Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6048 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6048 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6801/2022 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE cui subentra ex lege l’RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore
-intimata- avverso la SENTENZA di C.T.R. della Sicilia n. 7349/2021 depositata il 26/08/2021
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che conclude per il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia, che ha confermato la sentenza della C.T.P. di Agrigento di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’intimazione di pagamento con cui si intimava il pagamento della somma di euro 9.665,67.
La C.T.R. ha rigettato: l’eccezione inerente all’irregolarità formale della notifica dell’intimazione di pagamento; l’eccezione di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento; l’eccezione relativa alla mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale; le eccezioni di inesistenza della notifica e della motivazione della cartella, anche riguardo alla quantificazione del credito accessorio per interessi; l’eccezione di omessa notifica dell’avviso di accertamento e dell’iscrizione a ruolo; l’eccezione di omessa sottoscrizione della cartella di pagamento; l’eccezione di illegittimità dell’ingiunzione per mancata indicazione delle modalità di impugnazione in sede giudiziale. Il giudice di secondo grado ha, infine, rigettato tutti motivi relativi all’impugnazione dell’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata
Con requisitoria scritta il Procuratore chiede il rigetto del ricorso.
Con memoria ex art. 378 bis c.p.c. la ricorrente, dato atto che la notificazione al difensore nominato dalla Riscossione Sicilia s.p.a. è invalida, per essere la medesima estinta ex lege a far data dal 30 settembre 2021, chiede di essere rimessa in termini ex art. 291 c.p.c. per provvedere alla notificazione alla Agenzia delle Entrate Riscossione, subentrata. Previa rinuncia al settimo motivo di ricorso, conferma le conclusioni formulate.
RAGIONI DELLA DECISIONE 1. NOME COGNOME formula dieci motivi di ricorso. 2. Con il primo motivo, ex art. 360, comma 1 n. 4) c.p.c. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d.lgs 546/1992, 132, comma 2 n 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.. Rileva che la contribuente ha proposto l’originario ricorso avverso l’intimazione di pagamento, nonché avverso la cartella di pagamento, il ruolo esattoriale e l’avviso di accertamento, a mezzo di una serie di motivi, rispetto ai quali la sentenza impugnata offre una solo apparente e cumulativa motivazione di rigetto, senza neppure esaminare la memoria depositata dalla contribuente, con cui si spiegavano approfonditamente le ragioni sottostanti le richieste di annullamento. Riprendendo il contenuto dell’atto di appello si duole, da un lato, dell’omessa motivazione su ciascuna delle doglianze proposte -in particolare richiama all’eccezione sulla modalità di notificazione (a mezzo messo anziché a mezzo raccomandata, come sostenuto dalla C.T.R.)dall’altro, del vizio di ultrapetizione, avendo il giudice di seconda cura deciso su eccezioni rinunciate con la memoria illustrativa. Assume che la pronuncia sulla sussistenza della responsabilità processuale aggravata, ex art. 96, comma 3 c.p.c., appare del tutto ingiustificata avuto riguardo alla mancata risposta ai motivi di gravame singolarmente rubricati nell’atto di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
appello, ritenuti manifestamente pretestuosi, in assenza di motivazione sul punto.
Il motivo è inammissibile.
3.1 La doglianza appare, innanzitutto, priva della necessaria organicità, essendo sollevate, in modo generico, una pluralità di censure relative sia all’omessa pronuncia, che al vizio di ultrapetizione, tutte accomunate dal profilo dell’apparenza della motivazione.
3.2 Va, in primo luogo, ricordato che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Secondo le Sezioni Unite, è apparente la motivazione graficamente presente quando essa caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016).
3.3 Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, lungi dall’essere apparente od omessa, si limita a rispondere ai motivi di appello trattando unitamente quelli afferenti alla stessa doglianza, frammentati in più censure nell’atto di gravame. Sicché privo di pregio è l’assunto secondo il quale non avendo la C.T.R. seguito pedissequamente
l’elencazione dei motivi, come esposta nell’atto di appello, la sentenza sarebbe nulla.
3.4 Mal si comprende, inoltre, la denuncia del vizio motivazionale in ordine alla mancata pronuncia sul motivo proposto con l’atto di appello inerente all’erroneità della sentenza di primo grado per avere questa argomentato in ordine alla notificazione a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, laddove invece, secondo la ricorrente: ‘le notificazioni degli atti impugnati, l’intimazione di pagamento, la cartella esattoriale risultano essere avvenute a mezzo di messo e non come contrariamente affermato mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento’. Ed invero, non solo la doglianza non viene espressamente riproposta in questa sede, benché plurimi motivi del ricorso per cassazione si incentrino sui vizi delle notificazioni. Ma neppure appare chiaro quali siano le conseguenze che la ricorrente vuole trarre dalla erronea motivazione della sentenza di primo grado e dalla asserita omessa pronuncia su punto da parte della C.T.R..
3.5 Del tutto ultronea ed inammissibile è, infine, la censura sulla ultrapetizione in relazione ai motivi oggetto di rinuncia, stante l’assenza di interesse alla pronuncia sul punto.
Con il secondo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 23,24 e 7 d.lgs 546/1992. Ricorda che con l’atto introduttivo del giudizio il contribuente eccepiva l’illegittimità della procedura di notificazione di tutti gli atti impugnati (intimazione di pagamento, cartella, ruolo ed avviso di accertamento), nonché il difetto di prova delle notificazioni e che siffatti motivi sono stati singolarmente riproposti con l’atto di appello. Sottolinea che la C.T.R. non ha specificato i motivi di appello, che riproducevano le censure formulate dal ricorrente con il ricorso introduttivo e con le memorie illustrative depositate nel primo grado giudizio,
ritenendo inammissibili le doglianze, senza esaminarle e senza esaminare gli scritti difensivi del primo grado di giudizio, ancorché introducessero solo argomentazioni difensive e non nuovi motivi di impugnazione rispetto a quelli posti a fondamento della domanda iniziale.
4.1 Il motivo è inammissibile.
4.2 Anche in questo caso, infatti, risulta difficile comprendere il contenuto della censura, posto che la stessa ricorrente assume di non avere introdotto con le memorie difensive -che si sostengono essere state ignorate dalla C.T.R.nuovi motivi, sicché in assenza di precisazione sul contenuto delle memorie non appare conferente dolersi della valutazione di inammissibilità dei motivi proposti con il ricorso introduttivo, in assenza della specificazione degli argomenti pretermessi.
Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4) la violazione e falsa applicazione degli artt.. 12 e18 d.lgs 546/1992, 77, 83, 101, 122, e 115 c.p.c.. Rileva che con memoria illustrativa depositata nel secondo grado di giudizio la ricorrente aveva dedotto l’inammissibilità della costituzione in giudizio di primo grado dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, per omessa produzione della procura alle liti e della delibera del Consiglio di amministrazione con cui erano stati conferiti al Presidente i poteri per la nomina del procuratore alle liti. Rileva che l’avv . NOME COGNOME indicata nella procura alle liti quale il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE era cessata dalla carica alla data del 29 dicembre 2014, cioè prima della costituzione in giudizio dell’ente di riscossione. Il rilievo da parte della C.T.R. del vizio della procura alle liti del primo grado di giudizio avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di inammissibilità della costituzione in quel grado, con accoglimento del ricorso formulato dalla contribuente.
5.1 Il motivo è inammissibile.
5.2 La ricorrente fa discendere dal mancato rilievo del difetto di jus postulandi, derivante dalla cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio di amministrazione che risulta avere conferito la procura al difensore, la conseguenza del necessario accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, laddove, invece, anche quando effettivamente fosse insussistente o invalida la procura alle liti, in ragione della cessazione della carica del Presidente del Consiglio di amministrazione al momento del suo rilascio, l’unica conseguenza sarebbe quella dell’invalida costituzione in giudizio della parte resistente, ciò non comportando nessun ulteriore esito, in assenza della precisazione da parte della ricorrente del condizionamento del rigetto del ricorso in prima cura ed in grado di appello per effetto delle difese formulate dall’agente della riscossione.
Con il quarto motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 18 d.lgs 546/1992 e 77, 83, 101, 112 e 115 c.p.c.. Ricorda che con memoria illustrativa formulata nel secondo grado di giudizio, la ricorrente aveva dedotto l’inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle Entrate riscossione, per non essere stata depositata in giudizio la procura notarile con la quale sono stati conferiti ‘dal Presidente al Direttore Generale della Riscossione Sicilia i poteri di procuratore speciale in senso sostanziale’, ciò impedendo la verifica del potere rappresentativo in capo al secondo. L’eccezione, rilevabile anche d’ufficio, avrebbe dovuto condurre la C.T.R. a dichiarare l’inammissibilità della costituzione in giudizio della parte resistente, ciò riflettendosi anche sulla pronuncia ex art. 96, comma 3 c.p.c..
6.1 Il motivo è manifestamente infondato.
6.2 Va infatti ribadito l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale ‘In tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha
conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa’. (Sez. U, Ordinanza n. 20596 del 01/10/2007; conf. da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 8120 del 22/03/2019; Sez. U, Sentenza n. 31963 del 05/11/2021, pronunciata in tema di difetto di giurisdizione).
6.3 Ora, in presenza di una società di capitali, qual è la RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, la ricorrente si è limitata a denunciare la mancata produzione dell’atto di conferimento dei poteri rappresentativi in capo al Direttore generale, senza tuttavia dedurre che il medesimo non rientrasse fra quelli soggetti a pubblicità legale, e senza dimostrare la tempestività dell’eccezione formulata con la memoria del 5 luglio 2021, non essendo chiarito con il ricorso per cassazione se essa fosse la prima difesa successiva alla costituzione della parte appellata.
Con il quinto motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 156 c.p.c., 2697 c.p.c. e 26 d.P.R. 602/1973. Assume di avere introdotto specifiche doglianze, riprodotte con l’atto di appello e con memoria illustrativa in secondo grado, inerenti alla omessa indicazione dell’identità, della qualità del soggetto che ha eseguito la notificazione dell’intimazione e della cartella, nonché alla omessa sottoscrizione delle relate di notifica, essendo indecifrabile quanto emergente dal contesto degli atti. Sostiene che l’assenza degli elementi essenziali a rendere riconoscibile l’atto quale notificazione ne comporta l’inesistenza giuridica per difetto strutturale dei requisiti idonei ad integrare la fattispecie minima della notificazione. Sicché l’atto non può raggiungere lo scopo.
7.1 Il motivo è manifestamente infondato.
7.2 Occorre partire ribadito dal consolidato orientamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, secondo il quale: ‘In tema di atti d’imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa d’efficacia, sicché la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio ‘ (Sez. 5, Ordinanza n. 21071 del 24/08/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 26310 del 29/09/2021, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2203 del 30/01/2018: in precedenza ex multis : Sez. 5, Sentenza n. 8374 del 24/04/2015; Sez. 5, Sentenza n. 13852 del 09/06/2010).
7.3 Deve anche ricordarsi che ‘La natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando
vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicché il rinvio disposto dall’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’art. 156 c.p.c.’ (Sez. 5, Sentenza n. 27561 del 30/10/2018; cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10445 del 12/05/2011).
7.4 Se, nondimeno la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, ciò comporta che ‘il vizio di nullità ovvero di inesistenza della stessa è irrilevante ove l’atto abbia raggiunto lo scopo. (Nella specie, per essere stato l’atto impugnato dal destinatario in data antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo)’ (così Sez. 5, Sentenza n. 654 del 15/01/2014).
7.5 Con la censura in esame, si fa valere l’inesistenza della notificazione sia in relazione all’intimazione di pagamento che alla cartella esattoriale, avuto riguardo alla non identificabilità dell’agente della notificazione di cui sarebbero indecifrabili l’identità, la qualifica e la sottoscrizione.
7.6 Ora, con riferimento alla notificazione dell’intimazione di pagamento, l’eventuale invalidità o inesistenza dell’atto per vizi della notificazione appare priva di effetti, per essere intervenuto il raggiungimento dello scopo, posto che l’intimazione è stata tempestivamente impugnata dalla contribuente e che sono state svolte difese sul merito della pretesa .
7.7 Diversamente, con riferimento alla cartella esattoriale, l’inesistenza o l’invalidità della notificazione rileverebbero in relazione alla tempestività della sua impugnazione, posto che l’atto impositivo non è stato impugnato nei termini, ma solo unitamente all’intimazione.
La contribuente, invero, assume che la non identificabilità del soggetto che vi ha provveduto e l’indecifrabilità della sua sottoscrizione rendono inesistente la notifica, come tale insuscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c..
Va osservato, in proposito, che, da un lato, ‘La nullità di un atto non dipende dall’illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall’impossibilità oggettiva di individuare l’identità del firmatario, senza che rilevi la soggettiva ignoranza di alcuni circa l’identità dell’autore dell’atto. Pertanto, nel caso di sottoscrizione illeggibile della relata di notificazione di un avviso di accertamento, spetta al contribuente, superando la presunzione che il sottoscrittore aveva il potere di apporre la firma, dimostrare la non autenticità di tale sottoscrizione o l’insussistenza della qualità indicata, con la conseguenza che, in assenza di una tale prova, va escluso il vizio di nullità (o di inesistenza) della notificazione. (Sez. 5, Sentenza n. 7838 del 17/04/2015; Sez. 5, Sentenza n. 16407 del 03/11/2003; Sez. 3, Sentenza n. 2327 del 03/03/1998).
Ora, da un lato, la ricorrente non ha puntualmente eccepito che l’agente che ha provveduto alla notificazione non avesse il potere di provvedervi, dall’altro, la relata riprodotta a pag. 23 del ricorso introduttivo -corrispondente al doc. riprodotto a pag. 564 del fascicolo di parte, che dall’indice dei documenti risulta corrispondere alla notificazione della cartella di pagamento- reca un timbro che, seppure poco leggibile, riporta la dicitura ‘messo notificatore’. Ne consegue che in mancanza della prova contraria
idonea a superare la presunzione la notificazione non può ritenersi né inesistente, né invalida.
D’altro canto, la contribuente non ha negato di avere ricevuto la notificazione della cartella di pagamento, né di non averla potuta impugnare in termini.
Con il sesto motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, comma 5 d.lgs 546/1992, 26, comma 5 d.P.R. 602/1973, 2697, 2712 e 2719 c.c.. Ricorda che con specifico motivo di appello è stata reiterata la censura, già formulata con il ricorso introduttivo, con cui si era fatta valere la difformità tra la relata di notifica apposta sulla copia notificata e quella apposta sull’originale. A fronte dello specifico disconoscimento della conformità della copia da parte della contribuente il giudice avrebbe dovuto ordinare, ex art. 26, comma 5 d.P.R. 602/1973, la produzione dell’originale, applicando, in mancanza la disposizione di cui all’art. 2719 c.c.
Il motivo è inammissibile.
La doglianza difetta di specificità, non essendo stato chiariti gli aspetti della difformità della copia dall’originale. Deve opportunamente ricordarsi che secondo il più recente orientamento di questa Corte: ‘La contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata -a pena di inefficacia -in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto inefficace il disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica della notificazione in forma esecutiva della sentenza impugnata operato attraverso la mera contestazione della ‘ conformità della fotocopia prodotta
all’originale ‘ ) ‘ . (Sez. 2, Sentenza n. 27633 del 30/10/2018, Sez. 5, Sentenza n. 16557 del 20/06/2019; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14279 del 25/05/2021; Sez. 3, Sentenza n. 40750 del 20/12/2021).
Con il settimo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 156 c.p.c., 2697 c.p.c. e 26 d.P.R. 602/1973. Rileva che con l’appello è stata reiterata la censura formulata in primo grado relativa all’indecifrabilità dell’identità dell’agente notificatore, avuto riguardo al fatto che la sottoscrizione risulta essere stata effettuata con la sola sigla, mentre neppure leggibili sono il nome ed il cognome della persona che ha provveduto alla notificazione, ciò valendo per entrambe le relate di notifica. Le notificazioni devono, dunque, ritenersi insussistenti, insanabili e prive di effetti, non potendo, pertanto neppure ‘interrompere il contestato termine decadenziale del potere di accertamento dell’ente impositore’.
Il motivo è manifestamente infondato. E’ sufficiente, invero, richiamare quanto precisato in risposta al quinto motivo di ricorso, essendo il contenuto della doglianza sovrapponibile alla censura già esaminata.
Con l’ottavo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 l. 241/1990 e 7 l. 212/2000. Sottolinea che con motivo di appello, riproducente identica doglianza formulata in primo grado, si contestava l’assenza di motivazione dell’intimazione di pagamento, facendo questa riferimento alla cartella solo asseritamente notificata il 13 maggio 2015. Rileva che il calcolo degli interessi, successivi a quella data, non può essere verificato a mezzo di mero calcolo, ciò violando l’obbligo di motivazione dell’atto.
13.1 Le Sezioni Unite hanno affermato che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati -attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo (Cass., Sez. U, 14 luglio 2022, n. 22281) Il principio enunciato relativamente alla cartella di pagamento opera, a fortiori, con riferimento all’intimazione di pagamento, sicché la motivazione relativa al calcolo degli interessi va ricercata nel presupposto atto impositivo e nella presupposta cartella, essendo sufficiente, ai fini della motivazione dell’intimazione di pagamento, il mero richiamo a tali atti (così Sez. 5, 10 ottobre 2024, n. 27504).
13.2 Il motivo è, dunque, manifestamente infondato.
Con il nono motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies della l. 241 del 1992 e 7, comma 2 l. 212/2000. Si duole del mancato rilievo da parte della C.T.R. della nullità dell’intimazione di pagamento per difetto delle indicazioni delle modalità di
impugnazione, che debbono potersi rilevare a mezzo del suo mero esame dell’atto.
Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso basta riprendere quanto già affermato da questa Corte. E cioè che: ‘L’avviso di intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo, da notificarsi al contribuente ai sensi dell’art. 50, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 602 del 1973, ha un contenuto vincolato, in quanto deve essere redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero dell’Economia, sicché è sufficiente che la motivazione faccia riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata’ (Sez. 5 – , Ordinanza n. 28689 del 09/11/2018,; Sez. 5 – , Ordinanza n. 10692 del 19/04/2024, Rv. 670847 – 01)
Con il decimo motivo censura, ex art. 360, comma 1 n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 96, comma 3 c.p.c. per avere la C.T.R. ritenuto pretestuosi tutti motivi di gravame, senza esplicitare a quali motivi si riferisse effettivamente e nonostante la apoditticità della sentenza impugnata.
Il motivo è manifestamente infondato.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che ‘La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte
soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. (Sez. U – , Sentenza n. 22405 del 13/09/2018). Sempre il Supremo Collegio ha enunciato il principio secondo il quale ‘sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell’azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione ‘ (Sez. U, Sentenza n. 9912 del 20/04/2018)
19.1 A ciò va aggiunto che ‘In materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo – per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 – il controllo di sufficienza della motivazione. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto congruamente motivata la condanna per responsabilità aggravata del ricorrente che aveva sostenuto circostanze di fatto rivelatasi manifestamente infondate, aveva formulato domande di manleva nei confronti di soggetti
palesemente estranei alla vicenda, ed aveva sostenuto tesi giuridiche non già semplicemente infondate, ma palesemente infondate). (Sez. 3, Sentenza n. 19298 del 29/09/2016).
19.2 In questo caso è stata fatta valere la violazione di legge e non pare di poter affermare che vi sia stata la falsa applicazione dell’art. 96, comma 3 c.p.c., tenuto conto che la C.T.R. assume proprio la pretestuosità complessiva dell’azione, interpretando, pertanto, la disposizione nel senso indicato da questa Corte.
20. Le sovraesposte ragioni -poste a base dell’inammissibilità o manifesta infondatezza di ciascuno dei motivi proposti- inducono a disattendere la richiesta formulata dalla parte ricorrente di rinnovazione della notifica del ricorso per cassazione alla Agenzia delle Entrate Riscossione subentrata alla Riscossione Sicilia s.p.a. ex art. 76 d.l. 73 del 2021 conv. con mod. in l. 106 del 2021. Invero ‘Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di
spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti. (Cass. Sez. 2, 21/05/2018, n. 12515, Rv. 648755 – 01).
Il ricorso deve, dunque, essere respinto. Nulla in punto spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2025