Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15704 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15704 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7222/2018 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME quest’ultima domiciliataria
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Agenzia delle Entrate Riscossione, già RAGIONE_SOCIALE
Oggetto:
-intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 6902/07/17 depositata il 26 luglio 2017
Udita la relazione svolta nella udienza del 29 aprile 2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’ oggetto della controversia è il preavviso di avviso di fermo amministrativo (n. NUMERO_CARTA notificata il 30.6.2014) su un’autovettura emesso da Equitalia RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi intimata) per conto dell’Agenzia delle Entrate (d’ora in poi controricorrente) nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi ricorrente), riguardante una pluralità di cartelle di pagamento, relative a tributi erariali, comunali, regionali, contributi previdenziali e assistenziali.
La CTP ha accolto parzialmente il ricorso con riferimento soltanto alle cartelle di pagamento indicate ai numeri 3, 13, 14 e 15 di cui al prospetto di pag. 2 ricorso introduttivo.
La CTR ha confermato la pronuncia di primo grado, per quello che ancora oggi rileva, sulla base delle seguenti ragioni:
-il giudice di primo grado non è incorso in errore nell’interpretazione della volontà della ricorrente, in quanto nell’atto introduttivo è chiaramente indicato che le doglianze sono riferibili ai soli tributi ed erariali «e del resto sono gli unici che possono essere impugnati in questa sede»;
per quanto riguarda le notifiche, Equitalia Sud s.p.a. ne ha depositato la copia, fatta eccezione per le cartelle di cui ai numeri 3, 13,14 e 15;
-le censure riguardanti le notifiche attengono alla loro validità e non all’inesistenza , in quanto la ricorrente, con le memorie illustrative, ha lamentato la nullità della notifica a mezzo p.e.c. e la non corrispondenza del numero civico ove si trova la propria sede legale;
la doglianza relativa al mancato deposito di copie conformi alle notifiche digitali non può essere accolta, in quanto non vi è stato un formale disconoscimento;
i difetti delle notifiche riguardanti la divergenza tra il numero civico effettivo e quello in cui è stato notificato l’atto non rilevano, posto che l’atto è stato ricevuto da una persona incaricata dalla società; il pubblico ufficiale ha attestato di avere
effettuato la notifica al destinatario e tale attestazione fa fede fino a querela di falso nella specie non proposta.
La ricorrente ha proposto ricorso fondato su tre motivi e ha depositato memoria, mentre la controricorrente Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente prospetta , in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 4 e 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 3 62 c.p.c. Contesta che i giudici di secondo grado abbiano ritenuto di non dover prendere in considerazione le cartelle riferite ad altri tributi aventi ad oggetto il pagamento della Tarsu e dell’Ici, in particolare le cartelle indicate nel prospetto ai numeri 1, 4, 6, 10, 14; deduce in proposito che l’oggetto del ricorso riguardava anche tali cartelle e rappresenta che la decisione impugnata sul punto si è tradotta in un diniego di giurisdizione.
1.1. Il motivo è infondato, in quanto i giudici, in entrambi i gradi di merito, hanno affermato che la ricorrente ha chiaramente affermato nel ricorso di volere limitare il giudizio ai soli tributi erariali. Tale accertamento non è suscettibile di revisione in questa sede.
Dalla lettura dell’atto introduttivo, trasfuso in parte nel presente ricorso e anche allegato, si evince che effettivamente la ricorrente ha affermato «che il presente ricorso riguarda esclusivamente gli importi in addebito per carichi erariali relativi all’amministrazione finanziaria (Ires Irap iva e addizionali ritenute fiscali per dipendenti e lavoratori autonomi) e nello specifico quelli pertinenti alle di seguito elencate cartelle esattoriali».
La circostanza che nell’elenco successivo fossero comprese anche cartelle riguardanti altri tributi, non è stata ritenuta rilevante dai giudici di entrambi i gradi di merito, i quali hanno considerato prevalente la chiara precisazione, sopra riportata, che precedeva l’elenco numerico delle cartelle.
La sentenza impugnata con riguardo a tale censura ha affermato «in nessuna erronea interpretazione della volontà della ricorrente e incorsa la commissione di primo grado atteso che nel ricorso è chiaramente indicato
che le doglianze erano riferibili ai soli tributi erariali e del resto sono gli unici che possono essere impugnati in questa sede».
Intende il Collegio confermare il principio di legittimità, secondo il quale l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda o alla sua estensione non è sindacabile in sede di legittimità con la deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., della violazione dell’art. 112 c.p.c., ma unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione e nei ristretti limiti del vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 3, n. 34762 del 2024, Rv. 673348 – 01).
In particolare, è stato precisato, in linea con un orientamento consolidato di legittimità, che, quando la doglianza del ricorrente, come nella fattispecie, è volta all’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, l’attività richiesta alla Corte di cassazione integra un accertamento in fatto, che però è per sua natura riservato al solo giudice del merito (v. così Cass., Sez. 4., n. 22724/2024; in tal senso già Cass., Sez. 4., n. 20373/2008, Rv. 604671 – 01).
Con il motivo in esame la ricorrente solleva una censura che non è chiaro se debba essere ricondotta ad un vizio di omessa pronuncia ovvero ad un vizio di omessa motivazione.
Giova ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto, ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame (Cass., Sez. 5, n. 27551/2024, Rv. 672731 – 01).
Tale non è l’ipotesi di specie, in quanto la sentenza prende in esame anche le cartelle relative ad altri tributi per chiarire che la volontà della ricorrente era chiaramente nel senso di non volere ricomprenderl e nell’oggetto della decisione.
Il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di
doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (tra le molte Cass., Sez. 5, n. 27551/2024, Rv. 672731 -01, cit.).
Sulla questione della motivazione apparente occorre richiamare il consolidato principio di legittimità, secondo cui il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ricorre quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. U, n. 22232/2016, Rv. 641526 -01; Sez. 6 – 5, n. 13977/2019, Rv. 654145 -01; Sez. 6 – 1, n. 6758/2022, Rv. 664061 -01; di recente nello stesso senso, Sez. 5, n. 27551/2024, Rv. 672731 – 01).
La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione, inoltre, deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost., ipotesi che si verifica quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’effettiva disamina logico -giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. U, n. 8053/2014, Rv. 629830 -01, Sez. U, n. 22232/2016, Rv. 641526 -01, Sez. 6 – 5, n. 9105/2017, Rv. 643793 -01, Sez. L, n. 3819/2020, Rv. 656925 -02, Sez. 1, n. 13248/2020, Rv. 658088 -01, Cass., Sez. 5, n. 9627/2021; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. 5, n. 10354/2023; Sez. 5, n. 5882/2025).
Nel caso di specie, invece, come riportato nella parte in fatto, la sentenza ha indicato gli elementi su cui ha fondato il proprio convincimento,
chiarendo le motivazioni per le quali ha ritenuto di non potere decidere sulle cartelle escluse e la semplice non condivisione di tali ragioni da parte della ricorrente non determina la nullità o l’apparenza della motivazione .
Si deve concludere, quindi, per l’infondatezza del la doglianza, perché la motivazione c’è , è logica, esauriente e non presenta aspetti contraddittori.
1.2. L’erroneità dell’affermazione contenuta nella sentenza secondo cui non appartiene alla giurisdizione del giudice tributario la cognizione su tributi diversi da quelli erariali non incide sull’accertamento di fatto compiuto in modo conforme in entrambi i gradi di merito, trattandosi di una motivazione ad abundantiam .
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 175 del 2024 (Testo unico della Giustizia tributaria, art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 «1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché’ gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica».
In tal senso, dunque, la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta ex art. 384 c.p.c.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 145 c.p.c., 42 e 2700 c.c. e dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973; in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, c.p.c. Contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la correttezza della notifica delle cartelle di pagamento indicate ai nn. 5, 7, 8, 9, 11, 12 del prospetto contenuto nel ricorso, in quanto le stesse
riportano l’attestazione della notifica ad un civico (n. 78) divergente da quello in cui ha sede la società (n. 48). Deduce che per la corretta esecuzione della notifica ai sensi dell’art. 145 c.p.c. è necessario che essa avvenga presso la sede della persona giuridica, oltre che nelle mani delle persone elencate nello stesso articolo.
2.1. Il motivo è, per alcuni aspetti, inammissibile, mentre per altri risulta infondato.
Si osserva che, secondo la sentenza impugnata, la notifica è stata ricevuta dalla persona incaricata alla ricezione e l’indicazione del numero civico n. 48 è solo il frutto di un errore materiale; tale accertamento, pertanto, è assistito da pubblica fede.
Esso, peraltro, coincide con quello effettuato dal giudice di primo grado e costituisce un accertamento di fatto, risolto univocamente dai giudici del merito, su cui è precluso il vaglio di legittimità, se non nello stretto ambito di cui all’art. 360, prim o comma, n. 5 c.p.c., non evocato dalla ricorrente. Eventuali informazioni circa la difformità tra il luogo in cui la notifica è stata ricevuta e quello della sede legale, avrebbero dovuto essere fornite dalla società.
Va sottolineato, infatti, che la ricorrente non ha fornito elementi e nemmeno provveduto alla trasposizione in ricorso della notifica in oggetto, per confutare l’esistenza dell’errore materiale accertato nella sentenza .
Si osserva, inoltre, che ove mai la notifica fosse avvenuta in luogo diverso da quello della sede legale troverebbe applicazione il principio di legittimità per cui, ai fini della verifica di regolarità della notifica ex art. 145 c.p.c., quando l’ufficiale giudiziario attesti di non avere rinvenuto la società destinataria della notifica presso la sua sede legale, perché, secondo quanto appreso, questa aveva la sua sede effettiva altrove e, recatosi presso quest’ultima, abbia fatto consegna a persona qualificatasi come “addetta” alla ricezione per la società, le attestazioni in parola sono da ritenersi assistite da fede fino a querela di falso, riguardando esse circostanze frutto della diretta attività e percezione del pubblico ufficiale; viceversa, il contenuto delle notizie apprese circa la sede effettiva e della
dichiarazione di chi si sia qualificato “addetto” alla ricezione è assistito da presunzione iuris tantum che, in assenza di prova contraria, non consente al giudice di disconoscere la regolarità dell’attività di notificazione (Cass., Sez. 2, n. 12577/2023, Rv. 667782 – 01).
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329, 333, e 334 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. Eccepisce che la sentenza di primo grado ha affermato che non possono ritenersi correttamente notificate le cartelle 13, 14 e 15, avendo il legislatore previsto con il d.l. n. 159 del 2015, art. 14, la possibilità di eseguire la notifica solo a decorrere dal 1° giugno 2016 ed evidenzia che la sentenza impugnata nella sua parte dispositiva ha confermato integralmente quella di primo grado ed, inoltre, che tale capo della motivazione non risulta sia stato appellato, con conseguente formazione del giudicato.
3.1. Il motivo è inammissibile. Se è vero che la CTR ha rigettato l’ appello e confermato sentenza di primo grado, essa tuttavia, ha riformato chiaramente la pronuncia di primo grado nella parte relativa agli atti impositivi notificati in modo digitale.
Nel provvedimento oggi impugnato, infatti, è bene evidenziato che, a seguito della produzione in giudizio delle notifiche delle cartelle, la stessa ricorrente con le memorie ha introdotto la questione dell’invalidità delle notifiche delle cartelle di pagamento, superando quella originariamente introdotta dell’omessa notifica delle stesse.
Da quanto esposto ne consegue che alcun giudicato sulla questione può ritenersi formato.
Il motivo come formulato non coglie, pertanto, la ratio del decidere della sentenza impugnata cercando di incentrare il vulnus sulla parte dispositiva della sentenza , senza considerare l’intera motivazione. Esso , pertanto, come formulato è inammissibile.
Nessuna incertezza interpretativa, del resto, si pone nella lettura della sentenza impugnata che ha ben chiarito quali affermazioni confermare e quali riformare della sentenza di primo grado.
4.Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso.
Nulla sulle spese per la parte rimasta intimata, mentre per il resto seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art.
13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 5000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi , rimborso forfettario ed accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 29 aprile 2025 .