Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3243 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3243 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26529/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in ROMA in INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 1344/2020 depositata il 11/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte, per il profilo ancora d’interesse, che NOME COGNOME presentò in data 19.4.2017 istanza per avvalersi della definizione agevolata per i carichi rientranti nell’ambito applicativo di cui all’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016.
Successivamente l’Agenzia notificò al ricorrente il prospetto di sintesi. All’esito, il contribuente, e ‘solo dopo la notifica del prospetto di sintesi’, richiese un estratto di ruolo dal quale emerse la sua completa situazione debitoria nei confronti dell’erario.
All’esito il contribuente agì in giudizio, impugnando il prospetto di sintesi e cinque cartelle esattoriali ad esso sottese e richiamate nell’estratto di ruolo, evidenziando, tra le altre cose di non aver ricevuto la notifica di nessun altro atto o avviso.
Seguì il diniego all’istanza di reclamo e l’impugnazione dello stesso dinanzi alla competente C.T.P.
1.2. Il ricorso venne accolto in considerazione della mancata prova relativa all’avvenuta notifica delle cartelle impugnate al contribuente poiché venne prodotta ‘solamente una copia delle controdeduzioni per il ricorrente, un diniego con bozza delle controdeduzioni e la nota spese.’ L’Agenzia appellò la decisione sostenendo, e ribadendo, che la dichiarazione presentata dal contribuente, con la quale affermava di volersi avvalere della definizione agevolata dei carichi pendenti, ‘senza indicare le cartelle di pagamento per cui si voleva avvalere della definizione’ costituisse una ricognizione del debito esistente che gli precludeva la possibilità di presentare l’istanza di agevolazione atteso che il contribuente con
la predetta dichiarazione ‘l’impegno a rinunciare ai giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi ai quali si riferisce’.
1.3. Il giudice di secondo grado respinse l’appello. Nel dettaglio si affermò che ‘il decreto legge n. 13/2016 convertito in legge consentiva al contribuente di poter presentare la dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, senza indicare le cartelle di pagamento per cui si voleva avvalere della definizione, difatti la norma disponeva che si poteva presentare l’ istanza anche come solo atto di ricognizione del debito esistente e il contribuente una volta conosciuta la propria esposizione debitoria poteva scegliere quali cartelle di pagamento definire attraverso l’agevolazione richiamata. L’agenzia delle entrate riscossione ha prodotto solo una copia delle controdeduzioni ma non ha dato prova di aver notificato le cartelle nei termini, che sono l’atto presupposto del prospetto creditorio impugnato’.
Avverso la prefata decisione ricorre l’Agenzia con due motivi, resiste il contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp.att.c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Secondo la ricorrente la sentenza deve ritenersi nulla in quanto la C.T.R. nella decisione adottata non avrebbe spiegato le ragioni poste a fondamento del proprio convincimento atteso che l’ufficio con ricorso in appello aveva impugnato la sentenza della C.T.P. ‘ritenendola errata per i presupposti di fatto e di diritto e per violazione dell’art. 6 del d.l. 193/2016.’
2.Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. perché ‘i giudici regionali non hanno
tenuto conto delle argomentazioni esposte dall’Ufficio nei propri scritti e nella documentazione versata in atti’.
Nella sostanza il giudice di secondo grado avrebbe confuso la portata del d. n. 193 del 2016 affermando che lo stesso consentiva al contribuente di poter presentare la dichiarazione di adesione alla definizione agevolata senza indicare le cartelle al pagamento per cui si voleva avvalere della definizione, potendo poi, una volta conosciuta la propria esposizione debitoria, scegliere quali cartelle definire.
Secondo l’agenzia, invece, la dichiarazione di adesione costituisce una ricognizione di debito, interamente considerato, all’esito della quale il contribuente dichiara di impegnarsi a rinunciare ai giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi pendenti ai quali si riferisce la dichiarazione.
3. Preliminarmente deve osservarsi che, dalla piana lettura della sentenza, emerge come il ricorrente ‘dopo la notifica del prospetto di sintesi’ abbia richiesto un estratto di ruolo dal quale è emersa tutta la sua posizione debitoria. L’estratto di ruolo, alla pari del prospetto di sintesi, è un mero atto interno dell’amministrazione finanziaria, di talché i vizi che lo concernono possono essere fatti valere soltanto con l’impugnazione di un atto impositivo in senso proprio, ossia della cartella di pagamento in cui è trasfuso. Al riguardo deve evidenziarsi, in adesione a quanto affermato da S.U. n. 26283 del 2022, che il d.l. n. 146/21, inserito in sede di conversione dalla I. n. 215/21, novellando l’art. 12 del d.P.R. n. 602/73, intitolato alla “Formazione e contenuto dei ruoli”, in cui ha inserito il comma 4-bis, ha stabilito non soltanto che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», ma anche che «Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura
di appalto per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».
L’ art. 12, comma 4 -bis, come osservato dalle citate Sezioni Unite, trova, inoltre, applicazione nei processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata rispetto al ruolo e alla cartella non notificata o invalidamente notificata; sono quindi manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della predetta norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113 e 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione (S.U. n. 26283 /2022). Premessa quindi l’applicabilità della disposizione alla fattispecie al vaglio di questa Corte deve osservarsi come, sempre le citate S.U. hanno affermato che in tema di impugnazione dell’estratto di ruolo, l’art. 12, comma 4 bis, del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto dall’art. 3 bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021), selezionando specifici casi in cui l’invalida notificazione della cartella ingenera di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale e ha plasmato l’interesse ad agire, condizione dell’azione avente natura “dinamica” che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, fino al momento della decisione. La citata disposizione, dunque, incide sulla pronuncia della sentenza e si applica anche nei processi pendenti, nei quali lo specifico interesse ad agire deve essere dimostrato, nelle fasi di merito attraverso il tempestivo ricorso alla
rimessione nei termini (istituto applicabile anche al processo tributario), nel grado di legittimità mediante deposito di documentazione ex art. 372 c.p.c. o fino all’udienza di discussione (prima dell’inizio della relazione) o fino all’adunanza camerale oppure, qualora occorrano accertamenti di fatto, nel giudizio di rinvio’.
A tale arresto hanno fatto seguito tra le tante: Cass. 3/02/2023, nn. 3400 e 3425; Cass. 23/03/2023, nn. 8330, 8374 e 8377; Cass. 12/04/2023, n. 9765.
La Corte costituzionale, a sua volta, è intervenuta con la sentenza 17 ottobre 2023, n. 190 (conf. Corte cost. n. 81/2024) su questioni di costituzionalità involgenti l’art. 12 comma 4-bis cit., non ha smentito l’operato delle Sezioni Unite stabilendo: «Le questioni sollevate (…) sono quindi inammissibili: il rimettente del resto, da un lato, non misconosce le «ragioni sottese alla norma sotto esame: a seguito delle SS.UU. del 2015 è evidente che il Legislatore si è preoccupato di evitare un proliferare di ricorsi per carichi anche molto risalenti e che a fronte di esazione piuttosto improbabile avrebbero gravato in maniera eccessiva sugli uffici sottraendo risorse preziose e causando il danno economico della possibile condanna al pagamento delle spese di giudizio. Dall’altro, manifesta «perplessità» per «il fatto che per risolvere tale problema il Legislatore sia intervenuto condizionando pesantemente la possibilità di difendersi in giudizio», censurando quindi la norma in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost. «nei termini di cui in motivazione», nella quale, dopo avere esposto una casistica delle fattispecie ritenute indebitamente pretermesse, conclude che «il Legislatore avrebbe potuto adottare soluzioni più snelle e con costi irrisori, che comunque sarebbero state rispettose del diritto di difesa. Di qui l’inammissibilità delle questioni sollevate, dal momento che, come emerge dalla stessa prospettazione del rimettente, il rimedio al vulnus riscontrato
richiede, in realtà, un intervento normativo di discrezionalità del legislatore (sentenze n. 71 del 2023, n. 96 e n. 22 del 2022, n. 259, n. 240, n. 146, n. 103, n. 33 e n. 32 del 2021).».
C irca il ridotto perimetro di impugnabilità dell’estratto di ruolo, sono poi ulteriormente intervenute anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 7 maggio 2024 n.12459, chiarendo che in tema di riscossione coattiva mediante ruolo, i limiti alla impugnabilità della cartella di pagamento, che si assuma invalidamente notificata e conosciuta solo attraverso la notificazione dell’estratto di ruolo, previsti dal comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, inserito dall’art. 3-bis del d.l. n. 146 del 2021, conv. con modif. dalla l. n. 215 del 2021, non comportano un difetto di tutela per il contribuente, grazie al riconoscimento di una sua tutela più ampia nella fase esecutiva e tenuto conto che, come affermato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 190 del 2023, i rimedi ad un eventuale vulnus richiedono un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore.
Alla luce di quanto innanzi evidenziato, nella specie, l’interesse ad agire né emerge dagli atti né é stato allegato. Sotto questo profilo il ricorso originario è quindi inammissibile.
Allo stesso modo deve ragionarsi con riferimento al prospetto di sintesi. Questo, alla pari della certificazione dei carichi pendenti, non è atto autonomamente impugnabile. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che in
conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448. Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato. Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico. La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19 (ex plurimis: Cass., Sez. 5″, 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass. Sez. 5^, 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2010, n. 14373; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2015, n. 2616; Cass., Sez.6^, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., Sez. 5^, 30 maggio 2017, n. 13584; Cass., Sez. 6^, 2 novembre 2018, n. 26129).
Il prospetto di sintesi contiene l’indicazione dei debiti risultanti dalle banche dati dell’anagrafe tributaria relativi agli atti per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Alla luce del contenuto e della funzione di tale prospetto, è evidente che si tratta di un documento
destinato a fornire informazioni sintetiche e riassuntive sull’esistenza, sulla consistenza, sulla natura e sullo stato dei debiti tributari.
Deve quindi escludersi l’idoneità a contenere un’informazione completa ed esaustiva su qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva (diretta o indiretta), con la conseguenza della non impugnabilità dello stesso in quanto tale per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 cod. proc. civ.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento in sede giurisdizionale.
In conclusione, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, e dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo, perché ab origine, la causa non poteva essere proposta ex art.382 u.c. cod. proc. civ.
Le spese di lite sono compensate tra le parti per tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Cassa l’impugnata sentenza; d ichiara inammissibile l’originario ricorso del contribuente. Le spese del giudizio sono compensate.
Così deciso in Roma, il 4.12.2024