa disciplina posta dal r.d. n. 215 del 1933, cit., e involgono l’attività di enti pubblici economici di risalente impianto rispetto ai quali la successiva legislazione regionale è intervenuta nel rispetto dei principi fondamentali della materia, ed ai (soli) fini del relativo riordino (v. d.l. 31 dicembre 2007 n. 248, art. 27, conv. in l. 28 febbraio 2008 n. 31 e la successiva Intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, cit.).
9.4.1 -La Corte di Giustizia ha, altresì, in più occasioni statuito che:
«un servizio può rivestire un interesse economico generale quando detto interesse presenti caratteri specifici rispetto a quello di altre attività della vita economica»;
«può essere qualificato come SIEG un servizio la cui fornitura costituisca adempimento di specifici compiti d’interesse pubblico affidati al prestatore dallo Stato membro interessato»;
-«Occorre dunque che le imprese beneficiarie siano state effettivamente incaricate dell’adempimento di obblighi di servizio
pubblico e che tali obblighi siano chiaramente definiti nel diritto nazionale, il che presuppone l’esistenza di uno o più atti di esercizio del potere pubblico che definiscano in maniera sufficientemente precisa almeno la natura, la durata e la portata degli obblighi di servizio pubblico gravanti sulle imprese incaricate dell’adempimento di tali obblighi»;
– «l’articolo 106, paragrafo 2, TFUE prevede, da un lato, che le imprese incaricate della gestione di SIEG siano sottoposte alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali regole non osti all’adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata, e, dall’altro, che lo sviluppo degli scambi non debba essere compromesso in misura contraria all’interesse dell’Unione. In tal senso, il tenore stesso dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE evidenzia come deroghe alle norme del Trattato siano consentite solo se necessarie all’adempimento della specifica missione affidata a un’impresa incaricata della gestione di un SIEG» (v. CGUE, 8 giugno 2023, causa C-50/21, RAGIONE_SOCIALE, punti da 77 a 80; CGUE, 3 settembre 2020, causa C-817/18 P, Vereniging tot RAGIONE_SOCIALE in Nederland e a./Commissione, punti 96 e 97; CGUE, 7 novembre 2018, causa C-171/17, Commissione europea c. Ungheria, cit., punti 51 e 62; CGUE, 20 dicembre 2017, cause riunite da C-66/16 P a C-69/16 P, Comunidad Autónoma del País Vasco, punti 72 e 73).
I n particolare, la Corte ha rilevato che le disposizioni dell’art. 106, paragrafi 1 e 2, TFUE vanno sottoposte a congiunta lettura, così che le stesse consentono «agli Stati membri di conferire alle imprese, cui attribuiscono la gestione di servizi di interesse economico generale, diritti esclusivi che possono impedire l’applicazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza, nella misura in cui restrizioni della concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi concorrenza da parte di
altri operatori economici, sono necessarie per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese titolari dei diritti esclusivi.» (CGUE, 19 maggio 1993, procedimento C-320/91, Corbeau, punto 14; v., altresì, CGUE, 3 marzo 2011, procedimento C-437/09, AG2R Prévoyance, punto 69; CGUE, 21 settembre 1999, procedimento C-67/96, Albany, punto 107).
E lo stesso giudice delle leggi ha rimarcato che «la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo», come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 272 del 2004» (Corte Cost., 3 novembre 2010, n. 325).
9.4.2 -Secondo, allora, la stessa prospettazione attorea -ed in disparte la (già) rilevata preesistenza dei Consorzi di bonifica alla direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (BOLKESTEIN) -deve ritenersi insussistente la denunciata violazione delle disposizioni del TFUE, art. 106, nella misura in cui le concessioni di beni demaniali statali risultano coessenziali allo stesso svolgimento della specifica «missione» affidata ad un ente (il Consorzio di bonifica) che è chiamato ad operare su di un predeterminato territorio (il comprensorio di bonifica) e che ha struttura associativa in quanto inclusivo dei proprietari degli immobili che, in quel comprensorio, traggono beneficio dalla bonifica; dotazione, questa, di opere che, difatti, non potrebbe che ascriversi alle necessità di bonifica di quel dato comprensorio e, con ciò, al Consorzio che su quel territorio è deputato a svolgere le proprie attività.
9.4.3 -Al contempo, e come anticipato, il già rilevato «doppio volto», e la stessa «duplice funzione», dei consorzi rendono evidente -alla luce della stessa sopra ripercorsa giurisprudenza della Corte di Giustizia in punto di concessione di «diritti esclusivi» strettamente necessari per garantire l’adempimento della specifica missione -come
la prospettata esclusione della soggettività passiva del Consorzio risulterebbe antinomica rispetto al divieto di aiuti di Stato (artt. 106 e 107 TFUE).
Difatti, n ell’ambito delle attività di un Consorzio di bonifica occorre distinguere fra finalità pubblicistiche strettamente correlate alle attività di bonifica discendenti dalle disposizioni di cui al r.d. 13 febbraio 1933, n. 215 e le attività, di natura imprenditoriale e commerciale, svolte in favore dei consorziati, con conseguente assunzione di queste ultime nella nozione eurounitaria di impresa, nozione che si si correla, a prescindere dallo status giuridico dell’impresa , allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, Schwarz e RAGIONE_SOCIALE, procedimento C-76/05, punto 39; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, COGNOME e altri, punti 74 e 75).
E ne consegue che un’indistinta ascrizione delle attività consortili alla finalità pubblicistica di bonifica comporterebbe riflessi diretti sull’imposizione patrimoniale dei beni in concessione, sinanche laddove la connotazione funzionale del bene posseduto risultasse inequivocamente incentrata sulla sua destinazione alla prestazione di un servizio di rilevanza economica.
9.5 -Può, dunque, enunciarsi il seguente principio di diritto: «Il rapporto tra i consorzi di bonifica ed i beni del demanio loro affidati deve essere declinato secondo lo schema della concessione a titolo gratuito, concessione che consegue dalla stessa legge istitutiva dei
consorzi (r.d. n. 215 del 1933) e che si correla alla «esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica» (art. 54 del r.d. cit.). Il règime concessorio in questione, in quanto afferisce ad un servizio di interesse economico generale (SIEG) preesistente, è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (BOLKESTEIN) e, ad ogni modo, costituisce un diritto esclusivo (art. 106 TFUE) dal cui conferimento consegue una legittima restrizione della concorrenza siccome necessaria per l’adempimento della specifica attività di bonifica affidata ai Consorzi.».
10. -L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, e rigetta il primo e il quarto motivo; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025.