Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15993 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15993 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
Oggetto: Ici
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15732/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata dall’Avv . NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ;
-ricorrente –
Contro
Comune di Palosco, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 638/2021 depositata il 18 febbraio 2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025 della Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento relativo all’I mu dovuta per l’anno 2016 (n. 04) con cui era stato rettificato, in aumento, il valore venale di alcune aree edificabili, emesso dal Comune di Palosco (d’ora in poi controricorrente) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ( d’ora in poi ricorrente).
La CTP ha rigettato il ricorso e la CTR ha confermato la decisione di primo grado sulla base delle seguenti ragioni:
-la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il regolamento comunale ha lo scopo di rendere trasparente l’attività amministrativa di verifica e il contribuente è titolare di una posizione giuridica direttamente tutelabile, costituita dalla autolimitata potestà accertatrice derivante dal regolamento con il quale sono state approvate le delibere;
-fermo il principio che il valore imponibile è rappresentato dal valore in comune commercio alla data del 1° gennaio dell’anno d’imposta, il regolamento comunale Imu prevede la possibilità per la giunta comunale di approvare, periodicamente per zone omogenee, i valori medi orientativi di mercato delle aree fabbricabili, al solo scopo di semplificare gli adempimenti fiscali a carico del contribuente e per orientare l’attività di controllo dell’ufficio ;
-nel caso in esame la contribuente per contestare il valore delle aree come determinato dall’ente impositore, avrebbe dovuto impugnare la delibera o il regolamento;
-con riferimento alla carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, la stessa contribuente ha affermato che era a conoscenza degli atti richiamati dall’ente impositore;
-la censura riguardante la circostanza che il giudice di primo grado non aveva valutato il contenuto della pretesa tributaria è infondata; la pretesa tributaria discende dall’applicazione della delibera e del regolamento, atti conosciuti e mai appellati dalla contribuente;
-con riferimento alla doglianza relativa alla mancata considerazione della perizia di parte, si condividono le conclusioni della sentenza di primo grado, secondo cui essa costituisce una valutazione tecnica, sfornita di riscontri oggettivi;
-per la doglianza circa l’omessa motivazione in ordine agli incrementi di valore ai fini dell’imponibile Imu , si richiama quanto già affermato, circa l’omessa impugnazione della parte della contribuente delle delibere e dei regolamenti che hanno determinato i valori impugnati.
La ricorrente propone ricorso, fondato su quattro motivi e deposita memoria, il comune controricorrente si è costituito proponendo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione con riguardo alla violazione o falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 . Contesta la parte della motivazione nella quale si sostiene che i valori determinati dall’amministrazione debbano sempre essere applicati e possono essere contestati dal contribuente solo attraverso l’impugnazione degli stessi provvedimenti .
Evidenzia, altresì, che la sentenza abbia escluso la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento , sul presupposto che la contribuente ha dichiarato di essere a conoscenza degli atti in esso richiamati.
1.1. Il motivo è fondato, previa qualificazione dello stesso in termini di vizio di violazione di legge. A questo proposito si richiama il principio di legittimità secondo cui l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass., Sez. 5, n. 759/2025 (Rv. ), Sez. 6 – 5, n. 26310/2017, Rv. 646419 -01, Sez. 6 – 3, n. 4036/2014, Rv. 630239 -01, Sez. U, n. 17931/2013, Rv. 627268 -01).
Il motivo in esame contiene chiaramente una denuncia di violazione di legge, laddove censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che i valori determinati dall’amministrazione debbano sempre essere applicati e possono essere contestati dal contribuente solo attraverso l’impugnazione degli stessi provvedimenti.
La sentenza impugnata è effettivamente incorsa in un errore di diritto nella parte in cui ha affermato «la pretesa tributaria discende dall’applicazione della delibera e del regolamento atti conosciuti dall’appellante e mai impugnati »; «deve osservarsi che per contestarne il valore occorreva impugnare la delibera o il regolamento posto che la determinazione è l’atto conclusivo della motivazione».
Occorre, sul punto, richiamare il consolidato principio, per cui in tema di ICI, le delibere con le quali il Consiglio comunale, ex art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997, determina periodicamente e per
zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili hanno la finalità di limitare il potere di accertamento dell’ente territoriale qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello indicato in dette delibere che, pertanto, sono fonti di presunzione analoghe al cd. redditometro, sicché ammettono la prova contraria, con l’ulteriore conseguenza che, se il giudice ritiene dimostrato che ad un’area edificabile non può essere attribuito il valore individuato dal Comune, può disattenderlo e procedere ad un’autonoma stima utilizzando i parametri di legge (Cass., Sez. 5, n. 17248/2019, Rv. 654691 01).
Si trattava, quindi, di applicare il principio di diritto secondo il quale le delibere di determinazione, per zone omogene, dei valori di aree edificabili pongono una presunzione che il contribuente può naturalmente superare con prova contraria. Dette delibere svolgono una funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. n. 69 del 1989, convertito in l. n. 154 del 1989, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis , vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Cass., Sez. 5, n. 24297/2022; Sez. 5, n. 11643/2019; Sez. 5, n. 27572/2018, Rv. 650958 – 01; Sez. 6-5, n. 15312/2018, Rv. 649233 – 01; Sez. 5, n. 5068/2015, Rv. 635340 – 01; Cass., 24 gennaio 2013, n. 1661; Cass., Sez. 5, n. 15555/2010, Rv. 613811 – 01).
Spetta, infatti, al contribuente nella fase giudiziale smentire i valori definiti presuntivamente nelle delibere comunali e ciò non deve farlo necessariamente con la preventiva impugnativa degli
atti generali dell’ente impositore con cui vengono fissati i criteri per la determinazione del valore degli immobili.
L’ordinamento, infatti, riconosce al giudice tributario la possibilità di disapplicazione del l’atto e, a questo proposito, è stato in modo del tutto condivisibile accertato che il potere di disapplicare tutti gli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’imposizione, anche se non a contenuto normativo o generale, è espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della l. n. 2248 del 1865, allegato E, e già presente nell’ordinamento anche prima dell’espresso riconoscimento operato dall’art. 12, comma 2, della l. n. 448 del 2001, con l’introduzione del nuovo testo dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – di un generale potere di decidere incidenter tantum su questioni attribuite alla competenza di altre giurisdizioni (Cass., Sez. 5, n. 25935/2024, Rv. 672517 -01).
La ricorrente nella specie aveva contestato la valutazione delle aree edificabili ed aveva prodotto una consulenza di parte. Sulla base di tali circostanze non è corretta ed è del tutto insufficiente la conclusione cui perviene la sentenza impugnata fondata sul presupposto che le delibere ormai non erano state impugnate e sul rilievo che il primo giudice aveva rilevato che la consulenza è «una valutazione tecnica di parte. Un indizio sfornito di riscontri oggettivi e comunque contestualizzando i prezzi facendo riferimento a imprenditori edili operanti nel settore delle costruzioni di tipologia prefabbricati».
Con riferimento alla seconda doglianza circa la carenza di motivazione dell’avviso, si osserva preliminarmente che essa è ammissibile, avendo la ricorrente provveduto ad allegare l’atto impositivo impugnato (all. 2 fascicolo secondo grado ricorrente).
La sentenza impugnata ha ritenuto di superare la censura sulla carenza di motivazione dell’atto impugnato sul presupposto che la contribuente ha dichiarato di essere a conoscenza degli atti in esso richiamati, incorrendo in un errore di diritto, in quanto deve trovare applicazione il principio per cui è irrilevante che il contribuente si sia difeso anche nel merito, atteso che l’insufficienza motivazionale dell’atto impositivo, che ne giustifica l’annullamento, non può essere sanata, ex art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo, in quanto l’atto ha la funzione di garantire una difesa certa anche con riferimento alla delimitazione del thema decidendum (Cass., 21 luglio 2022, n. 22918; Cass., 17 ottobre 2014, n. 21997).
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione con riguardo alla violazione o falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997. Contesta l’erronea applicazione dei principi di diritto sottesi alla norma invocata, per avere la sentenza ritenuto dovuta la pretesa, in quanto derivante dall’applicazione della delibera e del regolamento . A tal fine aggiunge anche che l’avviso di accertamento non era motivato.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione per errata ripartizione dell’onere probatorio. Si duole che la sentenza non abbia considerato gli esiti della perizia dalla stessa prodotta.
Con il quarto motivo la ricorrente prospetta in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione, per quanto attiene agli incrementi di valore succedutisi negli anni, ai fini dell’imponibile Imu.
I motivi secondo, terzo e quarto sono assorbiti in forza dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Da quanto esposto segue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia , in diversa composizione, per l’esame delle ragioni di impugnazione dell’avviso , nonché di quelle riguardanti il valore delle aree dedotte dalla ricorrente nel ricorso introduttivo e ribadite in sede di appello.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso il 31 gennaio 2025.