Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34244 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34244 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23597/2023 cui è stato riunito il ricorso 23754/2023, proposti da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587; fax: NUMERO_TELEFONO; PEC: EMAIL) presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME nata a Palagianello (TA) il 29 gennaio 1954 (C.F.: CODICE_FISCALE, residente in Palagiano (TA), alla INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL) del foro di Taranto, come da procura
speciale rilasciata su foglio separato, entrambi elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrente-
ricorrente incidentale —
avverso la sentenza n. 2204/29/2022 della CTR della Puglia depositata in data 10/08/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
COGNOME NOME impugnava un avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro notificatole dall’Agenzia delle Entrate per aver beneficiato dell’agevolazione per la proprietà montana nonostante non avesse esibito, entro il triennio dalla data – 20 dicembre 2001 – dell’atto di acquisto del fondo agricolo, il certificato IPA dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Taranto, rilasciato in data 7 aprile 2004, attestante che, alla data del 20 dicembre 2001, già dedicava direttamente ed abitualmente la propria attività alla coltivazione dei fondi e che sussistevano a tale data i requisiti per usufruire delle agevolazioni fiscali di cui trattasi.
La CTP di Taranto accoglieva il ricorso, ritenendo che sussistessero i presupposti per l’applicazione dell’agevolazione.
Sull’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, la CTR della Puglia rigettava il gravame, evidenziando che la contribuente aveva dichiarato nell’atto di acquisto del fondo, rogato dal notaio dottar COGNOME NOME in data 20 dicembre 2001, di voler godere delle agevolazioni fiscali previste a favore della formazione della piccola proprietà contadina, possedendone alla data del 20 dicembre 2001 già i requisiti previsti dalle norme di legge, così come risultava dal certificato IPA rilasciato dall’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Taranto il 7 aprile 2004 ed allegato agli atti di causa, e che l’Amministrazione Finanziaria non aveva inviato alcun avviso bonario, contravvenendo all’articolo 10 della legge n. 212/2000 che disciplina il principio dell’affidamento, della collaborazione e della buona fede del contribuente, per sollecitare la contribuente ad esibire tempestivamente il
certificato IPA emesso tardivamente il 7 aprile 2004 per colpa imputabile esclusivamente all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Taranto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi, che, malgrado notificato alla controparte, non ha depositato. COGNOME NOME ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, fondato su un unico motivo.
Avverso la stessa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto nuovamente ricorso iscritto al n.r.g. 23754/2023. NOME NOME ha resistito, con controricorso, deducendo l’inammissibilità del ricorso perché tardivo.
Considerato che
Preliminarmente, va disposta, ex art. 335 c.p.c., la riunione dei giudizi, trattandosi di ricorso reiteratamente proposto avverso la stessa sentenza.
1.1. Sempre in via preliminare, il ricorso va dichiarato inammissibile. Sez. U, Sentenza n. 8486 del 28/03/2024 hanno definitivamente chiarito che il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente, destinato a sostituirlo e relativo anche a capi della sentenza diversi da quelli oggetto del precedente atto di impugnazione.
Ragion per cui l’Agenzia, dopo aver notificato la prima volta il ricorso (contraddistinto con il n.r. 23597/2023) e non averlo depositato, ben poteva notificarne un altro (in questo caso contraddistinto con il n.r. 23754/2023), in difetto di una declaratoria di improcedibilità del primo.
Nell’ipotesi di notifica di un secondo atto di impugnazione che faccia seguito al primo non ancora dichiarato inammissibile o improcedibile, tuttavia, l’osservanza del termine breve decorrente da quest’ultimo non ha un effetto di proroga del termine lungo, restando, pertanto, il secondo atto di impugnazione assoggettato al termine (breve o lungo) che per primo viene a scadenza, in quanto la locuzione “indipendentemente dalla notificazione” posta ad apertura dell’art. 327 c.p.c. sta ad attestare che il termine lungo
va comunque rispettato, sia stata o meno notificata la sentenza, e che, dunque, la notifica può avere l’effetto di far scattare anche il termine breve e determinare – ove l’impugnazione non lo rispetti – la formazione del giudicato se venuto a scadere prima del termine lungo, ma non anche quello di precludere la formazione del predetto giudicato per effetto della scadenza del termine lungo se – nelle ipotesi predette – maturata anteriormente a quella del termine breve (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 28647 del 16/10/2023).
Inoltre, questa Corte ha in più occasioni ribadito che <> (cfr., in tal senso, Cass., sez. un., 27 aprile 2018, n. 10266, e Cass. 19 ottobre 2016, n. 21145).
Nel caso di specie, dopo aver notificato il ricorso in data 29.9.2023 (senza, tuttavia, depositarlo), l’Agenzia ne ha notificato un altro in data 29.11.2023 (che corrispondeva ad un mercoledì), che ha infine depositato il 5.12.2023. Ne consegue che il secondo ricorso è stato notificato, sia pure per un giorno, oltre il termine di sessanta giorni di cui all’art. 325, secondo comma, c.p.c.. Il principio di cui all’art. 156 c.p.c. di non rilevabilità della nullità di un atto per mancato raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all’inosservanza di forme in senso stretto e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e separate norme (tra le più recenti Cass. 08/11/2023, n. 3114; Cass. 30/12/2021, n. 41967).
In ogni caso, la controricorrente, mentre a fronte del primo ricorso non ha rilevato il difetto di tempestivo deposito del ricorso (essendosi limitata a contraddire i motivi di impugnazione proposti dalla ricorrente e ad esporre le proprie difese), a seguito della notifica del secondo, ne ha eccepito l’inammissibilità perché tardivo.
Va, quindi, dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale (Cass. n. 3114 del 2023 cit.; Cass. n. 41967 del 2021; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 14756 del 2024).
Con l’unico motivo la ricorrente incidentale deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per aver la CTR omesso di rilevare d’ufficio la carenza di interesse all’impugnazione dell’Agenzia che, non avendo ancora riscosso l’imposta liquidata in misura ordinaria, era priva, a suo dire, di interesse ad ottenere il pagamento di imposte che avrebbe dovuto successivamente rimborsare (possedendo ella i requisiti previsti dalla legge per usufruire delle agevolazioni, sebbene non formalmente riconosciuti, sin dal momento della stipula dell’atto, come attestava il certificato IPA).
2.1. Il ricorso è inammissibile ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.
In base all’art. 5 della l. n. 604/1954, <>.
Al riguardo, questa Corte (Cass. n. 12189/02) ha sottolineato che il diritto al rimborso non può che sorgere con il pagamento delle somme dovute; ed è evidente che una domanda preventiva al pagamento non possa dirsi di “rimborso” (conf., Cass. n. 3082/14, nonché, da ultimo, Cass. n. 30656/24).
Al cospetto di questa normativa, che postula il previo pagamento, irrilevante è la deduzione di carenza d’interesse ad agire, a f ronte della nozione lata che dell’interesse ad agire è stata ribadita anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (con sentenza n. 34388/22), secondo cui l’accertamento dell’interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l’intervento degli
organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all’utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito.
Alla stregua delle considerazioni che precedono entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
Sussistono giusti motivi, rappresentati dalla complessità della vicenda sul piano processuale, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Rilevato che, quanto al ricorso principale, risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016).
Dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 25.10.2024,